La Juventus compra Vlahovic, l'Inter Gosens, la Roma Sergio Oliveira ed il Milan Lazetic. In questo momento, in questi giorni, noi tifosi rossoneri ci sentiamo un po' tirati per la giacchetta ed è inutile negarlo.
D'altronde, potrebbe essere altrimenti? Siamo stati - con Berlusconi presidente - in qualche modo i precursori del calcio che spende e spande, del mecenatismo più sfrenato, dell'opulenza a patto che porti alla vittoria. Battendo questa strada abbiamo visto il Milan sul tetto del mondo e goduto di un ciclo lungo almeno vent'anni. La luce riflessa dalla nostra bacheca delle coppe ha ancora un minimo fascino, ma attribuirgli un peso specifico troppo elevato sarebbe miope tanto quanto rinnegare la strada percorsa nel più o meno recente passato. 
Dopo la folle e fallimentare gestione cinese sotto l'egida del duo Fassone Mirabelli (perché quest'ultimo ancora si riempia la bocca con il suo trascorso rossonero visti i risultati solo Iddio lo sa), come è noto, il Milan è finito sotto la lente della UEFA e del suo fantomatico Financial Fair Play. Da lì Elliot, Gazidis, Maldini e Massara hanno intrapreso un percorso che mi piace definire virtuoso e, seguendo pedissequamente l'iter che ci raccontano aver stabilito, hanno parzialmente risanato i conti del club, migliorato l'immagine commerciale e centrato risultati sportivi sorprendenti. Per questi motivi, non c'è che da fare a tutti loro un lungo e convinto applauso. Sfido chiunque a dire che il Milan attuale non sia nettamente migliore di quello che hanno ricevuto in eredità. 
Perché, dunque, noi tifosi non siamo contenti? 
Beh, prima di tutto sarebbe giusto ed onesto sottolineare che non tutti i tifosi sono uguali. Io, a mero titolo di esempio, rientro nella schiera di coloro che ad oggi sono pienamente soddisfatti dell'operato dell'attuale dirigenza e che pertanto gli riconosce un gran credito. Ad oggi, appunto. E faccio questa specificazione dopo aver letto l'ottimo articolo di Alberto Cerruti: "Milan, non basta lo scudetto dei bilanci", che mi trova pienamente d'accordo tranne che per un brevissimo ma significativo trafiletto. Il Signor Cerruti scrive infatti "Chi ha ragione? Se guardiamo alle cifre spese e al bilancio sicuramente il Milan, ma non ricordiamo nessun carosello dei tifosi per festeggiare i bilanci in ordine. I tifosi vogliono festeggiare le vittorie e i dirigenti dovrebbero pensare a vincere appunto, meglio se con i bilanci in ordine ovviamente". Ecco, è quel "meglio se con i bilanci in ordine ovviamente", anzi è quel "se" che proprio non mi va né in sù né in giù, come il celebre ovo sodo del film di Virzì.

Da quel se passa la differenza tra l'essere felicissimi dell'attuale dirigenza e l'essere invece sul piede di guerra. Da quel se passa la differenza tra il vincere lo scudetto degli onesti - buono solo per le pagine dei nostri social - e l'aver posto le basi per un futuro radioso. Quel se fa, dovrebbe essere chiaro, tutta la differenza del mondo.
Quel se è l'UEFA e quel se è il suo Financial Fair Play.
In effetti SE è necessario avere i bilanci in ordine per poter partecipare alle competizioni europee e godere degli introiti che esse generano, il Milan è l'unica squadra ad aver significativamente invertito la tendenza e, pertanto, noi rossoneri possiamo dormire sonni tranquilli. Il rapporto tra costi sostenuti e benefici ottenuti è quasi impareggiabile e questo al netto di alcune dolorose perdite a zero, su tutte quelle di Donnarumma, cui seguirà verosimilmente quella di Kessie. Ci sarà il tempo per sviluppare il progetto a medio lungo termine di cui i nostri dirigenti si riempiono spesso la bocca e che sono miele per le orecchie di quelli che ancora vogliono credere nell'equanimità della giustizia sportiva.
Ma SE al contrario i bilanci in ordine risulteranno essere un mero accessorio, una lode da apporre al risultato sportivo in assenza del quale la loro valenza sarà zero, allora saremo stati semplicemente dei creduloni e, ahimè, ci toccherà sorbirci una pletora di "te l'avevo detto" da una certa frangia dei nostri stessi supporters.

Tutto quello che occorre è la chiarezza, come dicevo nel sommario dell'articolo. Ci vuole chiarezza nei confronti dei tifosi: prima da parte delle istituzioni, poi da parte delle dirigenze, in modo che non sia possibile o facile giocare a nascondino con gli obiettivi che ci si possono prefiggere. Un conto è sapere che la propria società deve sottostare a regole che se violate portano la pena dell'esclusione dalle competizioni europee e multe salate, un conto è sapere che ci sarebbero tutte le scappatoie del caso ma non si è più abbastanza importanti da poterne usufruire.
Ad essere onesti i vari casi che sono stati ampiamente analizzati e dibattuti sui maggiori quotidiani italiani, nonché su queste pagine per mezzo di dossier anche molto approfonditi, dovrebbero già costituire prove sufficientemente forti a sostegno di quest'ultima tesi. Abbiamo ancora negli occhi le non sanzioni al Manchester City, al Paris Saint Germain, ecc e sono piuttosto recenti gli scandali sulle plusvalenze, ultimo segreto di pulcinella del nostro calcio. Eppure noi inguaribili ottimisti e piccoli sognatori della domenica vogliamo ancora concedere il beneficio del dubbio a questo fondo di investimento che ci ha riportato in Champions League dopo tanti anni. Abbiamo assistito al peggio del peggio negli ultimi lustri e subito onte sportive che sarebbero state inimmaginabili fino al 2010. Ci siamo rassegnati a guardare gli altri competere nell'Europa che era il nostro giardino, ci siamo rientrati dalla porta di servizio per poi vederci sfilare anche questo contentino da regole che sembrano valere soltanto per qualcuno. Abbiamo assistito a sanguoinose faide intestine e ci siamo fatti portabandiera della lotta alle maxi commissioni di certi procuratori. Abbiamo subito gli sberleffi delle altrui tifoserie quando abbiamo perso il portiere più forte del mondo a zero, salvo tacitarle almeno in parte con l'operazione Maignan.
Stiamo per perdere a zero anche Kessie e, con questa epurazione, l'era cinese sarà ufficialmente e completamente cancellata, giacché l'ivoriano era l'unico superstite della faraonica e dannosa campagna acquisti 2017. Al suo posto, già lo sappiamo, alla corte di Pioli sbarcherà Adli, insieme al rientrante Pobega. Un bel progetto, appunto, giovane e di ampio respiro. 

Come diceva l'ottimo Cerruti nell'articolo che mi ha ispirato il Milan non è però l'Atalanta dei Percassi e, con buona pace di Elliot, non è neanche l'Arsenal. L'Inter senza stadio di proprietà ha vinto lo scudetto e continua a spendere dopo aver ceduto alcuni dei suoi migliori calciatori registrando plusvalenze. I suoi conti non sono in ordine a quanto si dice e si legge, ma qual è il reale peso da attribuirgli? Perché a meno che questo non comporti revoche o squalifiche, lo scudetto degli onesti somiglia pericolosamente a quello dei più tonti e non è un riconoscimento che finisce cucito sulle maglie della prossima stagione.
La nostra proprietà dovrà uscire allo scoperto, perché se fare i debiti è l'unica strada per competere e vincere, noi tifosi saremo costretti a farcela andare bene.