Solo di cazzeggi si tratta. Chi non è interessato a questa merce non vada oltre. Ha fatto già tanto permettendomi di conteggiare una lettura :).
A mia discolpa, posso dire che è merce già spacciata tante volte per cui le scuse sono più sentite per i malcapitati che non hanno mai letto nulla di mio e si sono avventurati con leggerezza nell'apertura della pagina, magari per via della copertina.

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Contenuto:

  • GINO STRADA

  • FACCIACULISMI DI VARIO TIPO

  • IL MIO MINUSCOLO EDEN

  • BUONA LA PRIMA, SIMONE!

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  • GINO STRADA

I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, sennò chiamateli privilegi.” (Gino Strada)

Quando un grande uomo pubblico se ne va, di norma, oltre al dispiacere o al dolore, a seconda di quanto ci abbia coinvolto positivamente la sua presenza nel sociale e nel personale, avvertiamo un grande vuoto, come quando un albero centenario viene sradicato e si pensa che, in quell'enorme buca, nulla servirà a colmare adeguatamente il vuoto che si vede e, purtroppo, è spesso così.

Se mi è permesso fare un esempio - tanto, anche se non mi fosse permesso, essendo il mio blog me lo prendo lo stesso - quando morì Enrico Berlinguer, mentre ai suoi funerali, a Roma, mi sembrava di essere una goccia in un torrente che si muoveva per riversarsi in piazza San Giovanni, impossibilitati, io e la compagna con cui ero andato a Roma, a trovare una via autonoma, formare un rivolo indipendente, stretti fra tanti esseri orgogliosi e corrucciati, allo stesso tempo, con i tanti colori su cui il rosso prevaleva, per centinaia di migliaia di fazzoletti rossi, bandiere e indumenti che faceva piena umana, come si fa di acqua, trascinandosi dietro chi sopraggiungeva dalle stradine laterali. Scusate, quando morì lui, dicevo, pensai che il PCI non sarebbe stato più lo stesso. Troppo era stato lui, dal carisma al coraggio, nel difendere valori fondamentali come nell'indicare vie nuove, per sperare nei giovani, per quanto validamente formati. Basti pensare a come Alessandro Natta, vecchio e valido dirigente, chiamato a reggere il partito in quei tempi di sconforto, fu fatto fuori, appena colpito da infarto, da un impaziente Achille Occhetto, ancora più impaziente di cancellare, liquidandola tra ingiustificate lacrime, visto che nessuno lo costringeva, l'esperienza di quel partito che, proprio sotto la guida di Enrico Berlinguer, mi aveva fatto sperare nella trasformazione di un'utopia in realtà sociale, cosa che, ancora adesso, pur credendo negli stessi ideali della mia giovinezza, ritengo, appunto, ritornati meramente utopici.

Per Gino Strada, e per ciò in cui ha creduto, non è così. Non si è limitato a battersi per delle idee e ad indicare percorsi sociali: si è incamminato per quei percorsi ed ha costruito sulle sue idee. Non lascia dietro di sé percorsi accennati ma ospedali e vittime a cui ha alleviato, se non quasi ridato, la vita, restituendo loro un po' di fiducia nel genere umano. Non ha voluto aiuti economici da chi voleva alleggerirsi la coscienza, dopo aver allegramente alimentato le guerre, fornendo armi e godendo di quei conflitti. Per nulla amato dai politicanti, furbastri e maneggioni, così numerosi tra i politici di oggi, a cui il suo caratteraccio poco incline al compromesso impediva di approcciarsi con diplomazia, oggi si vede lodato perfino dai Salvini, perennemente a caccia di voti, che fino a ieri lo osteggiavano (fortemente ricambiati, va detto e rivendicato).
Per lui non è così perché non lascia ideali, ma esempi pratici e strutture: l'albero si è spezzato ma le radici sono vive e sane e i polloni che si sono generati nel tempo diventeranno alberelli, e quelli che sono già alberelli saranno alberi, come gli altri alberi che stanno già dando frutti sociali e umanitari per merito delle sue azioni.
Ecco perché ci mancherà un grande uomo, ma non ci mancherà ciò che ha costruito. Non lascia un vuoto sociale ma una ricchezza su cui e con cui continuare a investire.
Uno, insomma, a cui dire grazie per avere arricchito il nostro esistere.

