Cambiare tutto per non cambiare niente” è una frase spesso utilizzata per indicare la capacità di una persona, o più in generale una qualsiasi entità, di mutare pelle per fare in modo che lo status quo, personale o generale che sia, rimanga invariato. La si può intendere sia in senso gattopardesco, relativa a colui che farebbe di tutto pur di conservare la sua piccola posizione di privilegio, sia in senso (a mio avviso) prettamente positivo. Perchè se questa capacità di cambiare non è esclusivamente riservata alla mera apparenza, ma reale e strutturale, allora avremo di fronte qualcuno in grado di mantenere la propria posizione di dominio malgrado tutte le avversità del caso. Una figura inscalfibile, capace di leggere ed interpretare per tempo i cambiamenti del mondo circostante, sempre pronto a reagire di conseguenza e non lasciar sfuggire mai la propria supremazia.

A livello prettamente calcistico l’entità, in questo caso la squadra che a mio parere rispecchia più di altre questa filosofia, se interpretata in positivo, è il Bayern Monaco. Una società mai banale, mai piatta, sempre in grado di pensare ed agire in modo proattivo, capace di carpire i cambiamenti in arrivo per essere poi nella posizione di plasmare la realtà circostante e mantenere immutato il proprio dominio incontrastabile in campo nazionale. Il Bayern cambia, ma non si snatura, e questa abilità è propria dei grandi, di coloro che hanno piena consapevolezza del proprio passato e della missione futura.
Lo stesso non può dirsi dell’equivalente nostrano della società bavarese, la Juventus, da sempre squadra più ricca e soprattutto potente ed influente del calcio italiano, in grado di dominare la lega nazionale da decenni. I bianconeri, dopo una lunga fase di vittorie interne, vivono un momento di difficoltà, essendo incapaci di lottare per lo scudetto nonostante il valore del nostro campionato rimanga modesto quanto, se non di più, gli anni precedenti, in cui a fare la voce grossa era proprio la società piemontese. Per ovviare al calo evidente fin dall’ultima stagione della prima gestione Allegri, la dirigenza bianconera optò per un cambio di guida tecnica, poi ripetuto due volte per ritornare nuovamente dal tecnico toscano, fino ad arrivare ad un cambio di guardia anche per quanto concerne i quadri dirigenziali. Se l’addio di Beppe Marotta risale addirittura al 2018, ben più recente è invece la separazione dal suo ex braccio destro, e poi successore, Fabio Paratici. A pesare, oltre al pasticcio Suarez, è senza dubbio la mancanza di programmazione che ha contraddistinto le ultime campagne acquisti condotte dall’attuale Director of Football del Tottenham, confuse e disomogenee. Il risultato, come sappiamo tutti, è che la Juventus da diverse stagioni non gode più di una rosa organica e ben allestita, ma è piena di giocatori non funzionali a nessun compito chiesto da Sarri, Pirlo o Allegri. Questa tendenza però è solo diminuita, ma non scomparsa. La società torinese continua a prediligere l’occasione alla programmazione, e a questa problematica va aggiunta anche la difficoltà ormai assodata del tecnico di dare una forma ed un senso alla rosa a disposizione. Proprio per questo mi appresto ad analizzare brevemente questi problemi in due paragrafi differenti, partendo dalla questione legata alla dirigenza.

1. Cambia la dirigenza ma non l’approccio in sede di mercato
Come detto, una fastidiosa tendenza che contraddistingue la dirigenza bianconera da diversi anni è la volontà di cercare continuamente la presunta occasione sul mercato, invece di puntare con determinazione profili specifici.
La Juventus difficilmente si avventura in trattative ritenute complicate pur di arrivare al profilo prescelto. Acquisti come Rabiot, Ramsey, Pogba, Di Maria, Paredes, Milik si sono concretizzati per un motivo molto semplice: questi giocatori erano o parametri zero (1-4) o ai margini del progetto tecnico nelle squadre precedenti (Paredes e Milik). La sensazione è che la domanda che spesso si pongono i dirigenti dalle parti della Continassa sia “perché dovrei intavolare una trattativa con Lotito per Milinkovic Savic, quando c’è Pogba svincolato?”. Peccato che la differenza non risieda solo nel valore del cartellino, ma anche nel fatto che uno sia un giocatore integro, al picco della carriera, determinato, l’altro è invece infortunato, logoro, già in fase calante a 29 anni e che ha ampiamente dimostrato di avere più a cuore la sua fama che le prestazioni in campo da ormai diversi anni.
Questo approccio, inoltre, è illusorio non unicamente dal punto di vista sportivo ma anche economico. Il risparmio del costo del cartellino è compensato dagli ingaggi percepiti dai primi quattro giocatori da me citati, ad esempio, che rendono impossibile la collocazione in uscita in caso di scarso rendimento e si sono dimostrati non congrui (nei casi Ramsey e Rabiot) alle prestazioni offerte nel corso delle ultime annate.

