L'attenzione generale degli appassionati di calcio è catalizzata dalle notizie che vogliono Inter e Milan pronte a passare in mani cinesi dopo svariati lustri in cui queste sono state in possesso di due dei magnati più in vista dell'economia italiana, accomunati - oltre che dalla provenienza geografica - da una minor possibilità nell'investire sulle loro squadre rispetto agli anni d'oro della loro gestione. Moratti e Berlusconi sono, per il resto, due persone profondamente diverse e in quanto tali hanno commesso degli errori diversi, per quanto dettati in entrambe i casi dalla mancanza di lungimiranza. Il primo, da presidente, ha spesso buttato via i propri soldi strapagando allenatori e giocatori di modesto valore (se pensiamo a Quaresma, Gresko, Brechet e alla buonuscita di Vieri mettiamo insieme circa 50 milioni di euro, il doppio del costo di risistemazione dello stadio Friuli) per la smania di vincere subito, mentre il secondo, attratto da impegni extracalcistici, ha demandato ad altri la gestione della sua "creatura" e ora che vuole riprenderla in mano si è reso conto di non esserne più in grado, tanto economicamente quanto amministrativamente. In questo contesto si inseriscono, come mosche al miele, gli investitori stranieri. Una città come Milano, che già di per sé rappresenta un brand, con due squadre di tradizione radicata e con due marchi spendibili in praticamente tutto il mondo, che si trovano entrambe in difficoltà tecniche ed economiche. Qualche fiche da cento milioni di euro sul tavolo e tutti gli altri passano la mano, lasciando al forestiero - in questo caso cinese, ma il discorso vale anche per arabi, russi o asiatici di altra provenienza - l'intera posta. Intendiamoci: colui che viene da fuori per investire i propri soldi non è certo da demonizzare. Lo stesso miracolo Leicester, senza i soldi di Srivaddhanaprabha non sarebbe mai potuto esistere, né il Manchester City, il Chelsea o il Paris Saint-Germain avrebbero conosciuto i momenti migliori della loro storia. Ma queste "macchine da denaro", oltre a risultare opinabili dal punto di vista puramente romantico, rappresentano davvero il calcio del futuro? Le squadre che tuttora dominano la scena internazionale sono prevalentemente spagnole; tralasciando l'azionariato popolare di Real Madrid e Barcellona che rappresenta già di per sé una base solida per garantire un futuro, chi ha provato a investire in Spagna è rimasto scottato. Il Malaga del qatariota Al-Thani non è andato oltre una singola stagione di Champions, il Valencia di Lim a momenti rischiava di retrocedere. Il tutto mentre l'Atletico combatteva su tutti i principali fronti sino all'ultimo, il Siviglia vinceva l'ennesima Europa League e il Villarreal mieteva applausi tra campionato e coppe. Atletico, Siviglia e Villarreal: tutte e tre spagnole fino al midollo, eccezion fatta per il Cholo Simeone che comunque a Madrid è di casa. Guardando in casa nostra, chi domina incontrastata - e riveste comunque un profilo importante, ancorché non vincente, in Europa - è la Juventus italianissima di Agnelli, Marotta e Paratici, più Nedved che pur essendo straniero vive in Italia da vent'anni. A tenere testa alla Juve è il Napoli di De Laurentiis, che ha dato le chiavi del mercato a Giuntoli e che progetta la creazione di un nuovo stadio, sul modello della stessa Juve. La Roma è la prima tra le "straniere", ma sinora le cinque stagioni di sogno americano non hanno fruttato nemmeno una coppa Italia e il progetto-stadio non è meno remoto di quello napoletano. Il calcio è business oggi più che mai e più andremo avanti, più le due entità si troveranno a coincidere tra loro. Il discorso è che il calcio, tuttavia, fondamentalmente resta anche uno sport in cui non è detto che vinca il più bravo, a meno che essere veramente bravo non significhi scoprire l'oro nelle miniere mentre gli altri vanno a comprarlo in gioielleria. L'Atletico Madrid, nel 2011, perse in Copa del Rey contro il modesto Albacete con una difesa composta da Juanfran, Miranda, Godin e Filipe Luis, più Gabi e Koke a centrocampo: cinque su sei di loro avrebbero poi giocato due finali di Champions, e il sesto è tra i difensori più apprezzati a livello internazionale in questo momento. Il Siviglia ha messo a bilancio 300 milioni di plusvalenze continuando a vincere in Europa. Con il senno di poi è tutto facile, ma credo sia comunque legittimo chiedersi: non potevano farlo l'Inter e il Milan, piuttosto che aspettare di ricevere un salvagente dall'estero?