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  • FACCIACULISMI DI VARIO TIPO

Avete notato con quanta serenità, nonché professione di sportività profonda, e salda e ben temprata volontà di guardare al futuro con ottimismo, venga accettata la sconfitta... dai vincitori di una gara sportiva?
La nobiltà viene sparsa a piene mani, e con più facilità, se il podio è quello più in alto ed ambito....
Quanto è bello vedere manifestarsi queste espressioni così lontane da quelle un po' meno nobili formulate da noi tifosi che, badando poco all'eleganza dei modi, spesso ci lasciamo andare a gratuito turpiloquio dimenticando in un attimo che “tanto è solo una partita...” e “vinca il migliore...”. Questa seconda frase espressa solo in occasione di competizioni di cui nulla ci frega, di norma, sapendo che, guadagnando qualcosa da quell'evento la parte da noi amata, tolleriamo pure qualche svista arbitrale, purché a prevalere sia quella che ci porta maggior guadagno sportivo.
Insomma, quasi come quelli che una volta mostravano il nodo scorsoio in parlamento, invocando la forca per quelli di "Roma ladrona" e ora hanno trovato 49 milioni di motivi, sciorinati copiosamente dal loro leader attuale - che, da quando si dichiarò pronto ad uno sciopero della fame, forse terrorizzato dall'aver azzardato troppo, si mostra alle telecamere sempre più pasciuto - per raccogliere le firme per promuovere un referendum per una giustizia più umana nei confronti di chi subisce un'azione giudiziaria... come loro.

Bene, tornando all'amata sfera: confesso di essere rimasto un po' disgustato anch'io, che seguo e apprezzo il campionato inglese, quando, alla premiazione degli Europei, i calciatori inglesi, che avevano appena perso ai rigori la finale, si sfilavano dal collo il nastro con la medaglia d'argento appena conquistata. Soprattutto, lo sportivissimo pubblico (ma su questo, ho dei sani dubbi che fosse composto da veri e comuni tifosi inglesi, avendo pagato cifre sconce per assistere alla mattanza calcistica degli azzurri) che, appena capito che non era aria, sfollava tristemente, con le orecchie che spazzavano il pavimento. Anche qualche rampollo della casa reale, pronto a farsi qualche selfie con gli scontatissimi vincitori di casa, è stato visto in giro con le orecchie un po' arrossate per irritazione da sfregamento.
Ma mica è finita lì, per quanto brutta fosse la figura fatta e lo scorno mio per la mia beata credulità nei loro confronti. Potevano mica farsi mancare un po' di ridicolo, avendo, per l'ingiustificata rabbia, perso anche l'ultima stilla di buon senso, pisciata via nei pub insieme alla birra bevuta per dimenticare la sconfitta? Ma va'!!! Come i nostrani ex strillatori di “Roma ladrona”, che non appena si sono attaccati saldamente alle poppe della Lupa italica hanno cambiato alcune abitudini (ad esempio adesso che vince tifano la Nazionale, anziché le sue avversarie, e comprano finalmente la carta igienica anziché utilizzare la bandiera tricolore come facevano una volta) anche loro hanno deciso di raccogliere le firme per chiedere una giustizia più giusta... Intendo quella sportiva, visto che loro non hanno mica 49 milioni di motivi, finiti chissà dove. Volevano chiedere di rigiocare la partita... forse fino a quando il loro vero e unico vincitore non fosse riuscito a vincere anche sul campo.
Va bene. Ci hanno fatto una certa figuraccia e noi, che di sportività ce ne intendiamo, li abbiamo guardati moralmente dall'alto in basso, elargendo sufficienza a piene mani.

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Erano i giorni delle lodi sperticate (e meritate!) a Mancini. Vi ricordate?
Tra le tante voci, anche quella del presidente della FIGC, Gabriele Gravina. Lo stesso che voleva portare Marcello Lippi, con la funzione di direttore tecnico delle nazionali, per fargli un po' da tutor, insomma. Questo Mancini, a quel tempo, l'estate del 2020, non convinceva abbastanza il suo datore di lavoro. Si corse il rischio di rovinare il lavoro di costruzione dell'attuale Nazionale, da tutti osannata ora, perché gli amici non vanno dimenticati e, se appena possibile, bisogna piazzarli in posti in cui possano esserci riconoscenti e godere gratuitamente del successo del lavoro altrui, ovviamente se successo c'è, altrimenti la responsabilità sarebbe stata tutta del Mancio... il quale, simpatico ma fumantino, non la prese bene e, piuttosto che camminare, per il resto del tempo alla guida della Nazionale, scomodamente guardandosi alle spalle, diciamo così, pensò anche di lasciare. Con gli inglesi (ancora loro?) pronti ad accoglierlo a braccia aperte.
Quel progetto nefasto fu abbandonato, per fortuna. Abbiamo vinto. Siamo tutti felici... La situazione, grazie a Mancini, non è più grave, come quando non ci qualificammo ai mondiali, con Ventura, solo un po' Gravina...

