La partita con lo Spezia anche quest’anno sarà ricordata come lo spartiacque della stagione calcistica del Milan. Questo crocevia all’apparenza banale in confronto ad altre partite di cartello certamente più blasonate, diventa in realtà la cartina di tornasole per le ambizioni della società, della squadra, dei tifosi.
Con la sconfitta meritata contro lo Spezia, infatti il Milan sancisce definitivamente la fine della corsa scudetto. Avete letto bene, sconfitta meritata, al di là degli episodi e dei relativi errori arbitrali. Il Milan ha perso la partita di ieri alla lettura delle formazioni, nel momento in cui la guida tecnica ha deciso il modulo di gioco, nel secondo tempo per atteggiamento mentale della squadra.

Veniamo con ordine.
La formazione, ovvero la rosa a disposizione
Certamente il Milan arriva al crocevia della stagione (mese di Gennaio) decimato da infortuni (Kjaer e Tomori), Covid (Romagnoli) e impegni internazionali (Kessie, Bennancer). Tutte scuse. Il vero problema è la pianificazione approssimativa della rosa con cervellotiche scelte tecniche. Non era un mistero che il centrocampo sarebbe andato in difficoltà durante la coppa d’africa. Cosa fa la società, manda in prestito a Torino uno dei centrocampisti italiani più duttili e di potenziale (Pobega) preferendogli Bakayoko inguardabile per lunghi tratti delle precedenti esperienze in Italia e sicuramente inadatto ad un centrocampo formato da solo due mediani. Perché? Quali sono le scelte tecniche? Non era forse meglio valorizzare Pobega al Milan anche per sole logiche finanziarie legate al valore del suo cartellino?
Il modulo di gioco 
Continuo a non capire come mai il Milan possa giocare solo con il 4-2-3-1 a prescindere dagli interpreti, dal momento di forma della squadra, dall’avversario. Pioli sembra che non conosca nessun altra alternativa di gioco. Risultato, spesso i giocatori vengono forzati a coprire ruoli non ideali per loro (Krunic in ogni posizione di mediana, Calabria mediano, Kessie trequartista, etc) fornendo prestazioni non sufficienti e alla fine perdendo punti preziosi per gli obiettivi stagionali. Ma è mai possibile tollerare questo scempio, mese dopo mese? Mi chiedo cosa ne pensi il nostro mitico direttore tecnico. Non mi risulta infatti che il Milan in cui lui giocò fosse legato ad un solo modulo di gioco. Sbaglio?
Atteggiamento mentale della squadra
L’effetto Ibrahimovic è finito come nella logica delle cose. Lo stesso Pioli lamenta in più occasioni che la squadra non entra in campo con la giusta determinazione per vincere. La squadra inizia a sottovalutare alcuni avversari che poi si dimostrano fatali per le ambizioni di inizio stagione. Non mancano le motivazioni nei match di cartello, mancano sempre dove il Milan dovrebbe dominare visto il livello tecnico. Manca la garra, la cieca determinazione al risultato. Manca l’attitudine alla vittoria o l’adrenalina, citando l’ultima fatica letteraria di Ibrahimovic. Qui la domanda sorge spontanea, chi sono i primi responsabili alla motivazione del gruppo? A mio avviso Pioli e Paolo Maldini. Stefano Pioli nella gestione quotidiana, Paolo Maldini in quella strategica e storica. Se fossimo in un’azienda, la soluzione sarebbe abbastanza chiara.
A questo punto la palla passa nel campo della proprietà. Dobbiamo ringraziare Elliott per averci salvato dalla tragica e grottesca gestione cinese. Dobbiamo ringraziare Elliott per aver liberato la società dall’incompetenza di alcuni dirigenti sportivi e non. E’ però giunto il momento di chiedere a Elliott un attivismo più vicino alla società, una guida più presente nelle scelte di medio periodo, un ulteriore passo di coraggio verso il completamento del piano strategico.

Il Milan di oggi mi sembra in mezzo al guado della transformazione. Per essere definitivamente una società che valorizza talenti, deve essere guidato coerentemente da un allenatore vincente con idee chiare, intelligente e duttile. Probabilmente non Stefano Pioli, che dimostra limiti tecnici e caratteriali.
Per questo e a malincuore, lancio l’iniziativa #PioliOut.