La recentissima sconfitta subita dalla Nazionale Italiana a Palermo contro la Macedonia del Nord non è solo una partita persa, bensì un vero e proprio inno alla mediocrità e alla mestizia nelle quali l’Italia intera, non soltanto quella calcistica, sta sprofondando da anni. Anche questa volta, proprio come nel 2017 dopo i due incontri contro la Svezia, è subito cominciata la classica e stucchevole corsa al colpevole, ormai vero sport nazionale di un Paese che non può far altro che ricordare i “bei tempi andati”. Cinque anni fa tutto sembrava ovvio, l’intero fardello del fallimento azzurro fu riversato su Gian Piero Ventura, un tempo valido ed onesto allenatore di Serie A (e non di Promozione) ma, a detta di moltissimi, improvvisamente impazzito alla guida della nostra nazionale. L’ex tecnico di Bari e Torino dimostrò scarsa lucidità nei momenti chiave, ma credere che si trattasse di un incapace o del primo stolto che passasse per strada è senza alcun dubbio un errore. Quelle due maledette partite contro la selezione svedese furono, all’epoca, solo il più fragoroso dei fallimenti della nostra nazionale ma di certo non l’unico di questo secolo, impossibile dimenticare le eliminazioni ai gironi ad Euro 2004 e ai Mondiali 2010 e 2014. Il crollo, dunque, era nell’aria.

Che nel 2022 potesse ripetersi uno scenario simile a quello di cinque anni fa probabilmente se lo aspettavano in pochi, dopo un europeo vinto ed una bella striscia di imbattibilità era quasi impensabile che l’Italia non riuscisse a raggiungere il Qatar, senza contare la rosa ricca di talenti, soprattutto a centrocampo, ed un CT che aveva dimostrato di avere polso e che era riuscito a dare un’identità precisa (forse anche troppo) alla selezione da lui guidata. Eppure è successo di nuovo, un'Italia arrogante, prevedibile e per nulla lucida in fase di realizzazione è riuscita nell’impresa di perdere in casa contro una modestissima Macedonia del Nord, accentuando la flessione che si era già potuta intravedere nelle sfide contro Bulgaria, Svizzera ed Irlanda del Nord. La caccia al colpevole, come sempre accade, è funzionale solo alla ricerca di un capro espiatorio, che sia esso il CT, il centravanti o chiunque altro, ma di certo non porta alla soluzione dei problemi.

Non c’è dubbio che le colpe siano di molti, l’ottimo Mancini ad esempio non ha avuto la forza o forse il coraggio di schierare un’Italia diversa, che non concentrasse eccessivamente il gioco sugli esterni limitandosi a palleggiare con insistenza per poi scaricare sulle fasce senza neppure cercare sbocchi centrali, non sfruttando la grande capacità di verticalizzazione del nostro forte centrocampo e così facendo penalizzando anche Immobile che è sempre apparso un pesce fuor d’acqua in questa rosa. Il rendimento degli azzurri ha subito un calo dopo il grande successo di Wembley, ed alcuni elementi centrali della rosa a disposizione dell'ex allenatore di Inter e Manchester City sono sembrati scarichi ed eccessivamente appagati. Con tutta probabilità il tecnico marchigiano avrebbe dovuto sostituire qualche pedina anzichè continuare a puntare sul medesimo zoccolo duro di Euro 2020 per timore di cambiare troppo e quasi per riconoscenza nei confronti dei giocatori più determinanti durante la scorsa estate.

Sappiamo tutti, in fondo, che i problemi sono però a monte, e questo è vero non solo quando si parla di calcio. L’Italia non fa parte della nobiltà calcistica e nemmeno geopolitica del nostro tempo, lo constatiamo ogni giorno, avvertiamo tutti quella sgradevole sensazione di essere ormai la Serie B d’Europa e del globo intero, e di non essere all’altezza di un passato a volte recente, a volte più lontano. Rimanendo in ambito prettamente calcistico, prima di sconfinare brevemente in altro, non possiamo ignorare almeno due fattori che sono alla base del crollo evidente del nostro calcio:

1) la poca competenza mostrata da chi occupa i vertici di istituzioni come la Federazione, da troppo tempo in fase di stasi, senza idee valide per rinnovare il movimento, e la Lega, che come abbiamo potuto notare non è neppure stata in grado di tutelare gli interessi degli appassionati, cedendo i diritti del proprio campionato ad un provider non del tutto attrezzato per mostrare l’intera Serie A senza occorrere in ripetuti problemi tecnici