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Ancora moralmente carichi di questa vittoria e, soprattutto di quella morale sugli inglesi, ecco che ti iniziano i giochi olimpici, terreno su cui la sportività cresce molto bene.
Iniziamo vincendo una manciata di medaglie di bronzo e d'argento. Forti della sportività di cui possiamo fare ancora largo sfoggio - derivata dalla vittoria agli europei, e consci che ogni atleta, italiano o no, presente alle gare ci è arrivato con molti sacrifici e che il buon vecchio Pierre de Coubertin era in fondo uno dei nostri, che ci aveva solo anticipato nell'enunciare un concetto che è profondamente radicato in noi, sull'importanza di accettare ogni risultato perché il vero valore sta nel partecipare, e che, comunque, per questa sua spoilerata dei nostri convincimenti sportivi, di cui si è un po' appropriato subdolamente, tacendo il fatto che avesse imparato da noi, non gli abbiamo mai portato rancore, proprio per quel candido senso sportivo che ci appartiene - abbiamo guardato sorridendo gli eventi?

Quando i giornali e qualche commentatore spicciolo e riottoso hanno mugugnato sulla scarsa qualità del metallo conquistato fin lì, con quel senso sportivo di cui si parlava utilizzato come materiale naturale per la concimazione dei campi, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha molto sportivamente bacchettato quelle specialità, come la scherma, che non ci avevano garantito il bottino di cui eravamo certi... come quei tali inglesi in quel di Wembley. Alla faccia della sportività e dell'accettare il fatto che in alcune specialità, come è giusto che sia, gli avversari possano dimostrarsi più forti di noi. Questo il presidente del CONI, mica un tizio alla fermata dell'autobus.

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Per fortuna, alcuni degli atleti della nostra rappresentanza olimpica si dimostrano ben più validi dei dirigenti che li guidano e alcuni motivi di entusiasmo, oltre che per qualche piazzamento con record italiano, arrivano con vittorie tanto belle quanto inaspettate. Questo ci fa dimenticare le malagolate e mentre stiamo godendo di questo momento di ritrovato orgoglio nazionale e rinata sportività che ci fa ritrovare il gusto di accettare con molta pacatezza e serenità anche le sconfitte (...ovviamente quelle degli altri), qualche giornale inglese, ancora livido di rancore, e qualche giornale americano - paese che ha espresso campioni assoluti (del doping) come Lance Edward Armstrong, quindi esperti del settore - avanzano sospetti di doping su qualche nostro atleta.

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Domanda amara: la sportività si riduce tutta alla sola parabola della pagliuzza e della trave?

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  • IL MIO MINUSCOLO EDEN

Mi è capitato, per vari anni, di dover attendere un pullman aziendale per raggiungere la sede di lavoro, dato che preferisco l'utilizzo dei mezzi pubblici, quando è possibile, a quelli privati. Il posto dell'attesa era Piazzale Lotto a Milano. Un luogo di intenso traffico, per quei tempi. Da li partivano vari pullman verso varie aziende delle zone industriali dei paesi limitrofi, perché li convergevano vari mezzi di trasporto, tra cui la metropolitana.
Piazzale Lotto è attraversata anche dalla trafficatissima circonvallazione e la colonna sonora era una cacofonia incessante di suoni di varia origine.
Arrivando quasi sempre in anticipo, a meno di qualche disguido dovuto alla metropolitana, mi rimaneva del tempo per continuare la lettura mattutina che avevo iniziato in bagno, continuata sulla banchina della metropolitana, in attesa del treno, e sarebbe proseguita sul pullman, a meno di qualche discussione interessante accesa da qualcuno, purché non anticipasse motivi professionali. Per sfuggire alla cacofonia, che mi infastidiva un po', mi rifugiavo in una stradina adiacente, trovata per caso, e che mi aveva stupito da subito perché, non appena avevo svoltato l'angolo per percorrerla, per uno strano caso dovuto alle rifrazioni sonore, il rumore spariva di colpo e potevi sentire il chiacchiericcio cantilenante degli uccelli che abitavano gli alberi di un giardino che circondava una strana costruzione simile ad una torre. Li mi immergevo nella lettura e dovevo solo stare attento a riemergere in tempo per prendere il pullman. Cosa poco faticosa se la lettura interessava gli eventi su un quotidiano, molto se, invece, mi ero infilato dentro la storia di qualche romanzo e incerta se l'interesse era rivolto ad altro.

