• 0 – PROLOGO E GIUSTIFICAZIONI

Non so perché mi accingo a pubblicare quanto segue: parole che trattano di cose di cui non importa che a me stesso, ma non ho altro da scambiare per vantare un apporto anche mio a questa community. Ogni tanto qualcuno si allontana. Sparisce. Qualcuno torna. Qualche altro blogger si perde nel tempo. Non volevo fare la stessa fine, scrivendo già così poco, assentandomi oltre il tollerabile e manifestando, magari, anche una certa faccia tosta, nel vantare comunque un’appartenenza che altri onorano davvero molto meglio, con un contributo qualitativamente e copiosamente più sostanzioso.

Pensavo di buttare giù qualche appunto, durante queste vacanze siciliane che, in fondo, vacanze non sono: vengo a vivere del tempo nella città che mi ha visto nascere e che mi ha cresciuto fino a quando, un’estate di un anno molto lontano, sono salito su un treno che portava a Milano. Oggi, mi sento un po’ meticcio, avendo vissuto la maggior parte della mia esistenza in Lombardia, con tutti i legami e le storie che mi ci legano sempre più fermamente, ma con le radici rimaste sempre solidamente e profondamente interrate in Sicilia. Vengo a vivere del tempo in questa città e sotto questo sole estivo per compensarmi un po’ di quello di cui mi sono privato andando via. Più con la fantasia che nella realtà, a dire il vero.

Poi, man mano che mi lasciavo vivere tra passato e presente, rendendo immaginario ora l’uno ora l’altro, a seconda della convenienza del momento e di quello che gli occhi, seppure aperti, riescono a vedere, il bel proposito di scrivere qualche appunto di ciò che mi passava per la testa, e tutto intorno, è stato distratto dalla possibilità di muovermi, come sempre tra carruggi e stradoni, salendo per scalinate intorcinate nei quartieri della città vecchia, discendendone altre, vedendo pezzi della mia vita passarmi a fianco senza più riconoscermi. Senza neanche farsi venire un dubbio.

Eppure con nuove conoscenze, rimescolando ognuno il proprio passato, abbiamo estratto pezzi in comune. Campetti di calcio, in quella che era una volta periferia ed oggi è la città nuova, un po’ più pianeggiante e senza carruggi e scalinate a inerpicarsi, conservano ricordi comuni, anche se ormai spariti per fare posto ad altro di cui non ci importa. Avrei tanto voluto scrivere dell’immenso bagolaro che abita appena dentro l’ingresso secondario della Villa, quello a sud, che forniva i suoi frutti, piccole sfere nere, se mature, dalla poca e dolce polpa da portar via facilmente tra i denti, per lasciare a nudo il nocciolo perfettamente tondo e proiettile micidiale se spinto dentro una cerbottana ottenuta da un segmento di canna. I frutti ce li regalava giusto in tempo per l’inizio della scuola. Così che ci potevi vedere ruminare e poi, con la canna mimetizzata dietro un quaderno, fare partire il colpo verso la vittima predestinata: normalmente un compagno chino, diligentemente e nostro contrario, su libri e quaderni. Dovevi aspettare che l’occhio di chi insegnava fosse incurante di noi e che la vittima non potesse coglierci mentre abbassavamo la testa anche noi sui libri, subdolamente, celando un sorriso soddisfatto o impedendolo a fatica sul nascere. Dopo l’autunno si tornava a masticare pezzetti da un foglio di quaderno per farne una pallottola di carta da far partire attraverso il fusto di una biro privata degli altri componenti. Nulla a che vedere con le bacche del bagolaro.

Il bagolaro non era nostro complice eppure lo sentivamo amico, con quelle piccole sfere appese a ingolosirci anche se non sempre a portata di mano, altissime. Quando le piccole sfere da verdi mutavano in gialle, sentivamo che il periodo lontano dalla scuola stava per terminare, come la libertà di disporre del nostro tempo per tutte le partite di pallone che riuscivamo a combinare e per ogni cotta che si bruciava il tempo di quell’estate, inarrestabile come stoppie nelle calde serate, su per le colline buie da fare apparire quei fuochi sospesi nell'aria, meravigliosamente bella e, magari, assurda, tanto era impossibile che potesse portarci del buono, e, immancabilmente, pure unica e per sempre. Poi, quando il giallo si mutava quasi completamente in nero, sapevamo già che era tempo di ritrovare i compagni perduti per quei mesi. Di raccontarci di noi, tra verità e fantasticherie.

