Zaniolo vuole andare via dalla Roma. Prevedibile. Sono già un paio di sessioni di mercato che se ne parla.
La Roma vuole fare cassa e punta a guadagnare una cifra che ritenga congrua. Giusto, ci mancherebbe che non fosse così, basta che non si parli di una valutazione totalmente fuori dai parametri.
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aniolo non vuole andare al Bournemouth, in Inghilterra. Ci può stare anche questo. Del resto si tratta di un cambio di vita importante e non sta scritto in nessun contratto che un calciatore debba necessariamente volerlo per sé stesso.
I tifosi della Roma ce l'hanno con Zaniolo, che de facto è un capitale societario attualmente immobilizzato ed improduttivo, anzi soggetto a forte svalutazione. Qualcuno si sente di dargli torto? Nel mercato di oggi 30 milioni a volte fanno il budget di una sessione (volutamente sorvolo sui recentissimi episodi di inseguimenti ecc. che non meritano di essere commentati).

Ma quindi? Chi ha ragione? Perché da che mondo è mondo, quando hanno ragione tutti, non ha ragione nessuno.
Lo sostengo da tempo e questa non ne è che l'ennesima conferma: il sistema calcio attuale ha un baco, un worm, un virus... Chiamatelo come volete, ma non ammetterlo è miope. 
Essendo tifoso del Milan, iniziai a riflettere sulla cosa durante il periodo dell'affaire Donnarumma, ma l'avevo rilevato già quando la società rossonera cercava di acquistare Conti nel corso del faraonico mercato dell'era Fassone-Mirabelli: Conti voleva venire al Milan, ma l'offerta meneghina non era congrua alle richieste della famiglia Percassi, il cui patron disse più o meno questo: "Siamo orgogliosi del fatto che i nostri giovani vengano richiesti da squadre importanti e felici di essere il trampolino per le loro carriere, ma siamo noi che su di loro abbiamo investito dei soldi e vogliamo essere retribuiti di conseguenza." Queste parole mi apparvero sacrosante, ma arrivarono perché già in quel momento il peso della volontà del calciatore era aumentato in maniera sensibile rispetto ad una decina di anni prima. Ricordo bene anche le parole di Alessandro Del Piero, che raccontò di quando gli facevano mettere la firma sul contratto in bianco e poi la cifra la aggiungevano dopo i dirigenti. Non si parla di un secolo fa, ma solo di qualche lustro... Eppure sarà bene fare due conti ed ammettere che questo lasso di tempo ha portato ad un cambiamento evidente al quale il sistema non si è adeguato.

A voler mettere dei paletti temporali, tanto per cambiare, si deve parlare della sentenza Bosman. Prima di questa, anche se un giocatore arrivava a scadenza di contratto, c'era da pagare un indennizzo alla società di provenienza calcolato in base ad alcuni parametri come età ed ultimo stipendio. Vedi il caso Roberto Baggio, passato al Milan dalla Juventus, per il quale i rossoneri corrisposero comunque 18 miliardi di lire. Dopo la sentenza, invece, i giocatori a scadenza sono diventati liberi di firmare un precontratto a sei mesi dalla dead line e possono accasarsi nel nuovo club completamente gratis, come fece ad esempio il compianto Gianluca Vialli andandosene al Chelsea.
Da lì, la storia del calciomercato è piena di affari condotti su questa falsariga, affari che si sono via via intensificati per numero fino a diventare il vero e proprio perno del nuovo mercato. Un po' come quando si parla di prima e dopo la scoperta dell'America, nel mondo del calcio c'è un prima ed un dopo Bosman: A.B. e D.B.

Ma perché sostengo che l'origine di tutto è la sentenza Bosman? Molto semplicemente perché, con queste leggi, la programmazione societaria è diventata impossibile.
A.B. si acquistava un calciatore pagandone il cartellino e sapendo che, se sportivamente rendeva, si era comunque in possesso di un asset. Il valore poteva oscillare, certo, ma si poteva fare il conto su un minimo.
Provo a fare un esempio spicciolo senza addentrarmi in calcoli ufficiali (informazioni in merito sono difficili da reperire in rete) e lo faccio prendendo il caso di Rafael Leao. Diciamo che il Milan, sulla base dell'attuale contratto di Leao e della sua età, possa avvalersi di una sorta di paracadute costituito dall'indennizzo in caso di scadenza e quantifichiamolo sommariamente in 35 milioni di euro. Sono pochi? Sì, senza dubbio se prendiamo in esame la valutazione del calciatore.
Tuttavia, la società potrebbe mettere a bilancio questi soldi ed essere certa di non perderlo a zero. Potrebbe fare conto su questo e stabilire se le convenga o meno fare uno sforzo per portare lo stipendio del portoghese al livello richiesto dai suoi procuratori oppure no. Potrebbe sembrare uguale al sistema attuale, ma non lo è, perché quei 35 milioni così “liberati” sono divenuti una fetta appetibile della torta e, come sempre, quando non ci sono norme certe a proliferare sono soluzioni varie e spericolate, che camminano in precario equilibrio sul confine più estremo della legalità. Questi 35 milioni sono diventati il terreno principale della trattativa. In questi 35 milioni si concentrano gli interessi dei procuratori, dei giocatori, dei loro parenti, degli amici e dei benefattori. Quelli di tutti, fuori che delle società, che sfortunatamente sono però l’ingranaggio fondamentale della macchina, giacché sono loro a dover redigere i bilanci. Dentro quei 35 milioni si trovano adesso i compensi dei procuratori, i bonus alla firma, i premi fedeltà e perfino i bollini per la raccolta punti del supermercato, tanto che siamo giunti al paradosso: quando e se un calciatore arriva a scadenza di contratto, de facto la società deve ricomprarlo dal procuratore, più o meno il reale detentore delle prestazioni del ragazzo anche se non nominalmente del suo cartellino.
E non si può nemmeno dire che lo sportivo sia detentore di sé stesso, perché i contratti con i procuratori sono sempre pieni di clausole e contro clausole, che vorrebbero inibire la facoltà di scioglimento dello stesso, come se questo fosse in qualche modo eticamente accettabile. Com’è e come non è, che piaccia o meno ai sostenitori della libertà assoluta, quando si va a tirare la riga per le somme conclusive se una società perde dei soldi prima o poi fallisce.
Una sentenza a favore della libertà, personale e di mercato, ha creato una sorta di buco nero. Un vuoto normativo che, non essendo stato colmato da un regolamento puntuale, è divenuto rapidamente contenitore di tutto ciò che il sistema è stato in grado di partorire e che, negli ultimi anni, ha portato a casi eclatanti come quello di Lionel Messi, passato al Paris Saint Germain a zero dopo aver beneficiato nell’ultimo quinquennio in blaugrana di un contratto del valore di circa 550 milioni di euro.