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In Sicilia, nella mia Caltagirone, vi è un posto simile, e si trova, quasi equidistante, tra due strade parecchio trafficate. Lo trovai per caso, durante uno dei tanti miei vagabondaggi senza meta, zainetto in spalla, cercando un'accorciatoia (bella eh? al posto di scorciatoia...) che mi portasse dall'una strada principale all'altra. L'incantesimo delle rifrazioni sonore che cancellano i rumori si ripeté come in prossimità di Piazzale Lotto e la cosa mi colpì tanto che mi fermai affascinato a guardarmi intorno, perdendo di colpo interesse per il resto. Ero nei pressi di un ponticello posto sul binario di una linea ferroviaria che, in parte, là dove veniva protetta la scarpata verso i binari, aveva un muro di rovi. Ormai, da alcuni anni, sapevo che le linee ferroviarie che collegavano Caltagirone erano inutilizzate, quindi, anche quella viveva di pacifica inattività, pure se, ad osservare in basso, vedevi che la natura, forzata un po' dall’acciottolato creato intorno alle traversine, aveva rispettato lo spazio vitale dei binari.
Tante piante intorno da farmi sognare di poter rivivere un'infanzia un po' inselvatichita in quei luoghi. Un sogno per dei bambini calarsi per le scarpate, trovarsi dei posti propri dove rifugiarsi, tra alberi, cespugli e quant'altro disponibile a immaginare. Perfino dei posti d'ombra dove portarsi dietro dei fumetti e trascorrere rapiti qualche ora a leggere.
Momenti di rilassamento prima di ritornare fra le troppo rumorose e prepotenti auto che anche questa città ha in sovrabbondanza, riprendendo il mio vagabondare.

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Ci sono tornato quasi per caso quest'anno e, poggiato al parapetto che guarda verso nord, ho lasciato libera la mia mente.
Il melograno, vicino al parapetto, con i suoi frutti ancora acerbi è appoggiato ad una piccola magnolia, che vive all'interno del giardinetto di una casa al confine con il muretto della linea ferroviaria e si permette questa confidenza con il mondo vegetale selvatico che cresce al di là della rete di recinzione e penso che anche il rosmarino che cresce vigoroso lungo la scarpata sia in qualche modo imparentato con quello che cresce accudito vicino alla magnolia.
Più in là è un sambuco, che mi sembra un po' estraneo al mondo che lo circonda, ma che invece sembra non rendersene conto, cresciuto a lato del rosmarino e appena più in alto di una singola pianta di finocchietto selvatico, senz'altro appartenente, come parentela, alla colonia che vive lungo la scarpata di fronte, mentre, in basso, più vicini ai binari, ormai inutilizzati e, spero, in speranzosa attesa di tornare utili, un alberello di fico e una palma, sembrano conversare in questa selva di strani equilibri anarchici della natura.
Che dirvi del nespolo, ormai adulto, vicino al tronchetto della felicità, sfuggito da qualche appartamento, o abbandonato come rifiuto moribondo e tornato miracolosamente vigoroso... del melo selvatico con i suoi piccoli frutti... dei vari e diffusi cespugli di asparago selvatico disseminati ovunque e degli immancabili fichi d'india, quasi padroni di casa, in quest'ambiente, celato dalla parte della strada, prima di raggiungere il ponticello, dalle macchie di rovi dove i frutti si offrono ancora con i vari colori dovuto al loro grado di maturazione: neri, rossi e, più rari, oramai, verdi, con ancora qualche fiore bianco-rosa tenue e ritardatario sul resto, che garantirà qualche frutto oltre il periodo di normale maturazione.
Perfino qualche bella di notte e qualche vigorosa pianta di capperi, che si distende lungo la discesa, qua sembra a suo agio.
Così, anch'io mi uniformo e smaltisco la malinconia con cui sono arrivato qua. un toccasana offerto dalla natura a pochi passi dal rumore di vite incasinate e incasinanti, dove devi arrivare perché vuoi proprio star qui e non perché vi sia l'attrattiva di bar e negozi dove esporre le nostre vite, magari esibendole con innaturale leggerezza. Qua ci vengo perché mi ci porta la voglia di immaginarmi altrove e in altri tempi. Insomma: qua ci vengo a sognare!

