Ok, ho fallito ancora: sono partito narrando un giorno di questo isolamento e poi mi sono rifugiato nel passato più lontano, per ritrovare una situazione serena. La strada da percorrere era lunga e così, anche lo scritto ne ha risentito in lunghezza, perché mi ci sono attardato pure un po' a girovagare...

(I)

Una giornata così così...

Oggi, sono uscito, cioè, mi sono liberato, e abbiamo raggiunto Milano che pensavo desolatamente deserta e inanimata. Percorrendo la circonvallazione, all'altezza di via Cassala il traffico era scorrevole, ma corposo. Sembrava quasi che il problema fosse rimasto al chiuso delle mura casalinghe. Al ritorno, poco dopo, perché il viaggio è risultato inutile, per via di un guasto all'apparecchiatura che doveva essere utilizzata in ospedale, abbiamo visto perfino un incidente, che aveva un po' dell'incredibile. Due macchine messe di traverso sul lato della carreggiata che stavamo percorrendo noi. Abbiamo dovuto aggirarle pian pianino come ai vecchi tempi e ho pensato che è bello non farsi mancare nulla della pazza normalità che conosciamo! L'unica anomalia era dovuta alla rassegnazione che traspariva dall'atteggiamento dei due autisti coinvolti: nessuna bellicosità, quasi una rassegnazione al destino baro e ingiusto.

Su VxL e su CM.com si dibatte il caso Djokovic e mi da l'idea che si stia vivendo un momento un po' troppo tirato dal punto di vista dei nervi per cui è facile farsi scappare una parola di troppo che fa scattare una qualche risposta e... Ha chiarito: "Vorrei avere tutte le informazioni possibili per prendere le decisioni giuste. Mantengo una mente aperta, non escludo nulla, ma la mia posizione sui vaccini è questa. Voglio avere la possibilità di scegliere ciò che è meglio per il mio corpo, quindi continuerò a indagare sulla questione perché nutro dei dubbi”, ma le polemiche sono continuate in autonomia anche da quello che ha detto lui, perché alla fin fine volevamo un pretesto qualsiasi per schierarci e tifare. Ci manca il calcio. Abbiamo tanta energia repressa che può essere utilizzata male. Per fortuna, a far scaricare un po' la mia, di rabbia, si presenta il solito politico a dire che bisogna avere una deregulation totale. Cantieri aperti e nessun codice appalti. D'altro canto, di cemento ce n'è pochino in giro, anziché ristrutturare le scuole e gli ospedali, meglio occuparsi di opere inutili perché anche il malaffare, con queste leggi anticorruzione e certificati antimafia, non riesce a dare il suo contributo all'economia. Ovviamente, le parole - ma che dico parole: sentenze! - di uno statista che con il vento in poppa e il bicchiere in mano è riuscito a farsi la pipì sulle scarpe, sfuggitagli come a un cucciolo emozionato, vanno tenute da conto: pieni poteri e avanti tutta! Voi avviatevi, io vi seguo più tardi ché ho qualcos'altro da fare, state solo attenti al burrone... Per prudenza, fate andare avanti di una decina di passi lo Statista che lui vede chiaro e lontano...

Che faccio? Un libro? Ne ho tre iniziati e non mi decido a portarne uno in fondo. Sono insoddisfatto. Sarà perché il nuovo utente di VxL ha messo giù la sua "Inter perfetta, la migliore di tutti i tempi" e non ha messo Corso e Suarez? Boh! forse. Ma neppure Julio Cesar! Ma che è meno bravo di Handa? Ma non ci credo! Ma tu chi avresti messo? Ma poi, perché devo compilare la mia Inter migliore di tutti i tempi? Casomai dei tempi che conosco: non so leggere il futuro e, oltre una certa distanza temporale sono affetto da miopia calcistica e vedo tutto annebbiato. Allora piantiamo qua anche l'Inter e il calcio, anche se un giornalista del Corriere dello Sport mi dice che Conte, non Giuseppi, Antonio, sta pensando di rivoluzionare il centrocampo dell'Inter e di mettere sul trono Eriksen. Ma vuoi vedere che da tutto questo trambusto se ne esce abbandonando il 532 o 352. Io vorrei crederci poi mi dico che sapendo che oggi mi sarei sentito un po' così ha voluto scrivere quelle cose solo per tirarmi su. Certo è carino da parte sua ma come faccio a credere che Conte abbandoni il suo modulo? Vabbè che è tempo di esperti e di cazzari, ma qualcosa risparmiatela per dopo, no?

