Le pallottole di Nicchi e i tifosi della Juventus

-I- Il calcio, la magia e la follia.

Quando ero piccolo, il calcio era un gioco che guardavo e che mi sarebbe piaciuto giocare. Quando ero adolescente era un bel gioco da giocare sui campetti parrocchiali e in qualsiasi fazzoletto di terra, erboso o meno, con porte vere o improvvisate. Da adulto un bellissimo momento di stacco dalle pressioni, da vivere in qualche torneo, con i colleghi o con gli amici, con squadre create per durare un po' più di un nulla o improvvisate al momento. Un bisogno di spazio personale, l'inventarsi la scoperta dell'Isola che non c'è nel vissuto quotidiano. 

Adesso, solo da spettatore, a volte mi viene descritto come una cosa brutta, piena di interessi e da cui diffidare. A me muove ancora delle passioni, anche se so che qualcosa di finto e di poco sportivo, qualche volta, va a sporcare le belle sensazioni. Poi, gli occhi con cui lo guardo tornano puliti e mi appassiono ancora, in parte per quel che vedo e in parte per quello che ricordo.

Le pallottole minacciose agli arbitri, come rivelato da Nicchi, sono un segno di tempi marcati da nuove, moderne e velenose follie, nulla a che fare con il gioco e il calcio rimane un gioco, da guardare con occhi curiosi e appassionati. Il tifo è, in parte, una fresca follia che ci fa stare bene o male, nei momenti di pathos, non a freddo pensando di spedire pallottole verso chicchessia. Quello non è gioco e non è tifo: è dramma, personale e/o collettivo. Il tifo è follia (malattia) e magia in dosi diverse che, dal retrogusto che queste componenti lasciano, ti esaltano il giusto o ti intossicano un po' la vita. Il calcio, da cui si generano le vitali sensazioni che definiamo "tifo", è follia buona perché finita l'esaltazione del momento, positiva o meno, rimane quel leggero retrogusto di magia e che, vissute da solo o facendo parte di una folla, ti lasciano quel senso di attesa e voglia per la prossima partita da vivere.

-II- Un esempio.

Io sono uno che sbaglia i pronostici, o perché capita spesso o, forse, perché ne sbaglio di importanti.

La sfida fra Juventus e Real Madrid, giocata sulle due partite, per me lasciava alle due squadre pari opportunità di passare, una perché oggettivamente più forte nella sua rosa, l'altra perché possiede organizzazione e indomabile vitalità. Mi sbagliavo: pur seguendo anche altri campionati, come quello inglese e spagnolo, perlopiù, non sono riuscito a ripulire la valutazione della forza della Juve da quella distorsione visiva che è la debolezza del nostro campionato, soprattutto da quando si è impoverito da solo ed è stato curato con dosi massicce di fair play finanziario, anche quando potresti curarti con medicine più appropriate, come viene permesso altrove. Questo mi ha portato, forse (perché un qualche dubbio mi rimane, anche sull'influenza del fato sulla partita di Torino), a non pesare bene le squadre, ponendole in un contesto virtuale simile. Non so se sono l'unico, ma senz'altro, a risultato noto, ho preso una cantonata.

Cosa c'entra questo con le pallottole agli arbitri, il calcio ed il tifo? Ci arrivo.

Credo che ogni tifoso bianconero presente allo Stadium stesse vivendo la partita con un misto di speranza e di timore. Il tifo, quella mistura di magia e di follia che ti esalta, era calato a dosi massicce in ogni animo bianconero. La partita viveva ancora momenti controversi, diretta verso un esito ancora non ipotizzabile appieno, anche se iniziata in salita con quel goal di Ronaldo in mezzo ad una difesa sorpresa per sua colpa, quando accadde quello che ognuno vorrebbe vedere almeno una volta in una partita, possibilmente a favore della propria squadra: il tocco di poesia che te la farà ricordare negli anni. Ronaldo che segna un goal nella porta della Juve con una firma svolazzante, più giocosa che beffarda. Un murale da fotografare, anziché un'ingiuria a sporcare un muro da cancellare e dimenticare.

Qua il popolo juventino, quello che ama alla follia l'odiata Vecchia Signora (certo, esagero, volutamente il giusto, per ricordare che chi scrive è interista), che potrebbe infuriarsi per il risultato compromesso o abbattersi sulla poltroncina diventata tutt'a un tratto insopportabilmente scomoda e scomparire nel momentaneo ma abissale sconforto, reagisce di tifo vero, quello migliore: poca follia e tanta, tanta magia e scatta l'applauso corale, totale, quasi un piccolo "temporaneo infinito" che durerà solo quel momento ma anche nel "sempre" della loro vita di tifoso e di testimone: c'erano e hanno visto.

In quel momento mi sono sentito affratellare di tifo con quei tifosi: no, non per una squadra - "l'odiata" Vecchia Signora, ci mancherebbe! - ma per il calcio. Un tifoso di calcio. Con loro che hanno deciso di vivere quel momento non (solo) come iattura per la propria squadra ma come un momento di bellezza e, appunto, di poesia gestuale. Di quelli da ricordare e, per farlo, hanno posto un segnalibro nella narrazione di quella partita, in quel preciso momento della loro vita di tifoso, con quell'applauso.

-III- Conclusioni.

Ecco, nello stesso panorama in cui trovano spazio questi fantastici momenti di tifo, da parte chi ama il calcio, non può trovare cittadinanza chi vive inviando pallottole e minacce. Chi (in ogni tifoseria ve n'è parte, in modo rumorosamente e vistosamente marginale) ha sbagliato le dosi della mistura del proprio tifo e non sa che cosa sia la magia, intossicato di follia pura, aggravata magari da disagi esistenziali o sociali. Questo non è buonismo, non accusatemi di questo. Per me è solo buonsenso e logica: il calcio è un gioco e il gioco è ricreazione. La violenza non è ricreativa ma distruttiva.