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  • BUONA LA PRIMA, SIMONE!

Beh, insomma, nel mio minuscolo Eden, descritto prima, raggiunto scarpinando per alcuni chilometri, dopo essermi provvisto di un panzerotto alla ricotta da mangiare trasognato in tanto bel tranquillo luogo, ho potuto affrontare l'abbandono di Lukaku quasi senza eccessivo dispiacere, solo lasciandomi trasportare dalla fantasia verso cose più piacevoli che la mente sa trovare se bendisposta. Ho sofferto per lui che soffriva per me e per tutti gli altri tifosi, conscio che almeno al ragazzo la sofferenza porterà qualche milione di euro in più, a consolazione, anche se sarà costretto a baciare la maglia del Chelsea nonostante sia innamorato perdutamente dell'Inter dove, come aveva dichiarato, sognava di giocare da quando era bambino. E pazienza che dovrà pure sforzarsi, per una manciata di milioni, di dire che era la maglia del Chelsea che sognava di indossare già da piccolino.
Ma adesso basta con questa sofferenza prolungata anche troppo più del necessario. Ho visto la partita del suo buon esordio con il Chelsea e ho gioito per lui, per il goal, per il quasi goal e per la buona prestazione. Adieu monsieur Romelo, spero che tu sia felice e che la tua vita sia ancora piena di soddisfazioni. Grazie di tutto. Adesso devo seguire Edin Dzeko, che ha promesso, sorridendo, che ci divertiremo.
Non sono mai stato critico a priori nei confronti di Antonio Conte, se non quando utilizzava in modo osceno, al limite dell'offesa personale, il mio beniamino Eriksen. Di questo ho parlato e non ha senso rifarlo. Ci ha portato a vincere un campionato non scontato e poi ha deciso che non aveva sufficienti garanzie per andare avanti. Ha intascato una buonuscita milionaria e ha salutato. Non è tipo da lasciare messaggi di dolore, a cui sarebbe difficile credere, e va benissimo così. Grazie Mister. Adieu anche a te.

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Simone Inzaghi è stato trattato come se fosse un miracolato. Uno che ha accettato un rischiosissimo compito, quello di succedere a Conte, pur di acchiappare qualche soldo in più che alla Lazio. Insomma, uno destinato a schiantarsi.
Scelto dallo stesso Marotta e accolto con altrettanta diffidenza, anche se meno manifesta, con cui fu accolto Allegri alla Juve, sempre per scelta di Marotta e sempre per sostituire l'insostituibile Conte, ha affrontato la prima di campionato ribaltando l'atteggiamento di scetticismo che l'ha accolto a Milano. Non credo che sarà sempre così facile, ci mancherebbe. Forse il Genoa ci ha messo molto del suo, come gli inguaribili critici hanno voluto sottolineare, ma qualcosina di buono io l'ho visto. Certo, facile dopo avere passato i magici minuti presso il minuscolo Eden vedere tutto in positivo: è un giudizio un po' drogato. Però, ad esempio, vogliamo scommettere che il suo uomo di fiducia, Correa, portato all'Inter non farà la fine di quello portato da Spalletti (Nainggolan) né di quello per cui Conte pestava i piedi e si strappava tutti i bottoni della camicia per la rabbia (Vidal)? Io lo credo.
Dove arriverà l'Inter non lo so, lo scopriremo andando avanti. Certo non in fondo a quel burrone dove ci davano in tanti, per i problemi economici e per l'abbandono degli uomini più rappresentativi della vittoria appena ottenuta. Ma adesso che ci hanno appena voltato le spalle, non hanno perso un po' di appeal? Nella vostra memoria nerazzurra, su di loro, non si è posata un po' di polvere perché vi siete distratti a guardare i beniamini di quest'anno?

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Per quanto non creda effettivamente che qualcuno si sia avventurato fino a questo punto dello scritto, mi sembra bello, e giusto, scrivere che lo ringrazio per la fiducia accordatami nella speranza che, almeno nelle frasi finali, vi fosse un qualche senso che giustificasse il mio scrivere e il suo leggere. Mi spiace. Non è stata una bella esperienza, lo so. Sappi però che anche questa esperienza negativa ti sarà utile. Quantomeno, da ora in avanti, quando ti imbatterai ancora in qualcosa scritto da me (per quanto io cerchi di evitarlo, ogni tanto capita!), sai che devi tenertene alla larga. Scusami e... grazie per la (malriposta) fiducia!