Forse, ha ragione Nostalgico Rossonero, quando nella sua amarezza si lascia andare a scrivere che a volte sono più apprezzate le bufale che un certosino lavoro per offrire ai tifosi rossoneri, in primis, ma anche al resto degli sportivi, la lunga lista di quelli che gli sembrano i calciatori più rappresentativi della storia rossonera. Ci ha messo dentro anche degli episodi che stimolano pure la mia memoria, ma anche tante cose che non so. E allora andiamo a leggere quanto trabocca l'amore per la sua squadra e per il calcio, o rovistiamo tra gli scoop di giornata che hanno una freschezza limitata a poche ore? Ore? Minuti! Giusto il tempo di una simpatica risata. Non me ne vogliano gli scooppettari: è che una giornata così è dura da smaltire e se ci metto anche notizie indigeribili poi non dormo. Certo c'è della simpatia. Quando uno mi scrive ad ogni piè sospinto che il Milan sta per prendere Icardi io gli sono vicino, anche se poi la notizia non mi sembra così realizzabile. Ad ogni modo Icardi l'ho già ceduto a  Davids26 che se lo porta alla Juve e mi assicura che lo farà giocare con Dybala. Certo, sarebbe stato meglio all'Inter ma a caval stonato meglio non rompere le scatole che ha già i suoi problemi con la bocca. Forse i denti. Anche i dentisti sono chiusi. Non potendo andare in vacanza non ha senso taglieggiare i clienti. Anche il meccanico, quando gli portavo la macchina da far la messa a punto prima di partire, in estate, mi sorrideva mostrando un mucchio di denti. Era molto contento di vedermi. Ci ho messo un po' a capire che non era perché mi trovava simpatico.

***

(II)

Rovistando ancora tra i ricordi...

Davanti alla chiesa dei Miracoli, ormai in disuso e un po' diroccata, alla base della salita che porta in piazza Municipio, via Iudeca ha uno slargo che forma una piazzetta che, vicino all'altra, appena prima, permetteva di avere spazio a sufficienza per chi portava i prodotti della campagna, oppure animali da carne o da uova per venderli o scambiarli. Questo accadeva di domenica, mentre al sabato tutta la strada era impegnata dal mercato più grande. Ci si andava, noi bambini, a guardare i piccoli di coniglio, gli anatroccoli e i pulcini, che pigolavano nelle scatole di cartone, abbastanza alte a che non saltassero fuori. I galli, belli e orgogliosi nel loro splendido piumaggio colorato e quasi regale, tenuti per le zampe, e pronti a beccare chiunque si avvicinasse alla loro ira capovolta, erano in attesa di un nuovo padrone e di nuove compagnie femminili che avrebbero composto la loro nuova famiglia allargata. Giovani asinelli timidi e intimoriti da tutta quella gente intorno, sbirciavano con i loro occhi acquosi le attività causa di quel trambusto. Cavalli da tiro, pochi in verità, lì per aver trascinato i carretti con le mercanzie da vendere, così come asini e muli, con le loro ceste in canne e vimini, bilanciate. Ora, quel posto è ridotto quasi a parcheggio. Le auto hanno invaso gli spazi e quelle attività nessuno le ricorda più. D'altro canto, che senso avrebbe farlo?