L’albero dei melicucchi, ho saputo che si chiama bagolaro a Milano, quando ne vidi uno in Largo Treves con un’etichetta a identificarlo. Solo da allora ne conosco il nome. Ve ne sono tanti nel milanese. Ne ho spesso raccolto e spolpato i frutti sotto occhi incuriositi di sconosciuti, sputando in un fazzoletto di carta quelle pallottole mutate di nuovo in pacifici noccioli, molto spesso con un sorriso compiaciuto.

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Ad un certo punto, la parte più versata verso l'ozio della mia personalità mi aveva suggerito di attendere un po' per scrivere qualcosa di calcio, visto che ce n'era da dire e la mia Inter sembrava pronta ad arraffare a mani basse il titolo di reginetta del calciomercato. Bel suggerimento. Gioco facile anche per me che potevo continuare nella mia terapia di oziosa inquietudine in cui mi cimento in poco utili e lunghe discussioni con me stesso, spesso perfino d'accordo con quel che penso, mentre percorro qualche chilometro di buon passo, oppure, trovato un angolino tranquillo e ombreggiato, apro il mio ebook reader e mi concentro nella lettura che riguarda una qualche indagine, dato che ho un debole per quel genere, tanto leggero da permettermi di distrarmi in riflessioni mentre scorro le righe o tanto accattivante da trascinarmi nella pericolosità della storia narrata. Altre, apro le pagine di un best seller di recente pubblicazione o un classico. Altre ancora qualche nuovo volume che espone delle novità in campo medico, magari riguardante la possibilità di mantenere una buona salute. Che so, ad esempio, “Longevità. Perché invecchiamo e perché non dobbiamo farlo”, abbastanza comprensibile e pure scritto con leggerezza, di David Sinclair a cui sono arrivato dopo aver letto “Il codice della longevità sana” di Camillo Ricordi, pecora nera, in quanto medico in una famiglia di storici editori musicali, che mi ha rassicurato tra l'altro scrivendo quale sia il suo programma di integrazione alimentare e scoprendo che è davvero simile a quello già adottato da me da tempo.

Oh!, ma bene alla salute, quantomeno alla mia, lo fa anche leggere "Zero gravity", di Woody Allen, uscito da poco, o qualche fumetto di Tex Willer, che approcci sempre con la serenità di sapere già dall'inizio che i torti, per quanto grandi o meschini, verranno sanati prima della fine dell'episodio, assolutamente di norma a lieto fine, cosa che non sempre accade nella realtà. La carta, o il monitor del mio aggeggio elettronico, mi tiene pure al riparo dallo sgradevole odore della polvere da sparo e dai rumori, poco musicali, degli scoppi, per cui la fantasia non viene assolutamente lesa.

Tutto questo per dire che, al contrario di tanti che frequentano questa community con lo giusto spirito per scrivere con una certa costanza e una piacevole giusta spinta per farlo, io sono un po' lazzarone, da quel punto di vista. Ecco: Massimo Dalema non potrebbe mai dire di me, come fece per ridicolizzare un avversario politico, che dopo avere appena causato una disfatta, scriveva imprudentemente un libro su come gestire al meglio una fase politica: "È l'unica persona che conosco che ha scritto più libri di quanti ne abbia mai letti".

Non è certo colpa mia, non lo espongo come scusante per la mia poltroneria, se, nel momento in cui mi accingevo a parlare di calcio, il trionfalismo con cui si parlava della mia squadra, riguardo al calcio mercato, come di una specie di asso pigliatutto, un incantesimo strano o, più probabilmente, la carenza di spendibilità economica, ne ha paralizzato l'attività.

