É durata poco, troppo poco e soprattutto si risolverà, come sempre in situazioni analoghe, in un nulla di fatto.

Mi sto riferendo all'ondata di indignazione sollevatasi per l'ennesimo episodio di razzismo, avvenuto ai danni del calciatore senegalese del Napoli Kalidou Koulibaly, durante la partita di campionato del 27 dicembre passato che vedeva opposti Inter e Napoli. Ondata d'indignazione che puntualmente è uscita dall'alveo della discussione calcistica e si è abbattuta sul dibattito pubblico. Qualcuno si potrebbe domandare perché ne parlo a 10 giorni di distanza. Gli potrei rispondere chiedendogli perché a soli 10 giorni di distanza già non se ne parla più.

Il problema, la considerazione, il punto che voglio affrontare sta proprio qui. Ovvero, nella triste constatazione che anche questa volta -come tante altre volte- episodi del genere rimangono circoscritti a sé stessi. Avvengono, e tutti gli intervistati, gli opinionisti, i giocatori, i dirigenti, i presidenti, i politici (...) fin anche le semplici persone si dicono indignati, esterrefatti; taluni mostrano facce contrite alle telecamere e talaltri, o magari gli stessi, proferiscono in dure parole contro ''un razzismo che imperversa, da erimere ed estirpare al più presto''. Solidarietà di massa al povero giocatore nero -verrebbe da dire, di turno- vittima di un razzismo che ''non dovrebbe esistere ancor oggi'', frase a cui solitamente si aggiunge l'anno corrente. Come se fosse una cosa nuova, mai vista, inaudita.

A me tanto clamore pare solo espressione di un'ipocrisia generale. Perché mi sembra (e non solo a me, ma anche ad altre persone con le quali ho parlato e discusso in merito prima di scrivere questo articolo) che esso si generi ogni volta in occasione ''del fattaccio''. La fiamma dell'indicazione arde alta per qualche istante attorniata dal grido ''si faccia qualcosa!'' salvo poi spegnersi tanto e più rapidamente quanto si era accesa.

Ecco il motivo del titolo. Per un piccolo lasso di tempo (i famosi 15 minuti...che tutti ben conoscono) ci si interessa o forse si finge di interessarsi, magari autoilludendosi, ad un problema, proponendosi e promettendosi di trovare una soluzione. Salvo poi dimenticare tutto quanto (non è un caso se è un detto: gli italiani hanno la memoria corta) nel giro di poco.

Ma quello che lascia sconsolato è il protrarsi di situazioni come queste e la totale mancanza di azione da parte tanto degli organi competenti tanto delle società di calcio. Senza scordare i politici, di cui è meglio non parlare. Ma senza scordare anche le persone comuni, quelle che davanti alla tivù, al bar o a casa si ritrovano con gli amici e ridono e scherzano con battute razziste. Non sono catastrofista non sto esagerando: costoro sono quelli che poi si recano allo stadio e si rendono colpevoli dei ripetuti, pesanti, ahimè mai banali episodi di razzismo.

Dinanzi ad episodi del genere è necessaria una discussione più profonda, un discorso più ragionato, non il solito coro di voci petulanti e spesso false. False! Perché spesso si esprime rammarico per vicende del genere non perché siano esecrabili in quanto tali, quanto perché sono considerate, in fondo in fondo, spiacevoli inconvenienti, da ''condannare''.

Non da ultimo, anche questo ultimo episodio di razzismo non è stato dal principio al centro delle discussioni di Inter-Napoli, bensì è scaturito da ben altro tipo di discussione. Ovvero come giustificazione in merito all'espulsione del difensore del Napoli. All'interno delle solite discussioni riguardo le decisioni arbitrali.
Prima le eterne diatribe sulle scelte degli arbitri. E poi in relazione ad esse la questione dei buu razzisti. Ben venga che sia venuta fuori. Ma spero si comprenda bene il come essa sia uscita.

Ad ogni modo, ad episodi del genere non c'è soluzione se in primis le società non interverranno direttamente e risolutamente. Chiudendo esse stesse le curve, prima che lo ordini il tribunale sportivo. Schierandosi contro questi fenomeni, invece di restare spesso in una zona grigia, evitando nei fatti di prendere provvedimenti contro i propri tifosi.

Ovviamente sarebbe apprezzato un intervento dei nostri amati rappresentanti. Ma qui si tocca un tasto dolente. Una carta sulla quale nemmeno il più inguaribile degli ottimisti vorrebbe puntare.

Infine restiamo noi, tutti noi lettori e persone normali. Possiamo opporci a fenomeni del genere, evitando semplicemente di ridere o di unirci allo stadio ad un coro che parte scherzoso per finire dove tutti sappiamo. Evitando di rinunciare ad assumerci le nostre responsabilità, nascondendoci dietro la solita scusa del ''E va beh, ma da solo non puoi fare nulla..". Perché se invece tutti fanno qualcosa, anche piccolo, molto si può fare.

Allora sì che saremo tutti Koulibaly. E non per soli quindici, miseri minuti.