Con l'annuncio della creazione della superlega, e vedremo se questa competizione alla fine vedrà la luce nella forma annunciata dalle dodici società fondatrici, si sancisce la chiusura del cerchio dell'avvento dei fondi di investimento nel mondo del calcio.

Infatti la trasformazione in atto da sport a showbusiness si è innescata circa una decina di anni fa, quando il calcio ha perso il sapore locale (un imprenditore che supporta la squadra della propria città) per trasformarsi in un business globale dove soggetti finanziari trovano interessante investire in club, non tanto in funzione della loro performance sportiva, ma bensì in ragione delle opportunità di ritorno finanziario derivanti da un'ampia base di tifosi. Le società di calcio quindi si sono lentamente trasformate in aziende, che progressivamente hanno iniziato a misurarsi in mercati internazionali, e sono valutate con gli stessi parametri di ritorno di investimento di una qualsiasi società economica. Non esiste più la figura del magnate imprenditore, disposto a sostenere una squadra ripianandone continuamente le perdite in funzione di interessi locali, oggi ci sono investitori finanziari che chiedono un ritorno economico dalle attività delle aziende che controllano. Questo è il contesto in cui nasce la Superlega, e lasciamo stare i confronti con sport diversi (NBA, etc.), la molla generante è solamente economica figlia della trasformazione del gioco del calcio in industria dell'enternteinment. Nessun romanticismo da tifosi.

Ora, queste società che negli ultimi dieci anni hanno accumulato debiti derivanti da una pessima gestione ordinaria (nessun investimento reale, visto ad esempio il numero esiguo di assett fisici come stadi etc.), travolte da una crisi di ricavi imprevista dovuta alla pandemia, si trovano costrette a ripianare i propri debiti cercando nuove fonti di guadagno. La champions league, che distribuisce troppo poco alle società partecipanti, e che non assicura la certezza di introiti (la partecipazione dipende dal successo sportivo nei campionati locali) diventa anacronistica come fonte di ricavi e deve essere sostituita da una competizione più allineata al nuovo obiettivo delle squadre, non il primato sportivo, ma il ritorno sull'investimento dei propri azionisti. Questa la causa scatenante per la maldestra creazione della SuperLega, annunciata male e con un timing discutibile.

La SuperLega è una provocazione che mette in scacco la governance del calcio europeo e mondiale, FIFA e UEFA in primis. La UEFA in particolare ha responsabilità oggettive per non solo non essere stata in grado di gestire lo zeitgeist del calcio e la sua trasformazione in un business dell'enterteinment, ma anche per averne causato la deriva finanziaria insostenibile. A questo proposito ricordo la sentenza Bosman che ha aperto la porta ai procuratori e all'escalation dei costi di gestione delle società, il tardivo e fallimentare tentativo del financial fair play che non ha arginato l'accumulo del debito delle stesse, e la miope redistribuzione della ricchezza generata da pochi a sostegno di campionati inutili spesso con l'aggravante di comportamenti poco trasparenti e molto vicini alla corruzione. La SuperLega nasce in Europa e non altrove proprio a causa dell'ecosistema creato dall'UEFA e della sua fallimentare gestione.

Trovo quindi necessario accettare la provocazione del club dei dodici per riformare l'industria del calcio. Auspico tempi ragionevoli per questo cambiamento radicale a partire da regole nuove e eque (salary cap per citarne una), riducendo il ruolo dei parassiti del sistema (ad esempio i procuratori che non aggiungono nessun tipo di valore all'industria del calcio) nel rispetto dello spirito del gioco più bello del mondo. Se si dovesse fallire in questa azione di rinnovamento, sarebbe a mio avviso la fine del calcio. Ad maiora semper.