Pur ammettendo che a mio parere l’ultima sessione di mercato estiva diretta da Arrivabene e Cherubini sia stata condotta con giudizio, cercando di colmare le lacune strutturali della rosa, devo comunque segnalare che, tranne in rari casi, se una trattativa si prospetta difficile la Juventus semplicemente si sfila. Una società con una tale disponibilità economica ed una famiglia molto potente alle spalle non dovrebbe avere problemi ad acquistare quantomeno i giocatori più validi della propria lega di appartenenza, esattamente come fanno Bayern e PSG in Germania e Francia. Invece i bianconeri, la scorsa estate, sono riusciti a rendere lunga e quasi estenuante la trattativa col Sassuolo per Locatelli, un giocatore decisamente alla portata, ed hanno fatto ricorso ad una formula “creativa” per poter prelevare Chiesa dalla Fiorentina. Altro recente esempio negativo è il ritorno di Kean, fuori rosa all'Everton e scelto in fretta e furia anche in quanto elegibile in Lista B UEFA.

Questa mancanza di determinazione è ancora più grave se pensiamo che di fatto anche le società ritenute più ostiche, o botteghe care, non vedono l’ora di incassare privandosi dei loro pezzi pregiati. Società come la stessa Lazio del “terribile” Lotito, Sassuolo, Udinese, la Fiorentina del giustiziere Commisso, sono prontissime a stendere un tappetto rosso a chiunque porti soldi per ottenere in cambio le prestazioni dei propri talenti più ambiti. Detto in parole povere, nessuno fa barricate contro la Juventus, tutt’altro, a mancare è proprio la volontà di intavolare trattative che comportino una spesa di tempo e denaro, per poi elargire emolumenti da capogiro a parametri zero o impiegare un’intera campagna acquisti ad inseguire il seppure ottimo, ma non stellare, Locatelli o Memphis Depay (ai margini a Barcellona, tanto per cambiare), per poi puntare sul ben diverso Milik. Talvolta a mancare, oltre alla programmazione, è anche la logica.

2. La trasformazione di Massimiliano Allegri
Max Allegri è cambiato, peccato che non mi stia riferendo tanto al suo approccio in panchina quanto invece al suo carattere. Nel corso degli anni l’Allegri pragmatico, da me apprezzato, si è via via trasformato in qualcuno di profondamente diverso. Se anni fa il “brutto gioco” che caratterizzava la sua Juventus era dovuto alla naturale tendenza della squadra a difendere basso e sfruttare le lacune avversarie, grazie ad una difesa granitica e dei centrocampisti intelligenti e penetranti, dal suo ritorno a dire il vero il tecnico toscano sembra faticare tanto quanto il novellino Pirlo. Gli innesti di Paredes e Locatelli ancor prima, la crescita di Miretti, gli arrivi di Vlahovic, Di Maria e Bremer rendono questa Juventus seppur non una corazzata, quantomeno una squadra con un capo ed una coda. Alcune debolezze croniche rimangono, si pensi alla questione terzini, ma Allegri in questo inizio di stagione sembra spaesato più che mai. La Juventus non gioca male, la Juventus a tratti semplicemente non gioca. Punto.

L’impressione è che il pluri-decorato Allegri non abbia ancora un’idea di cosa questa squadra debba essere, ed alla sua seconda stagione consecutiva questo non è accettabile. Sentiamo da tempo un Allegri che parla di calcio semplice, che si oppone (giustamente) ai santoni del bel calcio, ma questa Juventus non è nulla. Sembra quasi che l’ex allenatore del Milan sia diventato vittima di se stesso, un anti-eroe che non propone calcio perché questo è il personaggio che gli si è cucito addosso. Ma questa Juventus non ha Barzagli e Chiellini, non ha nemmeno Vidal, Khedira o Matuidi. Può essere definita peggiore, ma è senza dubbio una squadra diversa e questa volta Allegri sembra rimasto fermo. Le idee del tecnico non si vedono, e a non vedersi sono anche i progressi sebbene la sessione di mercato estiva sia stata intensa. Le differenze si vedono invece nel carattere, se così vogliamo chiamarlo, del tecnico che oltre ad aver abbandonato la sua tendenza pragmatica sembra non disporre nemmeno di quella forza di volontà che caratterizza coloro che vogliono vincere e dimostrare ancora di essere rilevanti. Se è effettivamente questo, ciò che è diventato Allegri, un allenatore che più niente ha da dire e dimostrare, a corto di idee, forse è il caso di considerarlo più una zavorra che un punto di riferimento per un gruppo di giocatori che invece ha un disperato bisogno di una guida.

Negli ultimi anni in casa Juventus è cambiato tanto, ma è come se non fosse cambiato nulla, ed in questo caso è tutt'altro che positivo.