Stavo per parlare favorevolmente dell'arrivo di Dybala, in libera uscita dalla Juve, consapevole tanto delle sue qualità, anche se sfruttate quasi solo nel gioco più propositivo di Sarri che in altri momenti, che del fatto che le stesse sono una bella ciliegina da porre su una torta ma mai un ingrediente che sia, finora, diventato fondamentale e identificativo per la torta stessa, quindi volevo manifestare il mio "ottimismo con moderazione", quando si è cominciato a favoleggiare dell'impossibile ritorno di Lukaku a Milano, di cui si era parlato anche in precedenza per sottolineare l'inconsistenza della fattibilità dell'operazione, e del mio "ottimismo con moderazione", a voler essere buoni, è rimasta solo la prudente moderazione. Dybala poi è finito alla Roma dove, forse, il carisma di Mourinho ne farà un leader utile alla causa comune. Ne avremmo tratto beneficio anche noi, penso. Calciatori di qualità non si trovano facilmente ed è meglio averne che desiderarne, invidiandoli agli altri. Comunque, pur non utilizzando del pregiato blu di Prussia, come fanno e vantano con giusto orgoglio  Ginni e Massimo, ma del comunissimo inchiostro da comunissima biro, possibilmente una di un mucchietto di affidabili Bic, pronta ad essere smarrita o prestata per sempre, lasciandomi solo qualche traccia trascurabile di rammarico, l'aver iniziato a pensare di scrivere qualcosa che si sarebbe rivelato del tutto inutile mi ha confermato che l'ozio non è una malattia con troppi effetti negativi. Invece, è arrivato, tornando sui suoi passi e sulle sue entusiastiche decisioni di un anno prima, Lukaku. Il piacere di ritrovarlo in maglia nerazzurra è grande. Lo ricordo ancora a festeggiare lo scudetto appena vinto, sbandierando, come un comune tifoso nerazzurro, una bandiera con i colori che amo. Che bello! Il piacere del suo ritorno è grande, dicevo, ma non immenso. Non era stato neppure immenso il dispiacere per la sua partenza. Era stata una sua scelta, pure remunerata benissimo, anche per quei livelli di professionismo. Mi era dispiaciuto di più vedere cacciare, a suo tempo, gente come Diego Simeone, da Lippi, o l'odiato Icardi. Loro sì, che si sarebbero legati ai cancelli della Pinetina, per non andare via. Questione di personale sentire, perciò, nessuno si senta in dovere di precisarmi, soprattutto per Icardi, che ha goduto della sua cacciata. So di essere destinato alla solitudine quasi assoluta su quella vicenda.

Contento lo sono per un acquisto di secondo piano, e per me importantissimo: Asslani. Il suo talento, prima o poi, avrà la meglio sulla ritrosia a utilizzare gente sotto i 25, 26 anni, trattandoli come poppanti da svezzare con cautela. Nulla a che vedere con i Niels Liedholm e gli Zeman che dicevano, rispettivamente a ragazzini come Paolo Maldini e Francesco Totti, “Entra e divertiti!”. O come Gigi Radice che, quando gli vendettero quel ragazzino che aveva fatto esordire appena diciassettenne l'anno prima, tale Roberto Mancini, si dimise da allenatore del Bologna perché in lui aveva visto la luce di cui avrebbe beneficiato per fare giocare al meglio i suoi ragazzi.

Tornando a noi: eccomi qui a scrivere giusto per questa chiusura d'estate da salutare stando nel rifugio sicuro del BarVxL. Il caldo di quest'anno ha sballato perfino la produzioni di bacche da parte del Bagolaro nella Villa. Ve ne sono, addirittura, solo di verdi. D'altro canto, non importa tanto: non devo tornare a scuola, anche se un po' di nostalgia per quell'età la provo, avendo dimenticato tutte le insicurezze e le difficoltà che la accompagnavano.

Pensavo che il caldo asfissiante di quest'anno avrebbe seccato, impedendole di maturare, anche le more che incontro lungo le strade della parte nuova della città, che ancora si affacciano su prati e campagne. Invece no. La pioggia caduta nei pomeriggi per una decina di giorni, a volte intensa e rumorosa, altre pacata e insistente, le hanno salvate. Così, per un certo periodo, sullo stesso rametto potevi trovarne ancora in fiore e pure di nere e mature, e selvaticamente dolci, così come passando dalle sfumature appropriate e intermedie di verde e di rosso di quelle ancora immature. Invece, da metà agosto, e più numerose, ho potuto mangiarne, staccandone manciate lungo il cammino. Non solo: mi piaceva che a quei miei gesti si accompagnasse anche il fruscio delle foglie secche sotto i rovi, e il verde sfuggente delle lucertole, purtroppo in fuga, che avevo allarmato. Così come sono rimasto incantato da quelle due piccolissime che, nell'allontanarsi si erano girate incuriosite e si erano fermate a fissarmi, rassicurate dalla distanza che avevo accentuato e dalla mia immobilità, considerandomi non pericoloso e parte del loro mondo. Nei loro occhi ho iniettato la falsa l'immagine di un mondo bello e ormai impossibile, soprattutto per colpa della mia specie, così aggressiva e venefica perfino con la nostra comune Madre Natura, ma per quei brevissimi istanti, in cui si annullano le diversità per un vissuto comune, vale la pena esistere: non sono le lucertole, o altri animali, che stanno opprimendo genti e combattendo guerre in tante parti del mondo, né quelle più sovraesposte e utili alla propaganda di parte, né quelle più silenti e dimenticate.

