Quando vengono associate tra loro le parole ‘pallone’ e ‘Olanda’, il pensiero corre immediato al cosiddetto calcio totale, a quei mondiali 1974 in cui la nazionale Oranje conquistò l’attenzione del mondo grazie a un’ottimizzazione degli spazi e dei tempi sul campo mai vista prima e a tutti i campioni susseguitisi da quel momento in poi, da Cruijff a Van Nistelrooy passando per il famoso trio milanista Gullit-Rijkaard-Van Basten e per gente come Overmars, Davids, Bergkamp e Kluivert. Una lista lunghissima nonostante, in fin dei conti, si parli di una nazione non particolarmente popolosa e si prenda in considerazione un periodo storico inferiore all’ultimo mezzo secolo di calcio.

Prima del 1974, a onor del vero, il calcio olandese non era certo tra i più rilevanti. I maggiori allori della nazionale erano rappresentati dai tre bronzi olimpici del 1908, 1912 e 1920, quest’ultimo ottenuto peraltro solamente in seguito a un ripescaggio; i mondiali erano una sorta di tabù (nelle edizioni del 1934 e del 1938 arrivò l’eliminazione dopo appena una partita, da lì in poi il vuoto) e il campionato europeo per nazioni non li vide tra i partecipanti fino al 1976.

In virtù della relativa modestia calcistica di quel periodo storico, i Paesi Bassi non rappresentavano un bacino particolarmente attraente per le squadre italiane, da sempre concentrate nella ricerca di talenti d’oltre confine a basso costo. L’Inter fu la prima squadra dello Stivale a scommettere su un calciatore olandese, l’interno Faas Wilkes nel 1949: proveniente dal piccolo Xerxes di Rotterdam, dribblomane e ottimo finalizzatore, l’attaccante lasciò un ottimo ricordo in nerazzurro (meno al Torino, dove fu ceduto dopo il triennio interista) pur senza vincere niente.

Come spesso accade ancora oggi – e a maggior ragione in quei tempi – spesso basta una rondine per fare primavera e l’anno dopo, sperando di replicare il buon colpo azzeccato dall’Inter, altre tre squadre andarono a pescare in Olanda: la Pro Patria si accaparrò il centrocampista Wim Lanemberg, la Fiorentina puntò sul centravanti della nazionale André Roosenburg e il Messina, in B, prese l’attaccante Karel Voogt. Tutti e tre diedero un discreto contributo alla loro causa, ma nessuno di loro lasciò un segno reale nel calcio italiano.

Visti i precedenti non troppo incoraggianti, le squadre italiane desistettero dal rivolgersi al mercato olandese per qualche tempo, finché nel 1961 fu il Lanerossi Vicenza a decidere di cantare fuori dal coro puntando sul biondo centravanti Piet Kruiver, goleador del PSV Eindhoven con cui mise a segno 36 reti in 90 partite conquistandosi la maglia della propria nazionale.

Stazza da corazziere e aspetto maturo nonostante l’età ancora giovane (era del 1938), Kruiver non ebbe un’esperienza fortunata in biancorosso, tradendo la sua fama di bomber dopo una stagione in cui mise a segno una sola rete (peraltro inutile, nella sconfitta interna per 1-2 contro il Mantova) in diciassette partite e al termine della quale fece le valigie per ritornare in patria, stavolta al Feyenoord, dove riprese a segnare con ottima regolarità, siglando addirittura 74 gol in 94 presenze. Nel 1966 passò al piccolo DWS, dove avrebbe chiuso la carriera ad appena trent’anni a seguito di due buone stagioni in cui mise insieme 24 marcature in 52 match.

A giudicarla così, quella di Kruiver in Italia passa come l’esperienza del cosiddetto bidone, tanto valido tra i patrii confini quanto inconsistente se messo alla prova con un calcio differente. A darne conferma è in fin dei conti anche la Wikipedia italiana, che impietosamente ricorda come l’elevato numero dei gol che sbagliò in quella difficile annata gli valse il soprannome di Pietà – evidente storpiatura del suo nome di battesimo – da parte dei sostenitori vicentini.

Effettivamente, l’impatto ambientale di Kruiver con il calcio italiano non fu dei migliori sin da subito. Su Internet si trova molto poco su di lui, complice probabilmente il fatto che sia scomparso prematuramente nel 1989 dopo aver combattuto invano contro il cancro. Tuttavia, ricercando con attenzione, è stato possibile rinvenire un’intervista risalente al 1998 da parte del sito volkskrant.nl all’ex portiere professionista Dick Schouten, che con Kruiver condivise gli esordi nel piccolo KFC, la squadra del loro paese, Koog aan de Zaan.

