Nel corso della sua carriera lo scrittore statunitense Bill James ha pubblicato molti libri sul baseball. Le sue rivoluzionarie teorie hanno profondamente influenzato la Major League ed hanno fatto la fortuna di un certo Billy Beane, general manager degli Oakland Athletic’s dal 1997 al 2015. La sua storia è stata raccontata da Michael Lewis in “Moneyball: the art of winning an unfair game” e da Bennet Miller che ci ha girato sopra un film, candidato nel 2012 a ben sei premi Oscar. Nei suoi panni, niente meno che Brad Pitt. 

All’inizio del 2000 la franchigia è chiamata a competere nel campionato maggiore avendo a disposizione una frazione dei fondi delle compagini più blasonate e la pellicola si apre a margine dell’ottima stagione 2001, chiusa con una sconfitta al primo turno dei playoff contro gli Yankees. Il biondo hollywoodiano, già sfiduciato per la cocente eliminazione, si trova a fronteggiare la cessione di due pezzi da novanta del suo team: Jason Giambi e Johnny Damon. Il primo passa proprio ai New York Yankees, il secondo ai Boston Red Sox per cifre che sull’altra sponda della baia non hanno alcuna voglia di scucire. La sua prima reazione è quella di bussare a cassa con il proprietario del club, il quale gentilmente ma fermamente nega un extra budget. A seguito del diniego Pitt/Beane capisce di dover diventare creativo ed assume un giovane laureando di Yale: Peter Brand. Insieme a lui costruisce la squadra per il campionato entrante seguendo i dogmi della teoria del moneyball, in palese opposizione con tutto il resto dell’organizzazione: secondo l’allora definita delirante teoria, i giocatori non andavano scelti solo sulla base dei report dei talent scout, bensì valutati in base ad un complesso sistema statistico, capace di mettere in luce tanto i loro punti di forza che le loro debolezze. Queste caratteristiche non sono positive o negative di per sé, vanno valutate in un contesto più ampio. Sintetizzando e semplificando ai minimi termini, va bene tutto ciò che è funzionale al progetto: creare una SQUADRA.

Rispetto a Paolo Maldini, va detto che Billy Beane era stato un giocatore fallimentare. Primo nome sul taccuino di tutti i talent scout e scelto al primo giro dai Mets con tanto di cospicuo bonus alla firma, semplicemente non era riuscito ad imporsi, iniziando a girovagare nelle serie minori per poi tornare sul palcoscenico della MLB senza lasciare il segno. Una storia già vista, un Hachim Mastour qualunque.
Fatto questo doveroso distinguo, però, qualche parallelismo inizia a potersi cogliere, senza neanche sforzarsi troppo.
Sì, perché mentre gli addetti ai lavori erano pronti a darlo in pasto agli squali (primo fra tutti l’allenatore Art Howe, interpretato nell’occasione dal mai abbastanza compianto Philip Seymour Hoffman), Billy Beane con il suo metodo condusse gli Athletic’s ad una striscia di 20 vittorie consecutive, battendo il record dell’American League dove il numero 19 resisteva in testa dal 1947, quando era stato eguagliato il precedente record risalente al 1906 e centrando una qualificazione ai playoff che a metà stagione sembrava completamente impossibile. Una serie non così dissimile da quella dei rossoneri degli ultimi due anni.
Con questo mi auguro di non essere un buon profeta, poiché la squadra di Oakland perse poi nuovamente al primo turno per mano dei Minnesota Twins, ben lontana dalla possibilità di competere per il titolo. Il punto della faccenda non è però il risultato sportivo del breve termine… Quello che Maldini e Massara stanno facendo è un mercato concreto e di prospettiva, nonostante l’esborso non sia stato così contenuto tenendo conto del periodo di Covid-19. Hanno perso i loro Giambi e Damon ad inizio mercato ed invece di andarli a sostituire con giocatori ipoteticamente equivalenti, hanno deciso di continuare a costruire una squadra, proseguendo nel solco tracciato con fatica l’anno precedente. 
Immagino che se ce ne fosse stata la possibilità economica avrebbero trattenuto volentieri almeno il solo Donnarumma, se non anche Calhanoglu. Allo stesso modo credo che non avrebbero disdegnato di poter attingere ad un portafoglio zeppo di petroldollari, elargendo stipendi da decine di milioni di euro. Purtroppo o per fortuna (questo dipende dal punto di vista che si ha del calcio e dello sport), hanno dovuto fare di necessità virtù. Ma come dice lo stesso Brad Pitt nel film, seduto al tavolo con tutta la sua organizzazione: “Esiste un altro prima base come Giambi? - No, è la risposta unanime - E se esistesse potremmo permettercelo? - No, di nuovo unanime - E allora di che ca..o stiamo parlando?”

Il problema non era sostituire Donnarumma con un giocatore equivalente, perché se anche questo giocatore fosse stato sul mercato si sarebbe trattato di un prospetto troppo caro per il Milan. Questa presa di coscienza ha portato ad una sessione di mercato con idee sorprendentemente chiare e ad una serie di acquisti rapida e programmatica, una cosa cui noi milanisti non siamo ancora abituati… La mia generazione è figlia dei “giorni del Condor” di Adriano Galliani, dell’attesa calma e misurata di chi era conscio della forza del proprio brand e sapeva farla valere nel momento più giusto, cogliendo occasioni d’oro a poche ore dal suono della campana. Maldini e Massara ancora prima dell’Europeo hanno portato a Milanello Maignan, poi hanno riscattato a furor di popolo Tomori come da contratto concordato con il Chelsea, hanno ridefinito le condizioni per acquisire a titolo definitivo Tonali, acquistato Olivier Giroud a prezzo di saldo, rinnovato il prestito stavolta biennale di Brahim Diaz e definito l’acquisto di Ballo-Touré. Mica poco. Possiamo definirlo un mercato faraonico? No, no di certo. Altisonante? Nemmeno. Funzionale? Sì, senza ombra di dubbio. 
Avranno tracciato la strada del futuro? Presto per dirlo. Probabilmente no. Ma come tutte le franchigie della MLB iniziarono a ridisegnare i propri organigrammi e ad abbracciare almeno parzialmente il moneyball in seguito a quella favolosa stagione degli Oakland Athletic’s, anche in Italia sembra che il mercato sia più dominato dall’intelligenza che dall’acquisto mediatico ad ogni costo. Certamente questo è più un effetto del Covid che spirito di emulazione verso il lavoro del duo Maldini - Massara, ma rimane forte la speranza di aver trovato dei dirigenti capaci di conferire un’anima alla squadra senza necessariamente dover spendere miliardi di euro.

A margine due note di colore. 
La prima: Billy Beane è realmente finito a lavorare nel mondo del calcio, come consulente per l’AZ Alkmaar, club olandese dalle alterne fortune.
La seconda: è quella che preferisco e che rafforza il paragone tra il film e l’attuale situazione rossonera. Dopo la stagione 2002 narrata nel film, a Billy Beane fu offerto il ruolo di GM dei Boston Red Sox, una di quelle potenze della lega che strappavano a peso d’oro i giocatori ad Oakland. La cifra sull’assegno era di 12,5 milioni di dollari. Beane rifiutò ed io mi auguro che Paolo Maldini non mi sbugiardi.