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  • I – OTTIMISMO?

Vediamo. Comincio con lo scrivere qualcosa e poi, magari, sapendo di non essere un'autorità in materia, chiederò a Piccio Di Sonno (o quale che sia il suo nickname attuale, magari da adesso in avanti scriverò Piccio*.*) se può analizzare le mie valutazioni e supportarmi con un suo giudizio. Parlo dell'ottimismo di cui oggi faccio sfoggio in quantità inusitata, anche perché, di norma, non mi ficco in situazioni dalla sorte ambigua che ne richiedano una spesa ingente.

Eccomi qua, in piena estate, sotto un cielo plumbeo che, però, e qua sta investito tutto il mio patrimonio di ottimismo, ha qualche piccola isoletta di un timido cielo azzurro. Cazz... pperi! È tutto chiaro, scritto così, lo so. Questo è ottimismo certo, visto che confina perfino con la cretineria, tanto che, con una piccola spintarella, mi ci trovo dentro in campo aperto!

Il fatto è che non mi ci sono avventurato a cuor leggero. Aperta la finestra - dato che dagli spiragli, dove si solito un po' di luce inizia a intrufolarsi, truffaldina, facendomi credere che siamo già ben oltre le cinque e mezza, sei, in cui apro gli occhi la mattina, sia che fossi andato a letto a mezzanotte sia che lo avessi fatto alle due, forse per via del traffico, rumoroso perché in prossimità di una salita sulla trafficata Circonvallazione, sia perché il mio udito inconscio apprezza il verso del gallo che proviene da un punto imprecisato della valle degli orti... solitario, romantico, fuori epoca... - non trovo la luminosità consueta.

Vero che, negli ultimi giorni, la calura fastidiosa è stata attenuata da dei temporali pomeridiani che hanno mantenuto la promessa della desiderata pioggia, pur senza creare disagi o danni, come accaduto altrove, ma, la mattina, lo splendore era immutato. Anzi, perfino accentuato dall'assenza di quell'umidiccia vaga foschia, che vedevi appena ma che sentivi fastidiosa sulla pelle. Splendore che iniziava il suo declino verso mezzogiorno, l'una, quando il cielo, sebbene non irrevocabilmente finto terso come nei giorni sudaticci, passava dal suo stato di tranquillità pulita al vedere nuvoloni, foschi e scuri, avvicinarsi senza neppure provare a celare la loro voglia di sedizione. Cosa che accadeva rumorosamente e in poco tempo e che, al contrario di quei temporali estivi a cui ero abituato in passato in Sicilia, veloci a manifestarsi e a sparire, all'immediato ripristino del potere solare che cancellava in fretta le tracce d'acqua, ma non il gradevole profumo di terra bagnata, mantenevano il potere appena conquistato buttando giù acqua per alcune ore, rendendomi piacevole la pennichella o la lettura, al pensiero che tutte le amate piante, dai rovi da more ai fichi, agli introvabili, quest'anno finocchietti selvatiti, ne stavano trovando giovamento. Però, già a sera, l'ordine estivo era già ricostituito, con una luna disegnata a compasso che luminosa viaggiava sul campanile della cattedrale e le pozzanghere sull'asfalto, rimaste a testimoniare che il temporale c'era effettivamente stato, a riflettere i lampioni, frantumati dalle ruote di auto dispettose e ricomposti in fretta, quasi in un gioco di suggestione visiva.

Così, sono rimasto un po' sconcertato e dubbioso nel vedere un cielo coperto, a parte quelle piccole isole di azzurro su cui costruire l'ottimismo.

