Le cadute dei giganti fanno sempre rumore, si sa. E Ancelotti, nella sua carriera di allenatore - e non solo - gigante ha dimostrato di esserlo più volte. Per questo ora ci si affanna a parlare di "fallimento su tutta la linea" in merito alla sua prima stagione napoletana. Ma quanto c'è di vero in questa affermazione?

La verità è che il Napoli di Sarri riempiva gli occhi con il suo modo di giocare, meravigliava le folle e, al netto di tutto, uno scudetto ha pure rischiato di vincerlo. La gente partenopea porterà sempre nel cuore quella squadra capace di divertirsi e divertire, ma - e qui arriva la vera notizia - Ancelotti, dati alla mano, ha fatto addirittura meglio dell'ultima stagione di Sarri.

L'attuale tecnico del Chelsea arrivò a fare il record di punti per una seconda classificata, è vero, e Ancelotti non può matematicamente arrivare nemmeno a sfiorare un traguardo simile, però - sia pure con modalità diverse - la posizione in campionato sarà la stessa, salvo cataclismi a oggi impronosticabili. Il cammino in Champions del Napoli edizione 2017/2018 sfiorò il disastroso, con ben quattro sconfitte su sei e un'assoluta incapacità di produrre punti in trasferta, né andò meglio in Europa League dove l'eliminazione arrivò addirittura ai sedicesimi di finale. In Coppa Italia, poi, arrivò anche con Sarri l'estromissione già dai quarti di finale.

Ora, pur con tutte le loro differenze, due tecnici come Sarri e Ancelotti non si possono certo discutere in termini di competenza. Eppure, cosa significa se entrambi ottengono gli stessi risultati, sia pure con metodi opposti? Che evidentemente la rosa del Napoli più di quello non è in grado di dare. E c'è un motivo ben preciso per affermare ciò.

L'alba dei tempi è l'estate del 2013. Sei anni fa, calcisticamente parlando una vita: la Spagna era ancora campione del mondo in carica, dodici mesi prima ci esaltavamo per le prodezze di Balotelli che ci portavano in finale agli Europei e CR7 non era nemmeno trentenne. Allora, il Napoli cedette Cavani per rifarsi completamente il look: a un tecnico di richiamo internazionale come Benitez vennero affiancati calciatori come Albiol, Callejon e Higuain che venivano nientemeno che dal Real Madrid, l'ex portiere del Liverpool Reina e un belga tutto pepe che rispondeva al nome di Dries Mertens. Nella stagione precedente, in un Napoli arrivato al secondo posto con Mazzarri, al loro posto giocavano più o meno rispettivamente Paolo Cannavaro, Zuniga, Cavani, De Sanctis e Pandev: nonostante l'ottimo livello dei secondi, la parola "rafforzamento" non sembra affatto inadeguata.

Ai più attenti non è sfuggita una cosa: tre di loro fanno ancora parte dello zoccolo duro della squadra attuale, e già questo è un primo dato. Ne farebbero probabilmente ancora parte anche Higuain e Reina, se non fossero sopraggiunti diversi richiami professionali, ma questo non possiamo saperlo. Resta il fatto che da quel momento in poi, il Napoli non ha più preso un calciatore di provata caratura internazionale, ma solamente delle scommesse "a crescere" spesso sì vincenti ma mai tanto da garantire un vero e proprio salto di qualità.

Non bisogna infatti dimenticare che i vari Koulibaly, Ghoulam, Allan, Zielinski, Milik oggi sono dei signori giocatori, ma al momento del loro arrivo a Napoli erano comunque delle incognite a certi livelli. Andando ad analizzare le varie campagne acquisti degli ultimi sei anni, De Laurentiis è stato sì bravo a scoprire calciatori protagonisti di un'insindacabile crescita, ma ha avuto il torto di limitarsi a profili di questo tipo, senza integrarli con qualcuno che potesse far salire il livello della rosa nell'immediato. Sarebbe bastato un acquisto all'anno del calibro di Callejon/Albiol/Reina e oggi, probabilmente, si ritroverebbe una squadra in grado di giocarsela alla pari con la Juve senza dover inventare chissà quale alchimia tattica.

Così non è stato e oggi il presidente napoletano si ritrova nella situazione di quello che ha ingaggiato un pilota di prim'ordine per la sua scuderia di Formula 1 ma gli affida da guidare una macchina vecchia di sei anni, in cui ogni tanto viene cambiato qualche pezzo ma che conserva sempre lo stesso motore e lo stesso telaio. E per mascherare l'incapacità di vincere, dà oggi la colpa al tempo (leggi: gli arbitri), domani a una scuderia che può costruire macchine migliori grazie al fatturato superiore (leggi: Juventus), dopodomani alla federazione (e qui non c'è grosso bisogno di cercare dei parallelismi).

In tutto questo, il pilota Ancelotti si è comunque trovato a far girare l'auto in pista portandola agli stessi livelli dell'anno precedente, mentre la scuderia più ricca ha messo su una macchina inavvicinabile e le altre si attrezzano per colmare il gap. I pezzi introdotti nella vettura di quest'anno si chiamano Fabian Ruiz, Verdi e Malcuit, che un domani probabilmente saranno gli ultimi ritrovati sul mercato ma oggi sono ancora in via di collaudo; questi tre "componenti" sono costati alla società 66 milioni di euro, con l'ex bolognese che non rappresenta certo una priorità nelle rotazioni del tecnico emiliano.

Tanto per fare i nomi di tre pari ruolo, Strootman è stato pagato 25 milioni dal Marsiglia, Shaqiri 15 dal Liverpool e probabilmente il resto sarebbe bastato per acquistare un nazionale campione del mondo come Sidibe del Monaco; evidentemente gli ingaggi sarebbero stati diversi, ma niente che la cessione di Hamsik in Cina (che sarebbe avvenuta comunque) non avrebbe potuto ripianare.

Il flop, quindi, è figlio della paura di pensare in grande di De Laurentiis piuttosto che delle colpe oggettive di Ancelotti. Che però, dal canto suo, deve iniziare a pretendere che i cordoni della borsa vengano allargati: parliamo di un allenatore che si è dimostrato vincente e proprio per questo non può accettare di fare le nozze con i fichi secchi per il secondo anno di fila.