In questo quadro non idilliaco per le società, costrette a dover fare affidamento su una serie di valori morali e personali dei propri tesserati che purtroppo al giorno d’oggi sono più o meno utopistici, si innesta il perverso meccanismo del Financial Fair Play che, alla stregua della Bosman, è condivisibile nella visione quanto deprecabile nell’applicazione. Nato con l’obiettivo di inasprire le sanzioni per chi non rispetta le regole della buona gestione, limitando così le possibilità sportive delle società più piccole ma sane, è andato ad innestarsi su un sistema che si è dimostrato non in grado di debellare. Non c’è neanche bisogno di ricordare i vari casi degli sceicchi per rendersene conto. Fintanto che il sistema non cambierà le regole i casi Zaniolo saranno sempre dietro l’angolo, ma soprattutto a farne le spese saranno sempre le società.
La Roma di turno non potrà disporre di un asset da mandare a giocare in un'altra squadra a proprio piacimento, ma avrà modo di valersi di questo asset soltanto al prezzo di salato - o salatissimo - contratto pluriennale che, una volta giunto al termine, non sarà che carta straccia. Non potrà punire preventivamente il comportamento di un giocatore che non voglia rinnovare il contratto in scadenza, perché sarebbe giustamente accusata (e condannata) per mobbing. Non potrà fare in pratica nulla per tutelare il suo investimento, per tutelare i tifosi, per tutelare sé stessa.

Ad oggi - e ribadisco, è bene dirselo chiaramente - una società che non sia già all'apogeo dovrebbe seguire un percorso più o meno di questo tipo: ingaggiare una squadra di talent scout eccellenti ed iniziare a reperire i giovani sul mercato che non siano ancora finiti agli onori della ribalta, metterli sotto contratto pluriennale, convincere i propri tifosi ad avere aspettative che consentano di mettere in campo i suddetti ottenendo dei risultati che siano almeno sufficienti per giocare in Champions League.
Ammesso e non concesso che tutto questo abbia funzionato, venderne un paio a cifre astronomiche negli anni seguenti, tenerne altri e crescere insieme a loro costruendo così l'ossatura di una squadra che possa aprire un ciclo. Nel frattempo, ovviamente, i contratti di coloro che sono rimasti devono essere rinnvoati per evitare di perderli a zero, scendendo a patti e compromessi con procuratori, avvocati, genitori, fratelli e sorelle. Compiuto anche questo passo, la nostra società virtuosa dovrà essere così brava da trovare un paio di parametri zero di livello internazionale che siano in grado di far fare uno step ulteriore alla compagine e spendere tutto il budget concesso dalla proprietà (comunque risicato rispetto a quello che si vede bruciare ad ogni sessione dalle inglesi, dal Real, dal Barca, ecc) per un gran giocatore che sia stato convinto a sposare il progetto a suon di milioni e promesse, quindi vincere qualcosa di importante e scalare il ranking UEFA in modo da non finire nei gironi contro tutte le più forti ed avere chances maggiori di qualificarsi alla fase ad eliminazione diretta, che notoriamente porta bei soldi. Poi consolidare, consolidare e consolidare ancora.
Facendo tutto ciò, la realistica prospettiva è che in una decina di anni ci si possa essere dotati di uno stadio di proprietà e, se nel frattanto qualcuno non avrà venduto i diritti TV della serie A per i prossimi due secoli, avere del potere contrattuale da spendere in sede di trattativa, sempre senza ledere i diritti delle squadre meno blasonate. 
Nel frattempo, il Chelsea avrà speso per il proprio mercato stagionale dieci volte i budget di cui sopra.
C'è qualcosa che non torna, non vi pare?