Lavato e vestito, lo zaino pronto come sempre, me ne stavo in ritardo sulle mie tabelle di marcia a rimuginare, pro e contro. Poi l'ho afferrato. Posto sulle spalle. Sono uscito concentrandomi sul pochissimo azzurro che spiccava magnificamente, al contrasto del grigio minaccioso del pessimismo che lo assediava soverchiante.

La domanda vera, però, è questa: è ottimismo anche quando a spingerti vi sono stimoli che pesano vistosamente come la voglia di gironzolare come un ragazzino che si appropria di tempo non previsto a bilancio, bigiando la scuola, i panzerotti alla ricotta della Rinomata pasticceria di Giuseppe Ventura e i giochi di luce di un tempo ingrugnato e maldisposto, ma piacevolmente interessante da un punto di vista fotografico?

È qua che Piccio*.* può essere d'aiuto…

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  • II – SOGNARE

Quest'anno va un po' così, e allora non mi rammarico più di tanto nel non vedere penzolare, alla distanza, dall'inferriata che sormonta il muretto di fronte al rettangolo di gioco, i grappoli dorati dell'uva, protetti a malapena dalle foglie apprensive per il sole impietoso, a queste latitudini e in questi periodi. Poi un po' sì, accade che monti perfino un misto di rabbia e sconcerto. Non vedo più i viticci nell'approssimarmi. Potati, tagliati, eradicati? Quale è stata la loro sorte?

Anche dal lato della strada dove sta il campetto, tutte le fronde, che si affacciavano dalla lunga cancellata e sopra il marciapiedi, sono state tagliate, quasi che infastidissero, con la loro ombra fitta, le ombre dei passanti, annullandole. Così, per inerzia, avanzo fin quando mi trovo sotto il gelso dai frutti bianchi, dove, comunque, quelle prelibatezze sarebbero irraggiungibili, ma tanto non ve ne sono. Il campetto è desolatamente vuoto, nell'offrirsi ai miei occhi rapaci, in cerca di afferrare tra gli artigli immagini del passato, vaghezze sprofondate sotto mucchi e mucchi di giorni, perfino di tanti altri campetti e di tanta, tanta, tanta altra polvere respirata e impastata alla saliva, e con essa sputata, nelle interminabili rincorse di avversari e di me stesso, in una dimensione che mi apparteneva più che altrove. Poi, accade come sempre: l'attimo si perde il presente che sguscia via chissà dove e un altrove remoto e perduto mi circonda improvviso alla resa scontata, alle grida di voci oramai sconosciute da legare a quei nomi che ancora ricordo, di alcuni. Il mio cognome formulato dalle voci dei padri di compagni e avversari ai bordi del campo, dopo un "quello è..." regalava ulteriore entusiasmo a quel mio io che aveva lasciato la sua timidezza negli spogliatoi e al primo impattare la palla aveva iniziato qualcosa di simile ad un sogno, ma da sveglio.

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III – CARRUGGI E RINGHIERE

Il fresco di un portone di legno, robusto e resistente, nonostante le tante ferite e le innumerevoli rughe, la povertà, impegnata a non tradire sé stessa, delle case di ringhiera, un po' assomigliava a quei carruggi che, nell'approssimarsi dell'ora di pranzo, emanano, dalle finestre socchiuse verso un alito di frescura, profumi di sughi e pietanze semplici, riconoscibilissimi e, comunque, per me, ammalianti. Così cipolle, aglio, basilico, pomodoro, incontrano melanzane oppure, gradevolmente prepotente, è il profumo dei peperoni arrostiti, per essere poi privati della sottile pellicina e, resi a strisce irregolari in un piatto, conditi con olio sinceramente fruttato e fettine di aglio crudo e aggressivo. A volte, percepisci l'arricchimento di qualche pomodoro che, subito lo stesso trattamento, va a imbastardire, arricchendolo di colore e sapore, il boccone imminente già arreso alla forchetta.

Chissà quali storie, impregnate di quegli odori gradevoli e quasi rituali, accompagnano quelle vite rinchiuse ai tuoi lati, che attraversi quasi penetrassi il tempo immobile di quei profumi incurante di ciò che invece lo rende umanamente fragile e mutevole.

Forse è perché, quando l'acciottolio dei piatti e il ritmo delle posate inizia a percepirsi non ti trovi lì a condividere parole e sguardi. A me basta immaginare il rito del pasto attraverso il formarsi dei profumi, di modo da regalare loro la dignità piacevole di una storia immancabilmente positiva e mai banale.