La domenica, con il vestito buono e la camicia bianca, chi aveva faticato tutta la settimana nei campi e con gli animali, oppure lavorando da muratore, faceva una capatina in piazza e vi restava fino all'ora di pranzo, per scambiare qualche chiacchiera e, pure, per stipulare qualche accordo lavorativo. Chi per andare in campagna, nei periodi in cui serviva manodopera bracciantile, chi nei piccoli cantieri aperti, anche nei paesi vicini. Ci si scambiava informazioni utili anche per reperire qualche nuovo lavoro o per avviare al lavoro i ragazzi che, impazienti di cominciare a guadagnare qualcosa, erano ben felici di mollare la scuola.
Quando si saliva in piazza, anche noi ragazzini si andava incontro ad un mutamento sociale ben visibile. Dai quartieri periferici e poco abbienti, da cui ci muovevamo, andavamo ad inoltrarci in un mondo a noi quasi estraneo. Davanti al vecchio carcere borbonico, dove allora vi era anche una fontana dedicata a Mario Scelba (calatino, democristiano e ministro degli interni dell'epoca ma anche in epoca appena antecedente al mio affacciarmi al mondo, nel periodo della strage di Portella delle Ginestre, Presidente del Consiglio e anche del Parlamento Europeo), accostate al marciapede sostavano le carrozze con i vetturini seduti lì a conversare tra di loro, o assorti nei loro pensieri, seduti a cassetta, in attesa dei clienti, mentre il gruppo più nutrito stazionava nella vicina e più centrale Piazza Umberto I. Ad affascinarci era la "ciotta", il colpo della frusta che utilizzavano con destrezza per guidare il passo del cavallo. La passeggiata domenicale, per le strade del centro storico o il raggiungere il pezzo di città che stava nascendo, erano destinazione consuete, come la vecchia e distante stazione ferroviaria, da cui potevi raggiungere Catania e da lì l'intero mondo. Ovviamente era uno spreco di risorse economiche per cui di norma, noi dei quartieri popolari si andava a piedi anche in stazione, se non vi si era costretti dai bagagli. Nello stesso posto, in Piazza Umberto I,  negli anni '60, pian piano le autovetture sostituirono le carrozze e gli gnuri (i cocchieri) vennero sostituiti dai sciaffurri (autisti, chaffeurs).
Il centro era splendente nei bar aperti, la domenica, per sostare seduti e guardarsi intorno, facendosi invidiare da noi che in quei bar, al massimo, come avevo fatto io per un certo periodo, ci lavoravamo bambini per raccattare qualche spicciolo da portare a casa, servendo ai tavoli e cercando di non combinare disastri con i vassoi che, a volte, erano pesanti e scomodi per le nostre ridotte dimensioni di lavoratori in erba. Sembravano spazi differenti, con l'invito esplicito dei tavolinetti circolari posti sul marciapiede, rispetto ai posti dove ci si infilava per un frettoloso caffè negli altri giorni o la colazione mandata giù in un battibaleno, prima di recarsi al lavoro. L'edicola con una vetrina piena di fumetti da sbirciare e da desiderare e capannelli ovunque che contribuivano ad un brusio di sottofondo, indistintamente nelle due piazze adiacenti.
Il centro con i suoi cinema, in un periodo dove gli apparecchi televisivi erano ancora rari, quasi sconosciuti nel nostro quartiere, fino a quando una zia non ne acquistò uno, nel momento in cui gli anni cinquanta si riversavano ancora quasi immutati nel decennio successivo, inconsapevoli del fatto che ne sarebbero stati rivoluzionati, ci affascinava sporgendosi a lusingarci dalle locandine attaccate a quegli ingressi, che fungevano anche da bar nelle parti verso la strada. I film che andavano per la maggiore nei nostri desideri, quasi impossibili da assecondare, erano i western ma ancora di più quelli mitologici, più che storici, in cui personaggi dalla forza incredibile riuscivano a sovvertire il destino di imprese quasi impossibili con la forza delle loro braccia, muscolosissime, o, quando proprio non se ne poteva fare a meno, perché la fantasia era andata troppo oltre, salvandosi in corner o in zona Cesarini, come avrei imparato più tardi a definire quei momenti innamorandomi del calcio, con l'aiuto di qualche intervento divino, più svariato e fantasioso, e sempre accolto con un rumoreggiante consenso. 

