C’era un tempo in cui il futuro a Mattia Perin si presentava figurativamente come un bivio.

Parliamo ovviamente della scorsa sessione di calciomercato estiva, quando ancora Juventus e Roma si contendevano l’ingaggio del 26enne portiere, all’epoca in forza al Genoa. Da un lato (come poi è avvenuto) Mattia aveva la possibilità di scegliere la squadra campione d’Italia e di entrare nel gotha del calcio mondiale -perché di questo si tratta: volenti o nolenti bisogna riconoscere la Juve, questa Juve, nella Top Five- sacrificando consapevolmente un elevato minutaggio; dall’altro poteva scegliere una squadra di minor livello ma di indubbio valore (quell’anno peraltro semifinalista in Champions), della quale sarebbe stato di certo il titolare.

Possiamo dire che, in quel momento, qualsiasi cosa scegliesse, al buon Mattia sarebbe andata comunque bene. Così anche alla Juventus, la quale d’altronde non cercava un portiere titolare bensì un secondo, ovviamente di valore. Pertanto un non arrivo di Perin non sarebbe stato indigesto.

Per la Roma invece il discorso è diverso. Dopo la cessione di Alisson essa necessitava assolutamente di un portiere di buon livello. E Perin, a mio parere, rappresentava la soluzione ideale, un colpo per il quale valeva la pena che Pallotta spendesse più cartucce. Cartucce invece non esplose, forse a causa di eccessiva insicurezza, forse a causa di altre ragioni a noi ignote (può essere benissimo, per quanto ne sappiamo, che Perin abbia voluto solamente la Juventus). Fatto sta che l'impressione che se n’è ricavata è di una Roma che ha perso l’occasione, coi suoi tentennamenti e i suoi lungheggiamenti. 

E così Perin, portiere giovane (26 anni), già capitano del Genoa, romano e per sua dichiarazione tifoso della Roma, già da anni nel giro della Nazionale, ora gioca alla Juventus, la quale si è assicurata le sue prestazioni per la (modica) cifra di 12 milioni di euro. E alla Roma ora c’è Olsen. Costato poco, per carità, praticamente la metà di Perin. Ma la differenza si vede.

É l’altra faccia dolente della questione, per lo meno per i tifosi romanisti. Non solo c’è il rammarico per quello che poteva essere e non è stato, ma anche per quello che ora è. Perché Perin sarebbe stato certamente più decisivo di quanto non lo sia stato Olsen il quale, solo con le sue papere, ha pesato per 3/4 punti sul bottino di punti della Roma. Ovviamente uso pesato nella sua accezione negativa.

Un peso. Un portiere insicuro non può essere definito diversamente, perché i suoi errori pesano il doppio rispetto a quelli commessi dai suoi compagni. Se un difensore perde palla in una zona pericolosa, solitamente c’è sempre qualcuno (un altro difensore, un centrocampista, lo stesso portiere) che può intervenire per rimediare al suo errore. Ciò che nella stragrande maggioranza dei casi non succede se a perdere la palla è il portiere. Egli è l’ultimo baluardo che separa la palla dalla linea di porta. Ogni suo errore può essere fatale. È il ruolo del portiere dopotutto.

Se un portiere è insicuro gli effetti si ripercuotono su tutta la squadra, perché essa gioca meno spensieratamente, incapace di affidarsi mentalmente al suo ultimo difensore. E più si va sotto pressione, più si è insicuri, più si sbaglia. E la difesa della Roma di questa stagione ce ne fornisce un perfetto esempio.

In definitiva l’acquisto di Olsen è finora stata una delusione, che aumenta al pensiero dell’ingaggio di Perin e s’ingigantisce a quello dell’addio di Alisson. Detto ciò, non resta che augurare il meglio all’olandese (con gli incoraggiamenti e non solo con le critiche un giocatore può ritrovarsi) e a Perin di trovare maggior spazio nella Juventus, anche in ottica Nazionale.