Cari lettrici, cari lettori, ben ritrovati. Ciò di cui oggi andrò a parlare - o meglio, a scrivere - è un argomento da me sentito come particolarmente caro, che però, per la sua stessa complessa natura, si presta facilmente a misere interpretazioni e fraintendimenti e quindi ad accesi confronti, specchio di posizioni se non inconciliabili, quantomeno di forte contrasto.
Mi sto riferendo alle tante, grandi, polemiche che sono state fatte in questi giorni, aventi come oggetto la partita di Supercoppa Italiana tra Juventus e Milan in programma a Jeddah, in Arabia Saudita, mercoledì 16 gennaio.

Il punto focale, il nodo della discussione credo lo conosciate tutti: il fatto che alle donne sia stato consentito l'accesso in zone separate da quelle dei soli uomini
; vale a dire l'impossibilità per una tifosa di accedere da sola (leggasi: non accompagnata da un uomo, e al massimo nel settore dello stadio previsto alle famiglie e quindi misto) all'impianto sportivo. La questione è dunque quella della discriminazione sessuale, anche in questo caso, delle donne.
E su questo punto sono stati versati (i classici) fiumi d'inchiostro. Se ne sono dette e se ne sono sentite di tutti i colori. Forse (e qui inizia il calvario dell'esposizione del mio pensiero, che vi prego di accogliere con serenità nel merito di una auspicabile, pacifica, fertile discussione nei commenti), con toni e modi più accesi e violenti del necessario. Mi pare cioè che sia stato fatto un grande clamore, si sia gridato allo scandalo, ci si sia dati all'indignazione per una vicenda che, di fronte ad una più profonda analisi, potrebbe presentare contorni certo gravi, ma meno grotteschi di quelli coi quali ultimamente la si dipinge.
Capisco, beninteso, il senso di frustrazione, il disappunto, anche l'indignazione di certe persone, soprattutto se donne in quanto ''toccate sul vivo''. Respingo tuttavia la rabbia provata da certuni, in quanto la ritengo spropositata, e con maggior forza respingo certe uscite sensazionaliste di alcuni esponenti politici o volti noti del panorama dei media italiani, che come al solito tutto fanno tranne che promuovere una seria e documentata discussione sul tema e alimentano invece una disinformata, dai contorni finanche violenti, visione dei fatti. Siamo tutti bravi a indignarci, meno ad affrontare più approfonditamente la questione.

Chiarisco che la rabbia sarebbe stata ampiamente giustificata se il nodo della discordia si fosse presentato in altro modo, ovvero nella forma di una completa esclusione delle donne dall'accesso al King Abdullah Sport City Stadium. Attenzione! Non sto dicendo di voler ridimensionare la cosa, di dar minor peso ad una questione delicatissima e purtroppo ancora attuale quale è quella discriminazione di genere; e per renderlo ancora più chiaro a tutti, non sto negando la discriminazione che subiscono le donne in questo contesto né mi trovo d'accordo con la legge - di matrice islamica - che prevede una cosa del genere. In quanto segue cercherò di spiegare, meglio che posso, dove invece voglio andare a parare.

Come sostenuto da molti, se la Supercoppa si fosse giocata altrove, in paesi come l'Italia dove i diritti civili godono di maggiore ed adeguata tutela ad opera delle varie leggi e Costituzioni, non saremmo qui a parlare di questo putiferio. Ovviamente perché in Italia come in tutto l'Occidente siamo abituati a godere di libertà e diritti ormai dati per acquisiti e quindi percepiti quasi all'insegna delle consuetudini. Si pensi ad esempio al divorzio, introdotto in Italia nel 1970 con la legge Fortuna-Baslini e protagonista quattro anni dopo dello storico referendum abrogrativo di cui tutti ci ricordiamo. Esso è diventato, a beneficio dei cittadini, una pratica a cui molte coppie hanno ricorso, e nella nostra società, è considerato del tutto normale. L'effettiva applicazione di un diritto acquisito lo cala pertanto nella quotidianità della vita delle persone definendo quindi l'oggetto del diritto come la percezione di una consuetudine da parte dei cittadini. 