Gli Ercole, i Maciste, i Sansone, gli Achille, erano sempre indaffarati in attività pericolose, a volte perfino alleati, altre come avversari, quando anche bestie strane e pericolose, appartenenti pure loro alla mitologica era creata in gran parte dalla fantasia degli autori per il terreno fertile dell'ingenuità di adulti e bambini, affascinati dalle cose più inverosimili, eterna esigenza di fiabe e sicurezza, non si prendessero l'onore di farsi ammazzare dall'eroe di turno, che cosparso di sugo di pomodoro, quasi soccombente, si riaveva miracolosamente e, quasi ai supplementari,  si appropriava della posta in gioco che, normalmente, consisteva in un'eroina di appariscente bellezza, su cui noi ragazzini fantasticavamo, anche perché, non essendo ancora scoppiata l'era del beat e delle minigonne, le corte tuniche e le braccia scollate, erano un buon stimolo per accostamento visivo alle meraviglie del sesso, di cui ci parlavano quelli un po' più grandi e dotti in materia, normalmente ripetenti a scuola, che le avevano carpite a quelli ancora più grandi. Comunque, per quanto potevamo fantasticare di immedesimarci nell'eroe di turno, l'eroina, più o meno maltrattata dalla sorte, o quasi sfregiata dalla mitologica bestia, o, ancora, quasi in procinto di essere sacrificata dal pugnale di un qualche sacerdote pagano che veniva, immancabilmente, ucciso nelle ultime scene, tra il tripudio degli spettatori, andava in sposa all'eroe e, mentre un sole tramontava alle loro spalle, possibilmente con vista sul mare, la loro vita di coppia iniziava lì. Non ho mai capito che fine facessero queste eroine quando, nei film successivi, o contemporaneamente in altri cinema, lo stesso eroe era impegnato in altre battaglie e, soprattutto, a salvare altre eroine che, alla fine sposava. Probabilmente, a quei tempi, si era eticamente molto permissivi con i personaggi mitologici, nelle finzioni cinematografiche. Nella vita di ogni giorno, in quegli stessi tempi, la permissività non era per tutti. Soprattutto non era per tutte.

***

(III)

Un eroe povero...

Peppe aveva finito il servizio militare da qualche mese. Quando era ancora lontano, le volte che andavo a casa dei suoi genitori, che abitavano dirimpetto a noi, nel carruggio della mia infanzia, quindi a due metri scarsi di distanza dalla porta del catoio in cui abitavamo in affitto, mi scoprivo a cercare con gli occhi la foto che la mamma teneva sul ripiano di una specie di credenza. Per quanto piccolo di statura, per me era grande e la divisa lo rendeva perfino imponente. Un po', a suggestionarmi, erano anche i racconti di guerra e bombardamenti che qualche volta si infilavano strisciando malevoli nei discorsi dei grandi, seduti sui gradini di casa o sulle sedie, davanti alla porta di casa a cercare un po' di difficile refrigerio e che, per qualche momento, fino a quando non si rendevano conto che noi bambini avevamo le orecchie tese a carpire ogni sfumatura di quei terribili momenti rievocati, si arricchivano di episodi. Così Peppe era diventato un eroe che, probabilmente, tra bombardamenti e battaglie, era stato chiamato a combattere per salvare quel nostro piccolo mondo che a me, che non ne conoscevo altri possibili, non sembrava neppure così male.

