Vincere per ripartire: l’imperativo categorico di una Roma solo parzialmente guarita con il passaggio del turno in Coppa Italia. Vincere soprattutto per tenere viva la corsa al quarto posto, approfittando di un Genoa tutt’altro che insormontabile ma, per l’ennesima volta in stagione, da affrontare in totale emergenza, tra infortuni, convalescenze e squalifiche. Di fatto, con undici scelte obbligate. Tornando al consueto 4-2-3-1, Fonseca schiera dunque Pau Lopez in porta, Smalling e Mancini centrali, Santon a destra al posto dello squalificato Florenzi e l’infortunato Spinazzola a sinistra, al posto dell’altro squalificato Kolarov. Una scelta coraggiosa da parte del portoghese, evidentemente ispirato dalla teoria di un suo illustre predecessore, Nils Liedholm, per cui spesso si giochi meglio in 10. In mediana confermatissimi Veretout e Diawara, con Pellegrini, Under e Kluivert a formare il tridente alle spalle di Dzeko.

Parte bene la Roma, che inizialmente prova a evitare la corsia sinistra per non mettere in difficoltà l’infortunato Spinazzola. Mossa saggia, visto che dopo sei minuti è già in vantaggio. Il gol nasce dalla solita giocata di Under, che ciondola, si accentra e sparacchia un tiro-cross che Perin, forse ingannato dal mancato intervento di Pellegrini, lascia scivolare in porta. Il gol dà fiducia alla squadra giallorossa, che lentamente prende possesso del campo. Sugli scudi, a sorpresa, proprio l’infortunato Spinazzola, che a vederlo sembra stare benissimo. L’ex Inter traccia solchi profondi sulla destra arrivando spesso al limite dell’area genoana, da dove piazza una bel cross sulla testa di Dzeko, che da due passi grazia Perin. Gol sbagliato, gol quasi subito: uno svarione della difesa romanista esalta Pau Lopez, che salva il risultato con la complicità di Ghiglione, in una perfetta imitazione dell’avversario bosniaco. Insieme a Pellegrini (che almeno ha la giustificazione della diffida pendente), il centravanti è il vero uomo in meno della Roma: lento, deconcentrato, a tratti irritante per l’assoluta mancanza di carica agonistica, spreca malamente ogni palla che Diawara, ancora una volta tra i migliori in campo, si prodiga a ripulire e smistare, pregandolo, per cortesia, di farci qualcosa di buono. Niente.

Tra lo stupore generale, il guizzo vincente arriva nuovamente da sinistra, dove l’infortunato Spinazzola mostra per quale motivo l’Inter abbia deciso di non prenderlo. Come il calabrone che non ha la struttura per volare ma non lo sa e vola lo stesso, il terzino rotto si beve la fascia, entra in area e ciabatta al centro un pallone che sbatte addosso a Biraschi e finisce in rete. Peccato che sia un autogol, perché altrimenti Spinazzola sarebbe stato il primo giocatore infortunato a giocare e segnare in Serie A. Ce ne faremo una ragione. Quel che conta è che, a un minuto dall’intervallo, Spinazzola si prende una discreta rivincita e la Roma il gol del raddoppio. Sembra tutto troppo bello per essere vero, e infatti lo è. Neanche il tempo di ricomporsi dopo l’esultanza che il Genoa spara quello che nel football americano si chiama “Hail Mary pass”, la palla dell’Ave Maria: tutti avanti e speriamo bene. Una speranza che diventa certezza se l’avversario veste giallorosso e porta il nome della Capitale. Santon si addormenta, Pau Lopez si distrae un attimo e Pandev ne approfitta per accorciare le distanze quando tutti stanno già pregustando il proverbiale the caldo. Che, puntualmente, ci va di traverso.

La ripresa, in puro stile romanista, è al gusto sofferenza. Ringalluzzito dal gol, il Genoa rientra determinato a prendersi il pareggio, mentre una Roma impaurita si abbassa e subisce fin troppo gli affondi avversari. Per la seconda volta, a salvare i propri compagni ci pensa Pau Lopez, che si supera togliendo da sotto la traversa un colpo di testa di Goldaniga. Una parata talmente impressionante da raccogliere l’applauso di Perin e far sembrare facile quella successiva, su una rasoiata da fuori di Barreca. La Roma fatica a uscire palla al piede per sviluppare le sue trame e quindi si affida più spesso ai lanci lunghi su Dzeko, che puntualmente non li tiene. La prestazione del bosniaco è più che deludente fino a un quarto d’ora dalla fine, cioè fino a quando Perin prova a imitare lo stile di gioco di Pau Lopez. Con scarso successo. Un suo rinvio sbagliato finisce tra i piedi di Pellegrini, che fa una delle poche cose buone della serata servendo Dzeko in area con i tempi giusti. Questi, da parte sua, ce la mette tutta per sbagliare a tu per tu con il portiere avversario, ma alla fine sigla il gol che chiude il match nel momento di massimo sforzo del Genoa. I minuti finali sono puro intrattenimento, soprattutto per il bosniaco, che torna a giocare da fuoriclasse qual è, facendo impazzire i malcapitati liguri. Fonseca toglie Santon per Cetin e Under per Bruno Peres (giustamente accolto dal boato del settore ospiti) nel tentativo di assicurare maggior copertura alla squadra e, dopo un’ultima allegra dormita della difesa che costringe Pau Lopez a fare gli straordinari su Pandev, porta a casa una vittoria importantissima. La medicina giusta per recuperare le forze e continuare a lottare per il quarto posto. In barba a squalifiche e infortuni, veri o presunti che siano.

Una vittoria meritata, al cospetto di un Genoa che, con tutti i suoi limiti, ci prova finché può. Una vittoria di conferme ma anche di sorprese. Su tutte, quella di Spinazzola, dopo una settimana passata tra Fiumicino e Malpensa, all’insegna dell’umiliazione inflittagli da una società che l’ha voluto e poi scaricato con una bugia. Smontata in novanta minuti: quelli giocati dal terzino, oggi probabilmente alla sua miglior prestazione in maglia giallorossa. Ma anche una vittoria sofferta, arrivata al termine di una prestazione non pienamente convincente. La Roma di ieri qualche attenuante l’avrebbe pure, ma nessuna sufficiente a giustificare del tutto la svagatezza in difesa e la poca concretezza sotto porta. Il gol del Genoa è l’esempio più lampante. Un episodio diverso per dinamica ma molto simile, per mentalità, alla catena di errori commessi sul gol di Demiral. Distrazione, eccesso di leggerezza, mancanza di cattiveria, decidete voi come chiamarla, poco importa. Il succo è la facilità con cui la Roma si espone ai rischi, vanificando l’incredibile mole di lavoro accumulata ma non finalizzata. Un difetto già pagato caro, su cui lavorare tanto in vista del cruciale doppio impegno di questa settimana.