Camp Nou, luogo travolgente, folgorante, il quale raccoglie tutte le emozioni dell’essere calciatore: arrivare ai vertici del pallone e consacrarsi, eludere tali sensazioni sarebbe impossibile.
L’addio di Totti all’Olimpico ha aperto un’altra porta, quasi un anno prima della memorabile impresa. E pensate se, il Pupone, sangue giallorosso, avesse battezzato cosi l’addio.
Eventi imponderabili, la grandezza di un ma divino, dubbi astrologici, utili a rendere fantastica, perché essa è la componente che rende il calcio unico, l’ipotesi che ammalia.

Totti e il Barcellona si sono incrociati nei suoi primi scorci di carriera, sfida terminata sul tre pari: ritorna questo numero, fisiologico componente di una serata non ponderata, accaduta 23 anni dopo.
Roma-Barcellona possiede, per merito di calciatori significativi, l’immensità dei traguardi che si può cogliere inseguendo un pallone.
Tutto ritorna, come la sera dell’Olimpico, che di immensità ne ha inserita nei cuori capitolini, passionali, vittima di una verve assoluta.
Riavvolgiamo il nastro per entrare nel più grande miracolo contemporaneo della storia della Champions League. L’altro? A favore di chi, nella vicenda, giocherà il ruolo fondamentale.
Barcellona anche vive per la pelota. La squadra reincarna come vivono il calcio le due realtà, attaccate dal seguito, distaccate nei verdetti.
Sugli spalti, invece, il contesto è simile, l’idilliaca propensione a dei novanta minuti da godersi.

Camp Nou: Non sei pronta!
Il Camp forgia campioni, pietre miliari di questo sport. Il terreno verde della città catalana è stato calcato da celebrità ed entrarvi è di per sè un orgoglio.
Quarti di finale, Champions 2018.
La squadra guidata da Di Francesco è timida. Ricorda il primo Vincenzo Montella, l’aeroplanino che spiccò il volo, sconfiggendo i suoi timori, rendendo a suo agio, ciò, che, solamente ad un primo incrocio può essere letale.
E poi vi sono loro, nella propria casa, una confidenza invidiabile. Nel giro palla blaugrana si percepisce superiorità a contrastare l’incognita di una strategia offensiva degli ospiti.
Due autogoal? Sì Roma, sei timida. E’ un parallelismo, per rendere l’idea. Manca la forza di rialzarsi.
Avevo, in un pezzo precedente, descritto l’Atalanta come un pugile al tappeto.

Quella sera il divario da colmare è abissale: 90 minuti infernali, infiniti, laddove lo scocco di lancetta pesa e fa soccombere, chi, l’esame, lo passerà al secondo tentativo.
Ed in effetti basta osservarli: Messi reincarna l’essere Blaugrana nelle vene, come la viscerale passione del tifo giallorosso e Suarez, la fame di attaccare l’area di rigore, come chi, da lupa ferita, si rialza e scaglia l’ultimo attacco.
Roma e Barcellona in quei primi novanta minuti saranno cosi distanti ed unite, su fili che non si incroceranno ma si riscopriranno essere ciò che rende il calcio unico, le sue sfaccettature.

4-1. 4-1. Non sei pronta.
Superiorità opprimente. I catalani dirigono l’orchestra, compongono la sinfonia, una Chanson de Geste.
Immaginatevi una platea intera applaudire quei cantanti, melodiosi ed armonici.
Il pubblico è coinvolto, dentro il gioco, arso dal fuoco che riscalda una tiepida giornata d’Aprile.
Tiepida, per nulla, sarà l’accoglienza dell’Olimpico, e, credetemi, non lo sarà nemmeno la sua squadra.
Sta per arrivare il giorno che…

5/8/2018
Roma è in fibrillazione. La Curva Sud accoglie la rosa in una torcida, tipica iberica, venuta a mancare all’andata, complice un pubblico composto, quasi voglioso di dimostrarsi interessato solamente seguendo con gli occhi.
La sera è colma d’ansia. Manolas racconterà mesi avvenire la carica dello spogliatoio e la compatezza che vi si era creata, contro la superficialità dei catalani, radicalmente convinti dei loro mezzi.

L’attesa è snervante per tutti. L’orologio ricorda la sfida precedente, è quasi in panne.
L’attesa però si contrappone alla voglia di riscatto in Europa, di chi, da tempo immemore, non riesce ad esprimersi oltre confine. Ritorna anche qua ogni velleità.

Come se, prima di sconfiggere l’avversario, vi siano da affrontare ambiguità interne, convalescenze che negano la massima espressione di una manovra corale e ben costruita.