Era un vicolo lungo e stretto, dove le rare macchine che si vedevano in giro per le strade, a quel tempo, non avrebbero potuto infilarsi, anche volendo. Bambini e bambine per compagnia. Uno spazio, che prima era una casa e che tirata giù durante la guerra, non era stata più ricostruita, ci offriva erbacce, arbusti, nidi, lucertole, per giocare costruendovi qualche nostro mondo di fantasia, nei momenti liberi della giornata, quando passavamo di porta in porta a chiamarci e a chiederci l'un l'altro a che gioco avremmo voluto giocare, e riusciva a creare abbastanza ombre dalle forme non regolari per rendersi inquietante e sconosciuto, rispetto a quello che rappresentava di giorno, e dove poteva nascondersi ogni genere di pericolo a cui la nostra fantasia avesse voluto dare forma e di fantasia ne avevamo tanta per evocare tutti i pericoli, tra ingenui mostri neppure troppo mal dipinti e diavoli calati dalle parole dei grandi, c'era da godersela in quanto a brividi di paura, purtroppo il coraggio si evaporava in fretta con l'aumentare dell'ardire delle nostre cupe fantasie e le eroiche gesta che avrebbero dovuto suscitare non erano poi così allettanti, da essere infine affrontate. Soprattutto per quelli che, per tornare a casa, dopo tutto quel raccontarci di pericoli, dovevano attraversare il tratto di carruggio davanti a quello spazio. Si allontanavano da noi coraggiosi e poi, titubando un po' all'approssimarsi del pericolo rallentavano fino a quasi fermarsi, per poi spiccare un balzo e iniziare una breve corsa, piena di brividi, che li portava qualche metro oltre, dove mostri e diavoli perdevano il potere di ghermirci. Di quei posti, che chiamavamo "casalini", non so perché, ve ne era in ogni vecchio quartiere, belli e solari di giorno, come ogni fiaba rappresentata, e cupi alle ombre della sera, come ogni paura evocata.

Di giorno, il pericolo ben più reale, era costituito da un vecchio, rinsecchito dalla fatica di una vita, dagli stenti affrontati e poi dagli anni, che veniva fatto sedere davanti la porta di casa, con il suo bastone in mano, un po' per distrarlo, un po' per assecondarlo e, in parte, per non averlo d'impaccio in casa. Quasi sempre, la sua memoria non gli faceva riconoscere neppure la figlia che lo accudiva, a volte scambiandola per la moglie morta, altre per un'estranea, questo era motivo di scherzose e affettuose burle. Il problema è che, per qualche suo motivo, il continuo affaccendarci nei giochi di noi bambini gli era di qualche fastidio e quando eravamo costretti a passare davanti alla sua consueta postazione, o per tornare a casa, da dove eravamo stati chiamati, o per seguire le mosse di un nostro gioco, cercava di assestarci una bastonata tesa a spiaccicarci come immense mosche moleste contro il muro di fronte. Nonostante l'età, aveva un buon tempismo e, aiutato dall'effetto paralizzante che ha a volte la paura, sarebbe riuscito ad avere più spesso successo, rispetto alle rare volte in cui effettivamente gli riusciva, se a venirci in soccorso non fosse stata l'artrite che gli rallentava la buona esecuzione del colpo letale. Tutti riuscimmo a sopravvivere a quella prova e solo alcuni di noi portarono per qualche giorno il segno del bastone impresso in un livido che mostravano orgogliosi agli altri. Non molto invidiati, a dire il vero.

