Da quando è iniziata a circolare la voce dell’imminente passaggio della Roma da Pallotta a Friedkin, ho letto veramente di tutto. Da chi, ieri, parlava di comunicati in arrivo dopo la chiusura della Borsa (di domenica!), a chi, stamattina, si lascia andare alle più sfrenate fantasie su cosa farà Friedkin dal momento in cui metterà piede a Trigoria (in realtà all’Eur, visto che da tempo la società ha spostato lì il proprio quartier generale).
Del prossimo proprietario della Roma, ormai, sappiamo praticamente tutto: a quanto ammonti il suo patrimonio, come lo abbia accumulato e, soprattutto, come intenda investirlo nella Roma. Personalmente, voglio porre l’accento proprio su questo aspetto. Perché la fanfara mediatica che sta accompagnando l’arrivo del nuovo proprietario ricalca in modo inquietante quella che, più di otto anni fa, accompagnò lo sbarco di Di Benedetto (chi se lo ricorda?) prima, e di Pallotta poi. Oggi, come allora, si racconta di strategie, investimenti, riorganizzazioni societarie, mercati e chi più ne ha più ne metta. Più che alla stampa, il mio umile appello da tifoso è rivolto ai romanisti che mi piace definire “di buona volontà”: non cadiamoci.

Non cadiamo, cioè, nella trappola in cui cademmo alla nascita della Roma americana. Perché significherebbe non aver imparato niente da questi anni di altalene sportive ed emotive. Fidarsi di chi oggi traccia il percorso della nuova Roma di Friedkin, senza avere alcun riscontro reale, significa caricare delle stesse aspettative un futuro che, almeno all’inizio, non potrà discostarsi più di tanto dalla deludente attualità. Per fare un esempio concreto, parliamo del mercato. In questo momento basta sintonizzarsi su una qualsiasi delle emittenti che affollano l’etere romano per ascoltare la fatidica domanda “E mo chi pijamo?”. Già, perché è bastato parlare del 504° uomo più ricco del mondo per accendere i più spinti sogni di calciomercato. Sogni destinati a rimanere tali, almeno per ora.
La Roma di Friedkin, esattamente come quella di Pallotta, sarà sottoposta al fair play finanziario. Come fa con ogni club che cambia proprietà, l’UEFA chiuderà un occhio, ma non si girerà dall’altra parte. Immaginare che Friedkin porti questo o quel top player, come se avesse fondi illimitati e non, semplicemente, un progetto imprenditoriale, significa illudersi. E, di conseguenza, lamentarsi del fatto che i campioni non arriveranno, o, peggio, lasceranno la Roma. Già, perché anche sperare che la Roma di Friedkin abbandoni la via del player trading significa illudersi. Iniziamo ad accettare questo, e tutto il resto verrà da sé.

Come, per fare l’esempio di un altro argomento ampiamente cavalcato in queste ore, i rientri in società di Totti e De Rossi. Una questione spinosa da affrontare senza rischiare peccati di lesa maestà.
Tra i tanti errori commessi dall’attuale proprietà c’è sicuramente la gestione a dir poco dilettantesca dell’addio dei due monumenti romanisti. Che, legittimamente, hanno scelto di intraprendere altre strade: Totti si è lanciato nel mondo della procura, mentre De Rossi è ancora un calciatore. Immaginare che tornino facendo finta di niente, solo perché glielo chiede un proprietario che non è Pallotta, significa illudersi. E puntualmente, contestare la nuova società nel momento in cui Totti e De Rossi declineranno eventuali offerte. Per quali ruoli, poi? Perché Friedkin dovrebbe fare ciò che non ha fatto Pallotta, consegnando le chiavi di Trigoria a due ex campioni del tutto privi di esperienza a livello dirigenziale o di panchina? Più facile, molto più facile, immaginare che, dopo un fisiologico periodo di transizione in cui le cose resteranno così come sono, il nuovo proprietario piazzi in società i suoi uomini di fiducia (tra cui il figlio Ryan, per cui si parla di un ruolo alla Steven Zhang, tanto per intenderci), ignorando, altrettanto legittimamente, la storia della Roma.

Potrei andare avanti ancora a lungo, parlando di stadio, comunicazione, brand, sponsor e quant’altro, ma sarebbero tutti aspetti di scarsissimo interesse per il tifoso medio (tra cui il sottoscritto). A volerli analizzare, tuttavia, ci si renderebbe conto dell’enorme lavoro portato avanti dall’attuale proprietà, senza il quale la Roma di Pallotta non varrebbe quasi 800 milioni, a dispetto degli “zeru tituli”. Tutto questo, in ogni caso, non conta.

Ciò che conta davvero, oggi, è non cedere alle tentazioni, ai sogni di gloria, alle illusioni. Ciò che conta davvero, oggi, è restare con i piedi per terra e non aspettarsi nulla.
Solo così potremo vivere serenamente la nuova era americana, se ci sarà. Con la consapevolezza che Friedkin sia un imprenditore e non uno sceicco, e che la Roma sia ancora all’inizio del percorso che, speriamo, la porterà un po’ più vicina ai top club europei. Senza però abbandonare la speranza che il magnate texano sollevi i trofei che Pallotta non è riuscito a sollevare, e che avrebbero certamente cambiato il suo rapporto con una piazza che, in otto anni, si è sentita sedotta e abbandonata.