In tale articolo si ricorda di come Kruiver ebbe il suo primo approccio con il calcio italiano proprio contro il Lanerossi Vicenza, citando erroneamente una gara amichevole che tanto amichevole non fu. In realtà, la circostanza era la finale della Benelux Cup, una vera e propria coppa europea dedicata a quelle squadre che non riuscivano a qualificarsi o a farsi strada nelle competizioni maggiori.

Disputatosi proprio a Vicenza, l’ultimo atto della competizione vide infatti di fronte Lanerossi contro PSV, con i padroni di casa che vinsero con una doppietta del centravanti Cappellaro che ribaltò l’iniziale vantaggio olandese firmato da Van der Kuil. Kruiver, si ricorda, litigò con il portiere Bazzoni e venne cacciato dal campo, ma ciononostante i dirigenti vicentini gli proposero inaspettatamente di diventare il loro centravanti per la stagione a venire.

Arrivato in Italia per una cifra – 275mila fiorini – al tempo elevatissima per quelli che erano gli standard previsti in un calcio ancora di stampo semiprofessionistico com’era quello olandese (un giornale locale commentò con una frase del tipo “sembra che si parli di fagioli piuttosto che di fiorini”), Kruiver rappresentò per il PSV quella che oggi verrebbe definita una consistente plusvalenza, essendo arrivato qualche anno prima dal KFC per appena diecimila fiorini.

Già a diciassette anni, Kruiver iniziava a mietere i primi successi. Campione regionale nel suo KFC, vero e proprio enfant prodige capace di siglare ben due triplette in quella stagione, il giovane Piet veniva seguito maniacalmente dal padre Jo, che alternava la sua attività di commerciante di tessuti all’attenzione per la crescita del figlio come calciatore, essendo stato anch’egli un buon attaccante dello stesso KFC una ventina di anni prima. Riferisce Schouten nell’intervista di come, nel giorno seguente alla vittoria, un rotocalco del tempo avesse affiancato alla notizia della vittoria del titolo la pubblicità della drapperia di Jo Kruiver, ‘campione di tessuti’.

Nel 1956, Piet Kruiver trovò al PSV il proprio primo ingaggio, invero abbastanza modesto: la paga consisteva infatti nei gettoni di presenza per gli allenamenti e in un premio partita di quaranta fiorini in caso di vittoria e di sette fiorini e mezzo in caso di sconfitta. L’offerta del Lanerossi Vicenza, una squadra che già nel nome aveva un proprio sponsor – nel tessile, una vera e propria costante nella vita del centravanti –, dovette essergli sembrata come la classica occasione della carriera. Le difficoltà, tuttavia, furono diverse.

Nell’intevista di Schouten – al netto dei possibili errori che possono essere stati effettuati da parte del traduttore automatico – certe traversie vengono riassunte rimarcando dei particolari che gettano più di un’ombra nel calcio di quegli anni. Se infatti si parla delle immaginabili difficoltà di integrazione linguistica per un calciatore olandese (in quegli anni l’inglese non era certo una delle lingue più parlate in Italia) e di un calcio troppo difensivo che non ne agevolava le caratteristiche, tra le cose che contribuirono a intristire un Kruiver dal carattere già di per sé introverso vi furono anche le non ortodosse pratiche per migliorare le prestazioni dei calciatori.

Questa è l’esatta traduzione del testo dell’intervista riguardante tale parte effettuata dal sito deepl.com: “Kruiver è durato solo un anno in Italia, ma le esperienze sono state sufficienti per la vita di molte persone. Anche allora, secondo lui, c'era la deglutizione e l'irrorazione. Hai camminato come un pazzo per un'ora e mezza, ma se la partita era durata un giorno, stavi ancora camminando. Ogni settimana a Kruiver sono state iniettate vitamine anche perché il cibo nei campi di addestramento era insufficiente. Ancora e ancora un pezzo di carne con lattuga e un po' di zuppa. Di notte mi intrufolavo spesso nella cucina dell'hotel per rubare un pezzo di pane secco. Davvero, ho vissuto come un ladro", disse nove anni fa a Football International.”.

Resta da stabilire quali possano essere i significati specifici delle parole tradotte come ‘deglutizione’ e ‘irrorazione’, ma la frase successiva “hai camminato come un pazzo per un'ora e mezza, ma se la partita era durata un giorno, stavi ancora camminando” e l’ulteriore affermazione “ogni settimana a Kruiver sono state iniettate vitamine anche perché il cibo nei campi di addestramento era insufficiente” sembrano comunque abbastanza eloquenti riguardo alle metodologie medico-nutrizionistiche dell’epoca.

