A molti il nome di Francesco “Franco” Bontadini dirà ben poco, e del resto è comprensibile dal momento che parliamo di un giocatore di calcio del periodo in cui questo sport, in Italia, era ancora agli albori. Nonostante questo, egli è protagonista di una storia che arriva sino ai giorni nostri e che richiederebbe un approfondimento che possa andare oltre la sola Grande Rete e il materiale cartaceo da cui provengono le informazioni presenti in questo pezzo. Bontadini era uno sportivo a tutto tondo. Provetto sciatore, fu anche un calciatore piuttosto valido, stando agli standard dell’epoca. Milanese purosangue, iniziò la propria carriera nell’Ausonia per poi passare al Milan, in cui mise insieme sette presenze e un gol. Sarà però l’Inter la squadra con cui il talentuoso interno destro si metterà maggiormente in mostra, arrivando a siglare ben 14 gol in 18 presenze nella sua prima stagione in nerazzurro, quella del 1911/12. L’exploit vissuto durante quell’annata lo portò ad essere chiamato a rappresentare l’Italia alle Olimpiadi del 1912. Gli azzurri, alla loro prima partecipazione ai Giochi Olimpici, furono protagonisti di una spedizione alquanto avventurosa: letteralmente abbandonati dalla Commissione incaricata di seguire l’avventura olimpica in seguito a una sconfitta per 5-4 maturata contro la Francia, gli italiani vennero presi sotto l’ala protettrice di un ancor giovanissimo Vittorio Pozzo, alla sua prima esperienza alla guida della Nazionale. Con la Nazionale già iscritta ad una competizione senza nessuno che si occupasse dell’organizzazione logistica, il soggiorno svedese dell’Italia fu del tutto improvvisato: i giocatori alloggiarono in una scuola e si trovarono a consumare i pasti nell’unico ristorante italiano presente a quel tempo a Stoccolma. Con delle premesse simili era difficile che si andasse incontro al successo, e infatti i nostri persero per 3-2 contro la modesta Finlandia nella gara inaugurale, venendo così immediatamente estromessi alla corsa verso una medaglia. A salvare la faccia, tuttavia, arrivò una vittoria contro i padroni di casa della Svezia nel torneo di consolazione prima della desolante sconfitta per 1-5 patita contro l’Austria in semifinale. Nella gara contro i finnici – allora ancora appartenenti all’Impero Russo ma iscrittisi ai giochi in maniera autonoma in barba agli zar – gli azzurri si ritrovarono inizialmente sotto per un gol di Ohman al 2’, poi Bontadini (che detiene così il primato di esser stato il primo italiano a segnare un gol alle Olimpiadi) al 10’ e Sardi al 25’portarono i nostri sul 2-1. Al 40’ Soinio pareggiò i conti, e al 105’ arrivò il gol di Wiberg a far svanire ogni speranza di qualificazione. L’arbitro di quella gara era nientemeno che Hugo Meisl, CT austriaco che diversi anni più tardi sarebbe diventato uno dei più grandi allenatori dell’epoca, nelle vesti di condottiero del Wunderteam degli anni Trenta. Dopo la citata partita contro la Svezia decisa da un altro gol di Bontadini – capace di finalizzare un contropiede fulminante dei nostri – e l’estromissione definitiva dal torneo per mano austriaca, gli azzurri fecero ritorno a casa senza particolari squilli di tromba. Bontadini, l’eroe della spedizione, aveva un carattere piuttosto stravagante e nonostante una carriera da calciatore che si annunciava promettentissima decise di dedicarsi prevalentemente agli studi in medicina, riducendo drasticamente gli impegni pallonari. La laurea in medicina arrivò prima dello scoppio della prima guerra mondiale, che lo vide partire al fronte. La sua volontà di trovarsi al fianco dei compagni lo portò tuttavia a commettere una sventatezza: omise il proprio status di medico pur di combattere in prima linea come soldato semplice nel Settimo Reggimento Alpini Val Cismon. Tale bravata gli costò la retrocessione al grado di sottotenente medico. Al termine del conflitto, Bontadini riprenderà a giocare con la maglia nerazzurra, anche se ovviamente lo smalto non fu più lo stesso dei giorni migliori. L’interno milanese sarebbe comunque riuscito a togliersi la soddisfazione di vincere uno scudetto, quello del 1919/20, sia pur con due sole presenze all’attivo. Dopo il termine della carriera agonistica culminata con il conseguimento del titolo tricolore, il nome di Bontadini non fu più legato in alcun modo alle cronache sportive, con l’ex giocatore che evidentemente decise di dedicarsi totalmente alla carriera di medico. L’ultima notizia che lo riguarda è datata 27 gennaio 1943 ed è purtroppo quella della sua morte per suicidio, decisione apparentemente maturata per cause amorose. Nonostante occupi un posto esclusivo nel calcio italiano, i quotidiani dell’epoca, impegnati nel raccogliere notizie sul secondo conflitto mondiale allora in pieno svolgimento, non riportano la notizia neppure a titolo marginale. Per avere un riscontro sulla scomparsa dell’ex interista bisognerà aspettare il novembre del 1951, quando – in occasione di una gara tra Italia e Svezia – l’ex CT Vittorio Pozzo, suo allenatore ai tempi della nazionale Olimpica, nel ricordare la prima vittoria in una gara ufficiale della squadra azzurra racconterà anche di come oltre otto anni prima il cinquantenne Bontadini avrebbe deciso di togliersi la vita. È a questo punto che la storia assume un alone di mistero. Nel gennaio del 2015 la FIGC decise di commemorare i calciatori caduti nella primo conflitto mondiale in occasione della ricorrenza dei cento anni della partecipazione dell’Italia alla Grande Guerra. Nel comunicato ufficiale relativo alla celebrazione compare – direi in maniera abbastanza sorprendente – anche il nome di Bontadini, che risulta addirittura esser stato insignito della medaglia di bronzo al valor militare. A questo punto sorge spontanea la domanda: dove sta la verità? Verrebbe naturale credere alle parole di Pozzo, che conobbe personalmente Bontadini per averlo allenato e che peraltro lo ricordava con particolare favore dal punto di vista umano. Tuttavia, è possibile che la nostra Federazione sia incappata in una svista di tale livello? Su Internet i riscontri sulla data di morte di Bontadini non mancano sicuramente e non è nemmeno troppo difficile risalirvi. Ai posteri l’ardua sentenza, con l’augurio che si riesca a fare – presto o tardi – luce sulla vicenda.