2) dal versante opposto, è necessario segnalare la scarsa preparazione di tanti giovani italiani che mentalmente e non solo sembrano avere sempre qualcosa in meno rispetto ai coetanei di altre nazioni, che sia per poca propensione al sacrificio o, ancora peggio, perché in giovane età vengono accantonati da allenatori di quart’ordine in quanto non raccomandati da nessuno, ritenuti eccessivamente inclini a tentare il dribbling individuale oppure non ancora pronti fisicamente, peccato che l’obiettivo teorico dei settori giovanili sia quello di lavorare sul talento grezzo, e non collezionare trofei juniores di dubbio valore o premiare coloro che possiedono meno estro ed abilità ma svariate referenze.

Non se la passano benissimo nemmeno i club della Penisola, che in campo continentale non fanno la voce grossa da tanti anni. Da quando sono nato ho avuto sempre il “piacere”, si fa per dire, di ascoltare la solita cantilena (purtroppo veritiera) su quanto siano arretrate le strutture a disposizione delle squadre italiane, a cui vanno aggiunte la gestione alla buona delle risorse dei club ed il vergognoso disinteresse delle istituzioni locali che non riescono a comprendere il valore strategico di una squadra di calcio in un mondo dove questo sport ha ormai raggiunto grande seguito e popolarità persino in Asia e Nordamerica. Anche l’unico club che dispone di tali strutture, la Juventus, non brilla più come qualche stagione fa e le pesanti e premature eliminazioni dalla Champions League contro Ajax, Lione, Porto e Villarreal ne sono la testimonianza. Il club piemontese, è sempre bene ricordarlo, ha alle spalle una proprietà che gestisce asset per valori intorno ai 30 miliardi di dollari (dati Exor, NAV 31/12/2020) e avrebbe il dovere di competere ad armi pari con le big di Spagna, Germania e Inghilterra. Sappiamo bene che non è così, i bianconeri hanno in passato fatto dell’oculata gestione finanziaria un vero e proprio vanto, peccato che nell’ultimo lustro sia accaduto l’esatto opposto ed il campo lo dimostra. Insomma, parliamo di un club con alle spalle una proprietà che spesso gioca a fare il buon padre di famiglia che deve gestire attentamente le risorse e quelle poche volte che, in netta controtendenza con la propria storia, opta per spendere e spandere finisce solo per spendere male.

Detto ciò, il paragone con l’Italia extra-calcistica viene piuttosto naturale, basti pensare alla scarsa qualità delle infrastrutture di cui disponiamo tutti i giorni e alla situazione degli stadi del nostro Paese. Un Paese che era potenza e non lo è più, rappresentato in sedi internazionali da figure che non hanno una precisa visione generale del contesto in cui si trovano e tantomeno hanno a cuore gli interessi della Nazione, spesso impreparati o addirittura ben lieti di cedere industrie strategiche e asset pregiati del nostro Paese a potentati esteri, esattamente come i club calcistici più popolari ed affermati passano dalle mani di proprietari italiani a quelle di magnati americani, cinesi o indonesiani che siano, una vera e propria svendita. Un Paese che poteva dire la sua in campo internazionale ma che ora non viene ascoltato da nessuno e dove al suo interno si discute senza sosta del problema sbagliato, guardando sempre il dito e mai la luna.

Perdonate la vaghezza delle mie parole, ma non ritengo sia la sede adatta per addentrarsi scrupolosamente in queste vicende e cerco di essere il meno divisivo possibile su tematiche che non riguardano lo sport, ma penso che questa sensazione di calo generale inesorabile del nostro Paese sia ampiamente condivisibile a dispetto di fazioni o idee contrapposte. Il paragone è volto solo ed esclusivamente a mettere in luce l’analogia tra la politca calcistica e non, che ha come trait d’union la mediocrità e la mancanza di un'ampia visione e lucidità ai vertici. Proprio questo è il punto del mio breve discorso, siamo sommersi da fin troppa banalità e circondati da modeste figure che anziché guidare le istituzioni con giudizio riescono soltanto a limitare le possibilità di chi mediocre non lo è per nulla, consegnandoci dunque un Paese che, anche nello sport, non è affatto un elegante e distinto nobile pronto a sfoggiare la sua ricchezza, non solo materiale, ma appare invece come un presuntuoso borghese da quattro lire al cospetto di giganti con le spalle larghe e le idee molto chiare.

 

Giovanni D.