Nonostante avesse firmato un triennale con il Vicenza, un demoralizzato Kruiver tornò in Olanda per vestire la maglia del Feyenoord già dopo il termine della stagione 1961/62. L’esperienza non sarà stata esaltante, ma il solo fatto di essere stato a giocare in Italia rappresentava di per sé un gran biglietto da visita per il centravanti, che a Rotterdam trovò una valida spalla come Coen Moulijn a fargli da assist man.

Già nel 1962/63, Kruiver si sarebbe tolto inoltre lo sfizio di disputare la semifinale di Coppa dei Campioni contro il Benfica. Su Youtube esiste perfino un filmato che si concentra esclusivamente sui movimenti di Kruiver – che possono vagamente ricordare quelli di Džeko, tanto per fornire un paragone con il calcio dei giorni nostri – durante la gara d’andata, terminata 0-0. Gli olandesi avrebbero però perso l’occasione di andare in finale venendo sconfitti per 3-1 dai lusitani, che a loro volta avrebbero ceduto il passo al Milan di Nereo Rocco durante l’atto conclusivo della competizione.

Nell’edizione del 1965/66 Kruiver ebbe la soddisfazione di battere il grande Real Madrid nella partita disputata a Rotterdam il 7 settembre del 1965. Dopo l’iniziale vantaggio firmato da Puskas, Kruiver si rese protagonista prima di una caccia all’uomo in cui abbatté il terzino madridista Vicente Miera reo di aver commesso un fallaccio su Moulijn e poi di una carica al portiere non fischiata dall’arbitro Galba che favorì il gol del definitivo 2-1 siglato da Kraay, dopo il pareggio olandese a opera di Venneker.

Il Real si sarebbe però vendicato con gli interessi nella gara di ritorno: secco 5-0 – con Puskas che ne firmò quattro personalmente – e Feyenoord estromesso dalla competizione, con il successo della gara d’andata reso vano dal prepotente ritorno delle merengues.

Furono quelli gli ultimi acuti di una carriera che volgeva al termine, nonostante gli anni di Kruiver fossero solamente ventotto. Al DWS di Amsterdam guadagnò l’ultimo contratto di una certa consistenza, ma dopo i problemi alla schiena subentrati durante la sua seconda stagione nel club della capitale, avrebbe deciso di dire basta.

Schouten ricorda Piet Kruiver come un uomo non particolarmente espansivo, che poteva sì prender parte a un momento goliardico ma che non era certo un burlone di natura. Piuttosto, si trattava di una persona interiore che amava trascorrere il proprio tempo in solitudine, tra la passione per la pesca e per la caccia e l’attività di commercio nel campo del tessile intrapresa dopo il termine del proprio percorso da calciatore.

Proprio uno dei suoi hobby preferiti ci regala uno degli aneddoti più divertenti della vita di Kruiver. Nel 1965, il giorno seguente la partita con il GVAV, decise di concedersi un po’ di riposo dopo essere stato strenuamente marcato per tutta la gara dall’arcigno Martin Koeman, papà dei più noti Ronald e Erwin; optò così per una battuta di pesca, che si sarebbe conclusa con un successo oltre le aspettative: un luccio saltò fuori dall’acqua e lui lo prese al volo, letteralmente abbracciandolo.

Tuttavia, quel giorno il Feyenoord doveva sostenere una sessione di allenamento e lui, dopo aver avvolto il luccio dentro un asciugamano bagnato sul sedile posteriore, si recò di fretta al De Kuip. Per preservare la salute del pesce, lo portò con sé e lo gettò all’interno della piscina presente nello spogliatoio, dove i giocatori erano soliti rinfrescarsi al termine della seduta. Successivamente, si cambiò per prendere regolarmente parte all’allenamento.

Dopo la conclusione della seduta, Thijs Libregts, Hans Kraay sr. e Pummie Bergholtz si tuffarono completamente nudi nella piscina, ignari di quanto combinato dal loro centravanti: si dice che al De Kuip abbiano raccontato per mesi di come i tre calciatori, velocissimi nel tuffarsi, siano stati altrettanto rapidi nell’uscire dalla piscina alla vista di un bestione di un metro che nuotava tra le loro gambe mantenendo la bocca aperta!


Lo sfortunato Kruiver resta, ad oggi, uno dei migliori attaccanti olandesi del periodo pre-Cruijff, come mostra l’ottimo score di dodici reti in ventidue gare segnate con la maglia della propria nazionale.