Premesso questo, occorre riconoscere che esistono Paesi nel mondo diversi dal nostro, dove consuetudini e diritti come l'andare liberamente allo stadio o poter usufruire del divorzio o non sono presenti o sono previsti con modalità anche completamente diverse da quelle che noi abitualmente conosciamo. Uno di questi paesi è l'Arabia Saudita. Ma che l'Arabia Saudita sia un paese dove i diritti civili sono molto meno riconosciuti e tutelati rispetto alle democrazie occidentali, non lo scopriamo di certo oggi! Lo si sapeva benissimo da anni. Culla dell'Islam (in Arabia sono infatti presenti le due più importanti città sacre per i musulmani, La Mecca e Medina), questo paese è per tradizioni, cultura, folklore, storia, religione, leggi, istituzioni, diversissimo dal nostro. Per intendersi non è una Repubblica, bensì un Regno, fondato sulla Legge Islamica; non possiede nemmeno una Costituzione nella definizione che noi ne diamo, ovvero di carta fondamentale dei diritti e doveri dei cittadini e d'ordinamento dello Stato. Una realtà quindi completamente dissimile dalla nostra. Giusto per capire quanta strada abbiano ancora da fare il rispetto dei diritti fondamentali in un paese come l'Arabia, basti pensare che è solamente dal 12 gennaio 2015 che le donne hanno diritto di voto. Ed è da poco più di un anno che, sempre alle donne, è stato concesso di guidare un'autovettura. Eufemisticamente, l'Arabia non è esattamente un paese democratico.
Ma questo, lo ripeto, lo si sapeva. All'interno quindi di un quadro più ampio della situazione non mi pare così strano che l'accesso libero delle donne allo stadio non sia laggiù ancora un diritto acquisito o una consuetudine come invece accade (per fortuna) da noi. Il problema si pone con maggior forza quando si decide (in questo caso, la Lega di Serie A), ed evidentemente per ragioni economiche, di andare a giocare la finale di Supercoppa in un paese come l'Arabia. Perchè è ovvio che - per usare un linguaggio ultimamente molto popolare - andando a giocare a casa loro, si debba sottostare alle loro leggi. Loro sono padroni in casa loro tanto quanto noi siamo padroni in casa nostra. E se la cosa poi non ci piace (come è giusto che sia), la ''colpa'' non è dell'Arabia in sè, quanto dei vertici della Lega Calcio, che di fronte al mancato rispetto dei diritti umani (oltre alle questione delle donne, si ricordi soprattutto l'assassinio del giornalista saudita Khashoggi) avrebbero dovuto impuntarsi e spostare la Supercoppa in un'altra sede. Già in Qatar poteva andare bene. La vera figuraccia così non la fa l'Arabia, ma il nostro sistema-calcio. 

Detto questo non rimane che augurarsi che in futuro, come anche in questa occasione, il calcio come qualsiasi altra attività sportiva possa fungere da tramite per riflessioni e argomenti complessi quanto sono quelli del rispetto dei diritti dell'uomo. Che possa cioè essere un ponte tra due culture altrimenti in forte antitesi e un motivo di approfondimento e di conoscenza dell'Altro. Il calcio in questo caso, può andare ben oltre le solite discussioni sull'operato dell'arbitro o sugli episodi contestati che avvengono durante una partita. Può essere luogo di discussione, di incontro, e perchè no anche di scontro, ma sempre all'interno di un contesto positivo. Posizioni solamente oltranziste e divisive non aggiungono nulla al dibattito pubblico. Nulla di quanto non si sappia già, in quanto sono solo esternazioni dei sentimenti più forti. Occorre, credo e ripeto, una più attenta e valida analisi della questione, capace cioè di generare proficue riflessioni, anche su sè stessi. Socrate diceva a proposito: attraverso l'altro conosci te stesso
Cosa più che utile, e necessaria, visto che molte persone già si scordano che pure nella nostra civilissima Italia solo 70 anni fa le donne acquisivano il diritto di voto. Era il 2 giungo 1946, mia nonna (tanto per chiarire la cosa, si tratta di una testimonianza diretta) se lo ricorda ancora e spesso me ne parla. L'aborto venne riconosciuto come un diritto solo nel 1978. Ed era il 1981 quando venne abolito il delitto d'onore. Ed ancora oggi, nonostante le leggi, molte donne subiscono nel nostro paese forme di discriminazione e peggio, fino a sconfinare nel femminicidio.
A tal proposito, mi permetto di segnalare l'articolo di Massimo Perin datato 7 gennaio Siamo tutti un po' arabi! che contiene delle ottime riflessioni in questo senso.

Sperando di essere riuscito ad esprimere le mie ragioni con chiarezza e pacatezza, mi auguro una discussione pacifica nei commenti. Si può benissimo avere opinioni diverse, ma ritengo si debbano sempre esprimere nel rispetto del prossimo.

Grazie per chi ha avuto la pazienza di seguirmi fin qui.
Alla prossima,

Francesco De Nadai