Metto le mani avanti: sono sempre stato un grande estimatore di Zlatan Ibrahimovic.
Fino a qualche anno fa avrei fatto carte false per vederlo in maglia giallorossa, ma la dimensione della Roma non avrebbe mai consentito un colpo del genere. Così ho dovuto accontentarmi, si fa per dire, di vederlo fare sfracelli indossando altri colori, ammirandone tutta la classe e la (pre)potenza di cui gli dei del calcio l’hanno dotato. Quello Zlatan Ibrahimovic, tuttavia, appartiene al passato. Magari non remoto, ma comunque passato. L’Ibrahimovic attuale un calciatore che ha passato gli ultimi due anni a passeggiare sui ben poco competitivi lidi statunitensi, prima di decidere che anche quell’avventura fosse giunta al termine. Due mesi di inattività dopo, infine, eccolo pronto per un ritorno al Milan che, da appassionato di calcio, capisco solo fino a un certo punto. Sarà senza dubbio per miei limiti personali, ma sull’operazione nutro parecchi dubbi.

Il primo è di natura squisitamente tecnica. Posto che Ibrahimovic non si discute, mi chiedo come giocherà il Milan nei prossimi mesi. Ammetto di non aver seguito tutte le partite dei rossoneri, ma, dal poco che ho visto, ho notato una squadra macchinosa, che fatica terribilmente a segnare. Lo confermano i numeri: il Milan ha segnato meno del Genoa ultimo in classifica. Pensare che Ibrahimovic, da solo, possa risolvere un problema che evidentemente affligge la squadra nel suo complesso, è pura utopia. Il 38enne Ibrahimovic non può certo crearsi da solo le occasioni da gol, e non è neanche immaginabile che si sacrifichi correndo a tutto campo. Banalmente, se la squadra non gira, un singolo giocatore, per quanto fenomenale sia, non può fare davvero la differenza. I gol e i colpi cui Zlatan ci ha abituato arriveranno sicuramente, ma quanto incideranno sul percorso di una squadra come il Milan di oggi? Cosa ci si aspetta da Ibrahimovic? Che, come per magia, risollevi il Milan dalla palude di metà classifica e lo riporti in Europa? Francamente, mi sembra un obiettivo ben al di là delle potenzialità di questa squadra, anche con lo svedese in attacco. Soprattutto con solo metà campionato ancora da disputare, e ben otto punti di distanza dal sesto posto.

Leggendo qua e là, tuttavia, mi sembra di capire che neanche i tifosi milanisti (o almeno molti di essi) si aspettino tanto dal ritorno di Ibrahimovic. Più che altro, dicono, lo sbarco di un alieno come Zlatan nello spogliatoio rossonero servirà a scuotere dal torpore il resto della squadra.
E qui mi sovviene il secondo dubbio, quello di natura puramente umana. Il Milan sta prendendo un calciatore o uno sceriffo? Un centravanti utile alla causa o una sorta di giustiziere della notte deputato ad “attaccare al muro” chi non si comporta come dovrebbe? Ibrahimovic deve portare la mentalità vincente a suon di giocate o di schiaffi? E come dovrebbe reagire il resto della squadra? Stando zitta e buona a subire, letteralmente, l’ingombrante ego di Zlatan? Non mi è chiaro. Come non mi è chiaro la reazione che ci si aspetta, in particolare, dai due centravanti del Milan. Cosa dovrebbero pensare Piatek e Leao, visto che, giocoforza, saranno sacrificati sull’altare del dio Zlatan? Si accontenteranno, in due, degli scampoli di partita che il cannibale svedese concederà loro di giocare (perché non venitemi a dire che deciderà Pioli quando e come impiegarlo)? Se il Milan è una macchina con troppi ingranaggi fuori posto, Ibrahimovic rischia di essere quello più fuori posto di tutti. Perché sa di essere l’unico vero fuoriclasse in una squadra imbottita di eterne promesse e illustri incompiuti, e difficilmente riuscirà a non farlo pesare, anche inconsciamente.

Quindi, perché il Milan ha preso Ibrahimovic? Per come la vedo io, mi sembra la classica mossa della disperazione, sotto tutti i punti di vista. Si scommette sul vecchio campione che ha già imboccato il viale del tramonto, sperando che abbia ancora qualche guizzo nella testa e nelle gambe. Ma soprattutto si dà a una piazza infuriata qualcosa per cui essere contenta e dimenticare, almeno per un po’, le delusioni di un campionato figlio di strategie societarie completamente sbagliate. In tutto ciò, a guadagnarci davvero, sono solo in due: Ibrahimovic, che si assicura l’ultimo, sontuoso ingaggio della sua fantastica carriera; e Mino Raiola, che mette a segno l’ennesimo capolavoro e incassa, immagino, l’ennesima mega-commissione. Tutti gli altri, dai tifosi arrabbiati ai tanto incensati dirigenti milanisti, non possono far altro che aggrapparsi alla speranza che vada tutto per il verso giusto. Per quali obiettivi, lo ripeto, continua a non essermi chiaro. Perché, lo ammetto, vedere Zlatan Ibrahimovic predicare nel deserto per portare il Milan dal decimo al nono posto, mi metterebbe addosso tanta tristezza. Per ciò che sono stati lui e i colori che si appresta a indossare di nuovo.