Ed infine, il caso Icardi giunse al paradosso.

Onestamente, non mi aspettavo che l’Inter potesse permettersi di tenere l’argentino in tribuna fino al termine della stagione. Vuoi perché in rosa l’unica altra punta pura è Lautaro Martinez, bravo e promettente ma non pronto a sorreggere il peso dell’intero attacco sia in campionato che in Europa League senza un cambio di livello (e Keita è lungo degente), vuoi perché questo scenario avrebbe necessariamente portato alla svendita estiva. Neanche il multimilionario PSG pagherebbe la clausola rescissoria sapendo che l’Inter non ha alternative alla cessione, e perché dovrebbe? La corsa dei vari club interessati sarebbe stata unicamente indirizzata ad accontentare le pretese economiche del giocatore, la cui volontà avrebbe assunto un peso ancor più decisivo del solito, con buona pace della società. 

La mia iniziale certezza, però, doveva sostenere il peso di dubbi sempre più pesanti giorno dopo giorno. Il braccio di ferro proseguiva, nessuna delle due parti mostrava almeno esteriormente segnali di stanchezza, le dichiarazioni erano sempre più rigide. Insomma, il clima che si respirava leggendo i giornali era davvero quello della guerra fredda: da un lato l’Occidente Icardi a continuare la propria battaglia social tramite letterine strappa lacrime e la moglie in tv a Tiki Taka, dall’altro l’Unione Sovietica Inter sotto la sua cortina di ferro di segretezza e frasi di circostanza. In mezzo, un muro di Berlino ben sorvegliato ed apparentemente impossibile da scalare o abbattere, sul quale facevano la ronda tifosi ed addetti ai lavori, volgendo sguardi inquisitori prima ad Ovest e poi ad Est.

Iniziava a farsi largo, seppure a fatica e nell’incredulità, l’idea che davvero questo caso potesse diventare pro futuro una pietra miliare anche della giurisprudenza sportiva: le vie legali tra l’ipotesi mobbing e lo spettro della mala fede iniziavano ad essere una prospettiva credibile! Quel che era partito con lo strappo da parte della società e la spoliazione della fascia, era proseguito con l’irrigidimento delle parti, la reciproca richiesta di scuse ed era sfociato nell’italica presentazione del certificato medico. Del resto, è risaputo che dinanzi alle dichiarazioni sul proprio stato di salute da parte del giocatore, la società non ha armi valide e men che meno coercitive... E dire che ci ha provato, l’Inter, a mettere Icardi di fronte alle proprie responsabilità, con tanto di perizia medica a seguito di visita specialistica che lo aveva qualificato come abile ed arruolabile. Nulla da fare, Maurito aveva continuato a trincerarsi dietro ad un presunto dolore. 

Quando si è ventilata l’idea dell’operazione al ginocchio con annesso il più classico “stagione finita per lui”, ero ormai quasi persuaso del fatto che il Dr. Marotta avesse convinto Zhang, Ausilio & co. della necessità di usare il pugno di ferro dinanzi a situazioni del genere, pure dietro pagamento di un prezzo potenzialmente alto. D’altronde, la stessa durezza sulla questione Nainggolan aveva portato esattamente i frutti sperati: stop alle chiacchiere sulle serate del ninja ed un’impennata decisa nel rendimento in campo suo e, va detto, anche della squadra. 

Questo, ovviamente, prima del fulmine a ciel sereno di ieri, quando Mr. Icardi ha rotto gli indugi rimangiandosi il diktat secondo cui non avrebbe più parlato con nessuno che non fosse il giovane presidente cinese e si è seduto al tavolo di pace presieduto dall’AD, alla ricerca di larghe intese in grado di riportarlo campo. 

Ed il dolore al ginocchio che gli impediva di allenarsi? E l’operazione di pulizia che l’avrebbe finalmente fatto tornare il cobra che tutti conosciamo? Nulla, silenzio assoluto e tutto sparito.
Mauro sta bene e, addirittura, ci si aspetta di vederlo in campo ad allenarsi da domani insieme ai compagni. La fascia di capitano? Il rinnovo? Le scuse? Tutto derubricato ed archiviato, fascicolo da chiudere a chiave nell’ultimo cassetto della scrivania di Marotta ed eventualmente riaprire ad estate inoltrata. Nel frattanto Handanovic capitano con buona pace argentina, Perisic in campo come se nulla fosse e Lautaro di nuovo in panchina. 

Questo scenario Stevenson se l’era figurato nella Londra vittoriana, ma ben può applicarsi ai giorni nostri l’assunto che riassume il significato profondo del libro: “Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m’ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.”