Iniziamo dalla fine, ma facendo un passo indietro. Non mi piace auto-citarmi, ma, il giorno dopo la disfatta contro il Torino, avevo scritto che “chi era già proiettato alla Juventus, o addirittura al derby, ieri sera è stato violentemente riportato alla realtà”. Una realtà che oggi è semplicemente brutale. La Roma di fine dicembre non esiste più. La Roma da 0 punti nei primi due match dell’anno nuovo è l’ombra sbiadita della squadra che che, solamente venti giorni fa, raccoglieva elogi e faceva ben sperare per il futuro. Sarà un’impressione, ma la Roma di oggi sembra prigioniera di se stessa. O meglio, di un ricordo fin troppo positivo di se stessa. Come quei ricordi d’infanzia che la nostalgia amplifica e distorce, ingannandoci fino a farci dubitare di averli vissuti davvero. La Roma di oggi sembra galleggiare nel limbo del “vorrei ma non posso”: ricordo com’ero e vorrei ripetermi, ma proprio non ci riesco. Perché? Per l’esagerata esaltazione di aver chiuso il 2019 al quarto posto solitario, come dice qualcuno? Un po’ poco. Altro? Difficile dirlo.

Quel che sia, comunque, si manifesta tutto nei primi dieci minuti della fin troppo attesa sfida con la Juventus. Leggerezza, distrazione, supponenza: chiamatela come volete. Ciò che conta è che la Roma, come sempre succede quando proprio non è il momento, sbaglia clamorosamente l’approccio alla partita. Dopo neanche tre minuti, infatti, la Juventus passa in vantaggio con un gol di Demiral che, come si suol dire, andrebbe mostrato nelle scuole calcio per spiegare come non si deve difende sui calci piazzati. Più che del turco, cui va comunque il merito di crederci, il gol è frutto della marcatura allegra di Kolarov, che vaga trasognato sul secondo palo invece di occuparsi di chi arriva dietro di lui. Solo sfiorato da Smalling, il cross di Pjanic spiove esattamente dalle parti del serbo, che, fuori posizione, si fa anticipare dalla zampata del centrale bianconero. Una doccia fredda che paralizza il cervello della Roma. La scelta delle parole non è casuale.

Perché è proprio il cervello della squadra di Fonseca, Jordan Veretout, a girare a vuoto e propiziare il raddoppio bianconero. Applicando la consueta salida lavolpiana, il mediano si abbassa tra i due centrali per ricevere lo scarico del portiere e iniziare l’azione. Questa volta, però, il francese si addormenta e si fa soffiare la palla da Dybala, che entra in area e non segna solo perché lo stesso Veretout lo atterra un attimo prima di calciare, rischiando un cartellino rosso che, fortunatamente, non arriva. Ad arrivare è invece Cristiano Ronaldo, che piazza il pallone sul dischetto e lo spedisce alle spalle di Pau Lopez. La doccia fredda diventa un lago di alta montagna in pieno inverno. Una spessa, solida lastra di ghiaccio sotto cui la Roma si intrappola da sola, e non riesce in nessun modo a uscirne. La squadra di Fonseca è lenta, molle, sfilacciata. Si affida di volta in volta alle intuizioni di singoli in evidente serata no, come Pellegrini e Dzeko.
L’unico che sembra più presente a se stesso è Nicolò Zaniolo,
che, alla mezz’ora, si lancia in una delle sue prepotenti cavalcate, stavolta per vie centrali, superando mezza Juventus e terminando la sua corsa solo contro il destino. Quello che mette fine alla sua stagione. Piove sul ghiacciato. Al cospetto di una delle peggiori Juventus che ricordi, la Roma è semplicemente sconcertante. Un’immagine su tutte: il pallone che Pellegrini si ritrova tra i piedi a due passi dalla porta di uno Szczesny battutto, e che tira addosso a Rabiot.

La squadra di Fonseca prova a scassinare la cassaforte di Sarri con lo strumento che conosce meglio: il fraseggio. Il possesso giallorosso, tuttavia, è monocorde, prevedibile, assolutamente sterile. E le poche volte che si indovina un’imbucata, questa è puntualmente vanificata da scelte individuali sbagliate.
Il secondo tempo è tutto qui. La Roma che attacca, o meglio, presidia la metà campo bianconera in attesa che accada qualcosa, e la Juventus che tenta di riempire ogni spazio e ripartire. In realtà qualcosa accadrebbe pure, anche se ci vuole l’intervento del VAR per renderlo noto all’arbitro Guida. Alex Sandro controlla con la mano un pallone che sarebbe finito in calcio d’angolo (la Roma ne batte 13 senza mai impensierire la Juventus) e regala ai giallorossi la possibilità di accorciare le distanze dal dischetto.
Mancano oltre venti minuti alla fine quando Perotti raccoglie il pallone da dentro la porta di Szcesny. Venti minuti in cui la Roma ripropone lo stesso monologo, cogliendo un palo con l’unica giocata degna di nota di Dzeko e creando almeno un altro paio di situazioni potenzialmente pericolose, ma senza trovare il gol. Lo stesso bosniaco mastica un pallone buono al limite dell’area piccola, mentre i suoi compagni sembrano volerci entrare in porta, invece di spaccarla con la necessaria cattiveria. In realtà succede anche alla Juventus, con Ronaldo che gestisce male un tre contro Smalling e aspetta un po’ troppo a servire Huigain, finito in fuorigioco con l’alluce, forse. La Roma evita così il terzo gol, ma non riesce comunque ad approfittare della confusione che regna sovrana nei minuti finali per portare a casa almeno un punto.

Gli errori da matita blu di due singoli condannano la Roma a perdere una partita che doveva giocare diversamente, ma che, con un po’ di determinazione e lucidità in più, poteva anche pareggiare. Non è successo, e francamente mi chiedo se sia un bene o un male.
Un pareggio in rimonta avrebbe smosso la classifica quel tanto che bastava a mantenere il quarto posto e dato a noi romanisti qualcosa di cui rallegrarci nella serata che ci ha privati di Zaniolo. Ma avrebbe, forse, mascherato i problemi che affliggono questa squadra. La sconfitta, d’altro canto, ci lascia addosso una sensazione a metà tra incredulità e rassegnazione. Eravamo consci dell’eventualità, ma non pronti alle circostanze. Pensavo, pensavamo, che il passo falso contro il Torino fosse servito da lezione. Evidentemente ci sbagliavamo.
E ora ci ritroviamo nella situazione da cui eravamo convinti di esserci messi al sicuro: in lotta per il quarto posto con un’Atalanta decisamente più pronta, in forma e in fiducia. Lontanissimi dalle prime tre, che solo qualche settimana fa sembravano così vicine. Ma soprattutto con un girone di ritorno fitto anche di altri impegni, da affrontare chissà con quali forze, visto che di mercato, finora, non si parla proprio. Di sicuro, senza quella di Zaniolo. Al quale, in chiusura, voglio augurare con tutto il cuore di mantenere la promessa consegnata ai social dopo la terribile diagnosi. E’ troppo importante. Per lui, per noi, per la Roma.

Così come sarà importante, nei prossimi giorni, non prestarsi all’inevitabile gioco al massacro che coinvolgerà squadra, allenatore, dirigenza e società. Non perché questi siano esenti da colpe, ma perché un clima di caccia al capro espiatorio danneggia tutti. In primo luogo, chi della Roma è “solo” tifoso. Succederà, possiamo starne certi. E proprio perché lo sappiamo, dobbiamo evitare a tutti i costi di prendervi parte.