Una gran partenza, poi il crollo. Inizialmente graduale per diventare man mano più fragoroso.

Così si potrebbe riassumere, fino a questo momento, la stagione del Chelsea di Sarri. L'intento era ambizioso, quello di mutuare il modello visto a Napoli, il gioco ancor prima dei giocatori, e la rosa a disposizione sembrava essere di livello adeguato rispetto al progetto che si aveva in mente.
Già adesso a febbraio, tuttavia, tutto ciò si è improvvisamente sgonfiato. Quali sono le cause?
Sicuramente, il tecnico ex Napoli ha le sue colpe, una su tutti quella di reiterare con il suo modus operandi che prevede l'impiego di un numero fin troppo limitato di giocatori. Sinora, il Chelsea ha giocato 42 partite in stagione (vale a dire 3780 minuti esclusi i recuperi), ma appena quindici giocatori in rosa sono ad oggi sopra i mille minuti giocati, sedici se vogliamo includere Loftus-Cheek che si ferma a 997 (fonte: Transfermarkt). Tuttavia, da questo sparuto gruppetto, bisogna escludere Morata (1498 minuti giocati) che a gennaio è passato all'Atletico Madrid.

Per dare un'idea, nel Liverpool sono in quattordici ad aver superato (o quasi) i mille minuti; uno in meno rispetto ai Blues, ma la squadra di Klopp ha disputato "appena" 35 partite. A parità di gare rispetto ai londinesi, il Manchester City di Guardiola conta diciannove uomini che superano quota mille, mentre per lo United sono sedici in 37 incontri e per il Tottenham diciassette in quaranta partite. Tradotto, il Chelsea ha avuto una stagione finora più logorante delle altre big, ma Sarri difficilmente ha attinto al serbatoio delle riserve per tentare di riassestare la giusta marcia.

Altra parziale "colpa" dell'allenatore toscano è quella delle scelte operate in sede di mercato.
Jorginho non sta dimostrando lo spessore necessario per prendere le redini di una squadra dalle alte ambizioni di classifica in un torneo difficile come quello inglese, Higuain va ricostruito psicologicamente dopo il turbolento addio alla Juventus e l'infausta esperienza al Milan, Kepa può diventare un ottimo investimento per il futuro ma al momento è solo un portiere che è stato strapagato e infine Kovacic si è mostrato il solito giocatore "né carne e né pesce". Nessuno dei nuovi acquisti, insomma, ha fatto fare il salto di qualità alla squadra; visto il curriculum dei singoli c'era forse poco da dubitarne, con buona pace del centrocampista croato che non ha certo lasciato il proprio marchio sui trionfi del Real Madrid. Si potrebbe forse escludere da questo discorso Higuain, il quale però è arrivato a gennaio con una situazione già complicata.

Va del resto detto che il parco giocatori ereditato da Sarri è sì sulla carta superiore a quello che aveva nel Napoli, ma è peggiore in termini "relativi", visto il maggiore equilibrio che regna nella Premier rispetto a quanto avviene in Serie A. I vari Rudiger, Emerson Palmieri, Zappacosta e Marcos Alonso non hanno certo lasciato l'Italia con l'etichetta di vincenti; campioni affermati come David Luiz e Pedro sembrano ormai in fase declinante, ed esclusi Kante e Hazard non si riescono a notare altri nomi che potrebbero giocare titolari in un top club in modo più o meno indiscutibile.

La verità, quindi, sta come sempre nel mezzo: Sarri non è, probabilmente, il tecnico giusto per far vincere qualcosa alla propria squadra, ma d'altro canto nemmeno il Chelsea è compagine costruita per vincere.
Dando quindi per scontato l'addio - se non immediato, quantomeno abbastanza prossimo - del mister già di Empoli e Verona, verrebbe da chiedersi quale potrebbe essere la ricetta giusta far tornare il Chelsea ai fasti di un tempo.

Appare evidente che la cosa non sia fattibile in tempi brevi: paradossalmente, il Chelsea di Abramovich ha fatto lo stesso errore dell'Inter di Moratti, che dopo il 2010 pagò il logorio e l'appagamento seguiti a una grande vittoria fino a doversi ridimensionare senza più ritornare a certi livelli. In certi casi, probabilmente, una rivoluzione (possibilmente con un buon aiuto finanziario da parte del patron russo) potrebbe essere la giusta soluzione, a patto che si metta in preventivo almeno una stagione di transizione.

La cessione dei campioni demotivati unita a quelle di coloro che, ancorché tutt'altro che fenomenali, dispongono tuttora di un buon mercato, può fruttare un discreto tesoretto che unito alle risorse della proprietà può consentire alla rosa di uscire, se non oggettivamente rinforzata, quantomeno rinnovata negli uomini e nelle motivazioni.

Fatta questa premessa, resterebbe da trovare l'uomo giusto per coniugare l'esigenza di raggiungere un risultato sportivo accettabile pur dovendo partecipare attivamente a una vera e propria rivoluzione tecnica. E l'uomo giusto potrebbe essere Leonardo Jardim: il tecnico del Monaco fu capace di soffiare un titolo al PSG due stagioni fa, ma soprattutto ha il pregio di essere abituato a far bene con rose spesso rivoluzionate, come spesso accade alla squadra del Principato che a ogni sessione estiva di mercato viene spogliata dei migliori elementi.

Un azzardo? Forse. Ma d'altro canto per vincere la sua unica Champions ad Abramovich sono serviti otto anni e c'è da credere che solamente il lancio di un nuovo progetto a lunga gittata potrebbe riportare l'entusiasmo sia nel magnate russo che nella tifoseria di Stamford Bridge.