Per parlare di vero e proprio ritorno al passato è decisamente presto, ma l'esperimento - sinora riuscito - di Mihajlovic alla guida del Milan potrebbe fare proseliti. Quello che una volta era lo schema più utilizzato dai tecnici di A e non solo, vale a dire il 4-4-2, nell'ultimo decennio è stato posto più o meno frequentemente in soffitta per fare spazio a formule dal vago sapore più offensivo che, all'atto pratico, non si traducevano necessariamente in quell'atteggiamento d'attacco che prescinde dai numeri ma parte dalla testa dei giocatori e, ancor prima, da quella di chi li guida. Posto che il bravo allenatore è quello che sa tirare fuori il meglio dai propri giocatori (e, di conseguenza, adatta il proprio schema alle loro caratteristiche), è pur vero che nelle difficoltà il 4-4-2 può rivelarsi un'ancora di salvezza importante. La forza di questo modulo sta nella sua semplicità: due linee (quelle di difesa e di centrocampo) con lo stesso numero di uomini, che pertanto devono muoversi in modo analogo, con le cosiddette "diagonali" a disporre la squadra in modo che, in caso di repentino cambio di gioco da parte dell'avversario, questa sia opportunamente schierata in fase difensiva. Se le due linee poi sono vicine tra loro, si parla della cosiddetta "squadra corta": una vera e propria muraglia difficile da sorpassare che oltre ad applicare un pressing che può frustrare le velleità avversarie, integra una maggior facilità a far scattare la cosiddetta "trappola del fuorigioco" e una maggior propensione dettare la ripartenza date le esigue distanze tra i reparti. Chiaramente, non è tutto oro quello che luccica. I dettami del 4-4-2, per dei professionisti, sono pressoché elementari ma tuttavia nessuno può andare contro la propria natura: se un mio giocatore è portato a fare l'interno di centrocampo, nel 4-4-2 non avrà una sua collocazione. Idem per quanto riguarda il trequartista classico, l'esterno d'attacco poco propenso alla fase difensiva e quello, per così dire, da "difesa a tre" che spesso è una tipologia di giocatore che sta a metà del guado, né difensore e né ala. Proprio quest'ultima categoria ha, suo malgrado, contribuito alla graduale dismissione del 4-4-2: sempre più tecnici giocavano con una difesa a quattro e un centrocampo con due mediani e due esterni portati più alla corsa che al dribbling e alla ricerca della profondità; per questo motivo il 4-4-2 è diventato sinonimo di "rinuncia alla qualità", senza che questo fosse necessariamente vero. Il Milan degli Olandesi aveva sì Evani e Colombo a fare legna, ma anche un fenomenale Donadoni a innescare Van Basten e Gullit (o Massaro), oltre alle geometrie che in mezzo poteva garantire Ancelotti. In quello di Capello spiccava l'estro di Savicevic, che il tecnico friulano impiegava spesso come esterno destro di centrocampo. Lo stesso Gigi Del Neri, che oggi ripropone lo stesso modulo all'Hellas dando - se non altro - la giusta dignità a una compagine che ha praticamente regalato punti a tutti nel girone d'andata, fece innamorare l'Italia con il suo giocattolo-Chievo spinto dalle sgroppate di Eriberto-Luciano, dalle serpentine di Manfredini e dal fosforo di Corini. Lungi da me voler definire il 4-4-2 come panacea di tutti i mali; piuttosto può essere una valida base da cui ripartire per quelle squadre che si trovano in crisi di identità e di risultati, anche semplicemente come anticamera verso nuovi moduli meno "anacronistici" e più cattura-spettatori.