Negli ultimi anni, gli appassionati di calcio hanno avuto il privilegio di assistere a pagine importanti e commoventi nella sotria di questo sport: gli addi di campioni del calibro di Iniesta, Totti, Del Piero, Maldini, Gerrard, Lampard, Zanett, Puyol e tanti altri.

In certi casi si è trattato di un addio al calcio a tutto tondo, in altri "solo" alla squadra cui hanno dedicato la propria carriera, di cui sono stati protagonisti nel bene e nel male, di cui sono divenuti Bandiere ed ambasciatori. No, non si tratta di un errore di battitura. Tutti loro sono stati Bandiere con la "B" maiuscola, uomini e non solo giocatori, che hanno spesso anteposto il prestigio della maglia che indossavano alla propria gloria personale. Certo, hanno avuto la fortuna di militare in formazioni blasonate - pur se non sempre così vincenti - ma hanno anche rifiutato i corteggiamenti di club del calibro del Real Madrid. 

Oggi, queste figure sono sempre più rare, e la motivazione non è semplicisticamente circoscrivibile al problema del calcio italiano in rapporto a campionati dove girano più soldi, perché certi personaggi mancano anche altrove... Si potrebbero citare come ultimi sopravvisuti di una generazione che sta sparendo Messi per il Barcellona e Sergio Ramos per i Blancos, ma quando anche loro appenderanno gli scarpini al chiodo chi sarà in grado di raccogliere un'eredità tanto pesante? 

Rimanendo per semplicità di cronaca con lo sguardo rivolto alla sola Serie A, non si può far altro che constatare la desolazione che ci attende... La Juventus ha pensionato nella pratica Andrea Barzagli, spedito in Russia il principino Marchisio, scaricato Gigi Buffon perché non più utile alla causa e si trova con il solo Giorgio Chiellini a portare avanti la generazione che si è fatta la trafila completa, dal campionato cadetto al recente filotto di scudetti.
Dietro di lui il nulla. Bonucci, che avrebbe potuto esserne l'erede, ha già dimostrato quel che vale sotto questo profilo: alzi la mano chi riesce solo ad immaginarsi uno Javier Zanetti andare a spostare gli equilibri in bianconero, salvo far rientro mestamente alla casa base l'anno seguente. 
All'Inter la situazione non è migliore, giacché lo sconquassante arrivo di Marotta ha strappato la fascia dal braccio di Mauro Icardi per consegnarla a Samir Handanovic, un gesto quasi senza precedenti...
Alla Roma il leader maximo De Rossi tiene botta, per fortuna. Insignito del titolo di Capitan Futuro fin da quando il Pupone era ancora nel pieno delle proprie qualità fisiche, ha dovuto attendere molto per onorare il ruolo, ma chi sarà il prossimo? Si spera in un Florenzi, un altro "romano de Roma", qualcuno che possieda quel legame speciale con la Capitale ed al contempo abbastanza talento da supportare e sopportare l'amore dei tifosi capitolini. L'augurio è che non ci deluda.

Ed al Milan? Noi rossoneri abbiamo versato lacrime di sangue negli ultimi anni. Orfani del capitano dei capitani, uno che è riuscito a non far rimpiangere niente meno che sua maestà Franco Baresi, abbiamo sopportato la fascia al braccio di un Leonardo Bonucci qualunque, decorato dalla società e non dallo spogliatoio, nonché corso il rischio di bruciare con quel simbolo un talento come Donnarumma, troppo giovane all'epoca per poterne sopportare il peso. Adesso quel pezzo di stoffa cinge il braccio di un ragazzo giovane ma molto esperto, uno che veste un numero pesante per la recente storia milanista. Un laziale, come ci ha tenuto ieri a sottolineare la curva biancoceleste e proprio come lo era Alessandro Nesta...
Questo ragazzo, che risponde al nome di Alessio Romagnoli, potrebbe veramente diventare un simbolo importante. Le stigmate del campione, che parevano essergli state frettolosamente attribuite per giustificare l'importante esborso economico sostenuto nel 2015 e che gli era valso l'appellativo di "Mister 25 milioni", sembrano invece presenti e ben visibili. Finora Alessio ha tenuto la bocca chiusa ed ha pedalato, ha sbagliato in campo, ma ha dimostrato di apprendere - e molto - dagli errori. A detta di tutti è migliorato nei fondamentali dove scarseggiava ed ha esaltato le caratteristiche positive che già gli appartenevano, è cresciuto insieme alla squadra vivendone in prima persona gli alti (pochi) ed i bassi (troppi), ha lavorato per diventare fondamentale nei meccanismi dei suoi allenatori e si è sempre confermato titolare inamovibile. Ultimo ma non ultimo, ha rinnovato il proprio contratto quasi in sordina, in un momento che aveva assoluta bisogno di tranquillità, piuttosto che di proclami. Negli ultimi sette anni, a Milanello, quella di farlo capitano è probabilmente la scelta più azzeccata che sia stata compiuta.

La speranza del popolo rossonero, ma che dovrebbe essere quella di tutti i tifosi di calcio, è quella di vederlo indossare la fascia per molti anni a venire, per tutti quelli che comporranno la sua carriera, che gli auguriamo lunga e piena di vittorie. Perché il pallone ha bisogno di uomini e non di figurine, perché una buona dose di sentimento non può essere sostituita neanche dall'arrivo di campionissimi già affermati, perché senza le bandiere lo sport è privo di colore.
E quindi forza Alessio, dimostra che ancora nel calcio plurimilionario degli sceicchi e degli Abramoviç, dei Raiola e dei Mendes, della Cina e della MLS, si può essere uomini, simboli e che i sentimenti di noi tifosi rivestono un ruolo di primo piano. Perché non ci saranno più le facce dei ragazzini e degli uomini rigate dalle lacrime, in un pomeriggio di Maggio all'Olimpico, non ci saranno più i brividi di coloro che osservano quelle immagini, non ci saranno più le standing ovation al Bernabeu e gli inchini dei Sergio Ramos ai Paolo Maldini durante le premiazioni senza che qualcuno segua il solco tracciato dai campioni del passato.
E quello sì che sarebbe triste.