Doverosa premessa: quella che si profila all'orizzonte è un'operazione che boccio su tutta la linea. In primo luogo perché non mi va giù che la Roma contribuisca più di quanto abbia fatto con Spinazzola a sistemare i problemi di bilancio della Juventus. In secondo luogo perché penso che un calciatore come Riccardi (ma anche Bouah e Celar) non possa essere ceduto a cuor leggero. E infine perché Rugani non mi sembra il profilo migliore per la Roma di Fonseca. Per me, dunque, il maxi-scambio Riccardi/Bouah/Celar-Rugani non s'ha da fare. Né ora né mai. 

Ciò che mi interessa analizzare è il nucleo concettuale della discussione, o meglio, della polemica che da ieri infiamma la piazza romanista: utilizzare la Primavera per fare plusvalenze e sistemare il bilancio senza cedere i big. Di fatto, ciò che Petrachi sembra ben intenzionato a fare, a differenza dei suoi predecessori. Tranne Manolas, per cui, è bene ribadirlo, il Napoli ha di fatto pagato la clausola, il neo-ds giallorosso è infatti riuscito a trattenere tutti gli altri big in rosa, rinnovando il contratto a Dzeko, Zaniolo, Under, Fazio e Pellegrini (in arrivo nei prossimi giorni). Contratti che pesano eccome sul bilancio di Pallotta, e che rendono dunque necessario il sacrificio di qualche giovane Primavera. 

Una strategia cui, negli ultimi anni, hanno fatto ricorso sia l'Inter che la Juventus, gonfiando le valutazioni dei loro giovani per aggirare le regole dell'(inutile) fair play finanziario. Una strategia che a Roma ha fatto molto discutere, tra chi si poneva su una linea critica e chi, non meno numeroso, ne invocava l'adozione anche da parte della dirigenza giallorossa. Per non cedere i Salah, i Rudiger, i Paredes, gli Alisson, perché non fare come Inter e Juventus? Una domanda che fino all'anno scorso rimbalzava quotidianamente da una frequenza all'altra dell'etere romano, ma che oggi non si pone più nessuno. Cosa è cambiato? In realtà ben poco.

A Roma è normale stracciarsi le vesti per le cessioni dei Primavera, inevitabilmente etichettati come potenziali fenomeni. Anche quelli che, a differenza di Riccardi, non lo sembrano affatto. La lista è lunghissima e comprende anche nomi piuttosto noti, ma tutti accomunati da due elementi: le polemiche della piazza al momento della cessione e la mancata affermazione a grandi livelli. Diciamolo chiaramente: negli ultimi anni nessun potenziale campione uscito dal vivaio della Primavera giallorossa ha mantenuto le promesse. Neanche quell'Alessio Romagnoli dipinto come la reincarnazione di Nesta. L'ultimo è stato Florenzi, su cui nessuno scometteva due lire ai tempi della Primavera, e di cui nessuno (compreso il sottoscritto) oggi rimpiagerebbe la cessione. 

Insomma, non è affatto scontato che un calciatore che fa bene in Primavera diventi un calciatore in grado di fare il titolare nella Roma. Anzi, è molto più probabile che non ci riesca. E quindi tanto vale correre il rischio di perdere un giovane dal futuro incerto, se questo significa poter trattenere uno Zaniolo o un Pellegrini, salvando inoltre il bilancio, per quanto iniqua sia la regola. Questo, è evidente, a Roma non lo accettiamo di buon grado. E' successo con Luca Pellegini, sta succedendo con Alessio Riccardi. Il quale, lo ripeto e lo sottolineo, ha tutto per sfondare in Serie A. Deve ancora crescere, certo, ma cederlo sarebbe un errore imperdonabile, che la dirigenza non può permettersi di fare, a costo di inimicarsi ulteriormente la piazza. Che, dal canto suo, conferma di essere affetta da una schizofrenia che la porta ad affermare tutto e il contrario di tutto. Chi ieri chiedeva a Pallotta di fare come Agnelli o Suning, oggi prende Agnelli e Suning come esempio da non seguire per un club che da sempre fa dell'identità romana e romanista un vanto. Salvo poi fischiare e insultare chi la incarna per un passaggio sbagliato o un rinnovo tirato troppo per le lunghe.