Peppe, qualche volta, al ritorno dal lavoro, di sera, dopo essersi lavato per pulirsi un po' anche dalla fatica, che si attaccava addosso più della sporcizia di certe attività, si sedeva fuori a cenare. Seduto sul gradino di casa e con una sedia, su cui poggiava piatto, tovagliolo e un po' di vino, davanti a fargli da tavola. Se non vi erano altri grandi con cui scambiava con difficoltà più silenzi che parole, mi confidava, forse contando sul mio appartenere ad un mondo che probabilmente non aveva ancora del tutto lasciato, quello dell'infanzia, che alcune persone continuano ostinatamente a volersi portare dentro, quasi a immunizzarsi dalle brutture che alcune svolte della vita ti fanno incontrare, della sua faticosa giornata lavorativa, di cui parlava con orgoglio, delle sue aspirazioni, perché sentiva l'esigenza di avere moglie e figli e una casa dove abitare con loro. Io ascoltavo e assentivo, perché in fondo desideravo che lui riuscisse a realizzare tutte quelle cose che voleva, anche se ogni tanto chiedevo notizie delle battaglie che aveva dovuto combattere e dei nemici che aveva dovuto sconfiggere durante quei due anni in cui era via e da cui qualche rara volta era tornato in divisa con qualche regalo per sua madre e sua sorella. Forse anche per quel padre, scuro e vecchio, che ogni tanto sorrideva all'improvviso parlando del lavoro nei campi.
Una sera aveva più voglia del solito di chiacchierare ed era nervosissimo. Il giorno dopo avrebbe dovuto mostrarsi ad una ragazza che abitava nello stradone e che voleva sposare. A lui piaceva anche prima che partisse per andare lontano, in divisa, ma non era mai riuscito a dirglielo. Gli sembrava che anche lei qualche volta l'avesse guardato con attenzione, quando, qualche volta, tornando dal lavoro, era passato per la sua strada ma, adesso, dei parenti che conoscevano la famiglia della ragazza, ne avevano parlato ai genitori e a lei e lui, la sera dopo, sarebbe passato ancora sotto casa sua e i suoi parenti lo avrebbero indicato discretamente. 
Non so di che sonno dormì, ma il giorno dopo, rientrato a casa dal lavoro dalle stradine circostanti, anziché per la via più breve dello stradone, si dette una buona ripulita e indossata una camicia pulita, sempre di quelle utilizzate per le sue fatiche, fece a ritroso lo stesso percorso per sbucare dal punto dello stradone da dove ritornava di solito dal lavoro e passò a poca distanza dalla casa della ragazza, che discretamente osservava da una finestra, mentre genitori e parenti erano al balcone, nella cattiva recita di persone disinteressate a quanto accade loro intorno, ma anche loro, invece, a scrutare ogni cosa di quel pretendente. Io ero davanti casa, mentre risaliva i gradini sconnessi e disallineati del carruggio, per raggiungere sua madre che l'aspettava davanti casa sua. Era sudato come uno di quegli eroi del cinema che affrontavano in continuazione mostri mitologici e nemici pericolosissimi, alternativa che penso lui avrebbe scelto a cuor leggero pur di non fare quel tratto di strada dove di decideva il suo destino sentimentale e il futuro sognato e che poteva essere reso nefasto da un qualsiasi suo errore. Credo che avesse perduto per strada, almeno temporaneamente, il dono della parola. Comunque, non aveva abbastanza fiato da formularne alcuna.

Invece, tutto andò nel migliore dei modi. La ragazza effettivamente l'aveva già notato ed era rimasta lusingata da quella proposta. Le informazioni che i parenti ricevettero sulla sua serietà di lavoratore fecero cadere ogni perplessità. Non so come proseguirono le cose, con degli scambi di inviti tra le due famiglie. Mia madre, brava a preparare alcuni dolci fatti in casa, praticamente delle frittelle con ripieno di ricotta di pecora freschissima (le cassatelle), ne preparò una buona quantità per la sua amica, la mamma di Peppe, che aveva lo stesso suo nome, e, la domenica in cui la fidanzata sarebbe arrivata con la famiglia, in quel tratto di carruggio il profumo di carne al sugo, messo a cuocere di mattina, e con cui avrebbero condito anche la pasta, come nei giorni di festa, mi tenne vivo un sano appetito, anche se non ne avrei approfittato personalmente. Non ne fui distratto neppure dai giochi né dal paio di tentativi di ridurmi a cacciagione personale, con il suo bastone, fatti dal vecchio, unico inconsapevole della felicità partecipata che si respirava in quel pezzetto di quartiere. 

 

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Buon 25 Aprile...