Dopo il pareggio agguantato in extremis contro l’Inter, il match con la Fiorentina aveva assunto improvvisamente contorni diversi per la Roma. Alla disperata ricerca di punti ma con un po’ di entusiasmo in più, la squadra di Montella sembrava un avversario in grado di complicare la vita di una Roma con ben altre ambizioni di classifica. Per questo, contro i pur affamati viola, la Roma non poteva sbagliare. E non l’ha fatto. Al Franchi, la Roma si è imposta da grande squadra, dominando campo e avversari attraverso la migliore arma di cui Fonseca l’ha dotata: il gioco. Ieri si è visto tutto il divario tra una squadra con delle idee precise e interpreti di qualità a metterle in pratica; e una tanto interessante nei singoli (infortunati compresi) quanto disarmante nell’organizzazione.

Per metterlo in evidenza la Roma ha impiegato meno di venti minuti.
Ispira il solito Pellegrini, che si porta a spasso mezza difesa viola e serve un pallone delicatissimo a Zaniolo, che in allungo mette Dzeko a due passi dalla porta spalancata. Nel gol che apre la partita c’è tutta la qualità di una Roma che gioca praticamente a memoria e che, quando va a briglie sciolte, si prende la partita di prepotenza. La stessa con cui Kolarov si prende una punizione da una mattonella non favorevole per un mancino, disegnando la solita traiettoria perfetta che si spegne alle spalle dell’immobile Dragowski. Neanche il tempo di ricomporsi dopo il vantaggio, che la Roma raddoppia. A neanche metà primo tempo, la Fiorentina sembra già al tappeto, stesa dal tremendo uno-due balcanico. Più che i viola, a raddrizzare la partita ci prova più un Orsato in pessima forma, autore di una direzione di gara fin troppo casalinga. Da parte loro, i viola salgono di tono solo quando la Roma tira un po’ troppo il fiato. Smalling, Mancini e Pau Lopez sbrogliano a turno qualche situazione intricata, arrendendosi solo sull’azione confusa che porta al gol di Badelj. La partita si riapre in modo decisamente casuale, ma la Roma non si scompone più di tanto. Testa bassa e pedalare, anzi, macinare gioco. Sempre e comunque, forse anche negli spogliatoi, tra un tè caldo e un massaggio.

La Roma rientra in campo così come era uscita. Davanti a una Fiorentina che ci prova più con lo slancio che con la qualità, i giallorossi passano sempre per i propri automatismi: possesso palla e geometrie, anche a costo di prendersi qualche rischio. Più che calcolato. Il marchio romanista è, per l’ennesima volta, l’azione di un gol. Quello decisivo, che spezza definitivamente la partita. La trama giallorossa inizia da Pau Lopez, che gioca una palla non banale per Diawara. Sulla pressione viola, il mediano giallorosso non batte ciglio e torna dal suo portiere. La palla va quindi a destra, dove Mancini serve Florenzi, che con uno splendido tocco d’esterno salta il pressing avversario e trova l’onnipresente Pellegrini. Il trequartista si invola, scambia con Dzeko e, in una selva di maglie viola, piazza in buca d’angolo un rasoterra perfetto. Il primo gol stagionale del sette giallorosso è il gioiello che chiude la partita e spegne le speranze di una Fiorentina che, sul gong, si arrende addirittura per la quarta volta. Sbilanciati in avanti, in cerca di una rimonta che è una chimera, i viola si fanno infilare in ripartenza. Dzeko fa quello che sa fare meglio, tenendo palla e lanciando la solita, prepotente galoppata di Zaniolo, che entra in area e batte Dragowski in diagonale. La corsa sotto lo straordinario settore ospiti e il bacio alla maglia sono le immagini più belle di una serata perfetta, chiusa addirittura con quel pizzico di fortuna che fa stampare sulla traversa una bella punizione di Vlahovic.

Ancora una volta, dunque, la Roma vince e convince. Torna da Firenze con tre punti pesantissimi frutto di un’altra grande prestazione, al di là del risultato finale. La squadra di Fonseca vive in funzione del dominio territoriale e del possesso palla, cercando lo spiraglio in cui infilarsi e colpire, appoggiandosi all’enorme qualità dei suoi interpreti offensivi. Là davanti, tutti sanno fare tutto. Succede così che Pellegrini ispiri per Zaniolo e Dzeko, prima che il bosniaco ricambi il favore a entrambi. Dalla trequarti in su la Roma ha soluzioni potenzialmente infinite, che le permettono di sopperire alla spesso scarsa vena realizzativa di un numero 9 senza il quale, tuttavia, certi gol non sarebbero possibili. Dalla trequarti in giù, invece, i giallorossi sembrano aver trovato una quadra che solo gli ottimisti più balordi avrebbero potuto immaginare. Lo ammetto, io non sono tra questi. Eppure, oggi, fatico a non vedere Diawara al fianco dell’imprescindibile Veretout. Per non parlare della coppia difensiva, che sembra comunicare telepaticamente; o di un portiere che mi provoca almeno uno scompenso a partita, ma che, al momento decisivo, fa sempre la cosa giusta. In tutto questo, ieri anche Florenzi è sembrato tornare un giocatore da tenere in considerazione, al netto delle ormai note sbavature difensive.

Quando gira, la Roma è un’orchestra perfettamente diretta da un maestro bollato troppo velocemente come successore di un certo boemo. Niente di più sbagliato.
Fonseca è un tecnico solido, quadrato, che sa cosa vuole e, soprattutto, come ottenerlo. L’abbiamo visto stasera, per l’ennesima volta, a conclusione di un 2019 di dolori che solo una Roma convincente come questa poteva aiutarci a dimenticare, per quanto possibile. Ora, per un paio di settimane, ci sarà il tempo di ricaricare le pile e recuperare pedine importanti come Cristante e Kluivert. In vista di un anno nuovo da cominciare come si è chiuso quello che stiamo per salutare. Senza porsi limiti.