Ci siamo. La sera, al termine di una giornata infinita, è giunta.
All’ingresso sul terreno di gioco ad accogliere le formazioni vi è una bolgia. Non si osserva un solo spazio libero.
La voglia dei romani riscalda, elimina le incertezze, spazza via le nubi del Camp Nou.
Come i gladiatori, a cui la carica fornisce l’input definitivo. Scocca la scintilla. Essere comprimario in Europa, neo a lungo sbeffeggiato dai rivali biancocelesti.
E’ il secondo giro di lancette, quando, Sergi Roberto si immola davanti ad Alisson. Ogni presente trema. Il laterale prende tempo, ma calcia privo di forza.
E’, la rappresentazione dei blaugrana, spenti, il cui approccio è solitario, oramai già pronti a festeggiare l’approdo in semifinale.
Il tifo carica, Di Francesco si sbraccia, quasi da dodicesimo uomo.
Minuto numero sei: la palla arriva a Dzeko, a cui frapporsi è Umtiti. Scontro fisico. Dzeko è la Roma. Le nubi iniziano a svanire ed a rendere la psiche tersa.
Il bosniaco vince il contrasto e calcia. Preciso, imparabile. Padroni di casa avanti, subito. E’ l’episodio idoneo per dare il via alla serata.
La Roma è la lupa aggressiva e spregiudicata. I catalani non seguono il ritmo. Corrono, a vuoto.
Inseguono l’efficace possesso palla volto ad offendere. Svanite le perplessità iniziano ad implementarsi le speranze.
D’altronde, come troppe volte accaduto in passato, ai tifosi giallorossi è rimasto l’urlo strozzato in gola.
Era un “Vorrei ma non posso”.
L’essere umano è proprio strano, cosi variabile per avvenimenti esigui. Si adatta. Il calcio come esso è la mente. Prima cervello poi piedi. Xavi ed Iniesta erano il cervello pensante.
Erano. Assenze pesanti. Messi, umano, gli altri contagiati dalle nubi che il Colosseo vedeva allargarsi, verso l’orizzonte.
Continua ad insistere la Roma. Non sfonda, ma ci crede. Il Barcellona pare, ancora una volta, il pugile, quello che è stato chiunque con il pallone. Sferri il colpo o lo difendi. E’ la condizione alla base.
In tal caso manca il colpo per affossarlo, sferrare il ko.
Si va all’intervallo sull’ 1-0. Sensazioni, però, si percepiscono, silenziosamente.
Dzeko è cresciuto con l’ambizione di cogliere traguardi del genere. E’ un lottatore.
Il bosniaco fa a sportellate, il pubblico ad ogni contrasto lo incita. Lui si galvanizza, aumenta i giri del motore, sino al 56’ minuto.
Piquè- Dzeko. Insiste il bosniaco. E’ un corpo a corpo dal quale dipende la sorte di milioni di persone.

La voglia di far esplodere quell’urlo. Edin la sente, e non più la nasconde. Si erge prepotente, vince il contrasto. L’iberico è costretto al fallo, è calcio di rigore. L’Olimpico esulta, pur con un pizzico di tensione.
Dal dischetto ci va il simbolo del romanismo, De Rossi. Lui ad aprire la possibilità di varcare le porte dell’apogeo.
Non pensa a come tirarlo. Sa che la butterà nel sacco. Rincorsa e conclusione, potentissima. La palla è un missile, viaggia. Ter Stegen non la vede partire: ora ne manca uno, il più complesso.
Valverde inizia a tremare, e per la prima volta, ad essere conscio del momento.
I suoi non reagiscono, anzi subiscono il colpo definitivo. Cercano di chiudersi, sono disgregati , impauriti dinanzi la travolgente onda dell’avversario.
Assedio capitolino, che non si concretizza, sinchè accade l’inauspicabile. Calcio d’angolo.
La palla viaggia, arriva sulla testa di Manolas. In quella sfera è racchiuso un sentimento maggiore: vi è la consapevolezza che si può compiere il miracolo, la fame, la passione e la romanità.
Kostas la vede, le va incontro e la spinge. Lo stacco è di una precisione inaudita. E’ un attimo, una sensazione, la speranza.
Ter Stegen resta impietrito mentre la vede fluire, intercorrere di fronte a sé. E’ più forte lei, non la si può placare.
Tutti la osservano: secondi infiniti, per l’ennesima volta, quella per la quale vale la pena aspettare anche ore, seppur racchiuse in una frazione.
E poi il verdetto. Si abbassa, termina all’angolino basso, si insacca. Incredulità, poi festa. Il greco percorre correndo tutto il terreno di gioco, abbraccia la panchina.
E’ una celebrazione furiosa. La Sud non si ferma, in delirio.
Ci si chiede sé è vero: le telecamere scorgono due tifosi piccolissimi che piangono. Emozioni che solo il calcio sa dare.
Vederli piangere di gioia, ora è tutto più vero.
Roma ce l’hai fatta, sei diventata matura, un gladiatore che ha spiccato il volo.
E come affermava Albert Einstein: “C’è una forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica: la forza di volontà”.