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  • IV – LA SOSTA 1

La panchina è all'ombra, piacevolmente soffusa, di due salici. Mi sembrano un po' austeri e non riesco ancora a sentirne un'intimità in questa frequentazione, nonostante anche a me, sconosciuto e poco presente, per via della distanza che devo percorrere a piedi, venga riservata la stessa cortese attenzione protettiva che, presumo, assidui frequentatori serali e notturni, trasportatori di grandi quantità di scarti non degradabili abbandonati alla base del loro tronco, ottengono, con grande consumo di pazienza e tolleranza vegetale.

Nutro un grande rispetto per loro. Mi lasciano giocare con la luce solare che si frantuma e rimbalza tra le innumerevoli foglioline, scivolando attenuata fino a raggiungermi priva del calore estenuante che possiede prima di attraversarle, diventando cangiante, ad ogni avanzare, in luce sempre più attenuata e perfino in ombra. Ne provo a catturare le forme giocose attraverso un obbiettivo. Non saranno mai le stesse ma mi so accontentare. Non si può avere tutto.

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  • V – LA SOSTA 2

Da qui, l'Etna è solo una silhouette grigia, appena accennata, da cercare e discernere, con tanta buona volontà, nell'umidosa foschia che la distanza, accumulando l'umidità strato dopo strato, fa pesare. Certo, è vero alla distanza, ma qua, nei pressi della chiesa di San Giorgio, costruita dalla forte comunità dei genovesi, c'è sempre un'ariettina che mitiga il caldo e spaventa, forse per questo tenendola a bada, l'umidità che vorrebbe a tutti i costi attaccarti i leggeri indumenti alla pelle. Ti siedi nella parte in cemento della balaustra che guarda la valle e le colline subito alte: una balconata sul verde discontinuo della stagione e gli ampi spazi indorati dalle stoppie, non ancora bruciate dal fuoco contadino, le ferite, ormai cicatrizzate, dell'asfalto e le gentili rughe dei sentieri che raggiungono i casolari. Appena seduto, hai voglia di un libro, anche solo per tenerlo in mano. Un tesoro di parole e di compagnia.

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  • VI - IL GATTO-TIGRE E LA STATUA DI SALE

Con un "Adesso ci provo io!", con tanto di punto esclamativo messo in evidenza da una sicurezza che non ho appieno ma che in tale smagliante stato voglio trasmettere alle due gentili signore accorse in mio aiuto, provo a trasferire tutto quello che, da panzerotti alla ricotta ingurgitati in questi giorni, ho trasformato in energia, sottraendolo alla massa uniforme che in allegria era diretta a mimetizzarsi nel girovita - poca roba rispetto al totale, in fin dei conti, sia chiaro - scaricandolo dalle gambe, trasferendolo alle braccia e da lì, attraverso le mani poggiate sulla vernice, che si sta opacizzando nell'invecchiare sotto questo sole, come un pranoterapeuta affetto da convulsioni, faccio ballonzolare l'utilitaria, al fine di far partire l'antifurto e richiamare il proprietario del veicolo attraverso il grido d'aiuto della sua, spero amata, autovettura. Messo giù così, il racconto non è uno spot esaltante a beneficio del sole della Sicilia e dei danni, da verificare se permanenti o curabili con alte dosi di frescura naturale, che può causare a persone sprovviste di buon senso, come devo apparire al momento pure io, che si avventurano per ore a sfidarlo in campo aperto, sconsideratamente. Ovviamente, perché un antifurto si incazzi e strilli, se adeguatamente stimolato, deve esistere, e, qualora anche ciò fosse in essere, dovrebbe pure essere attivato e non in stato dormiente.

Come pure ovviamente, dato che almeno una di queste condizioni è venuta a mancare, non accade nulla. L'antifurto non parte e il rumore, tanto odiato nelle notti in cui si stenta a dormire (che continua incessantemente perché il proprietario dell'auto, al contrario di voi, alla bisogna dorme benissimo anche su un pavimento disseminato di ceci), questa volta fa il ritroso e tutto rimane immutato. Non ottengo neppure un qualche segno di approvazione golosa per l'esibizione della mia prestanza fisica, da parte delle mie alleate. Cosa che un po' mi lascia deluso, anche se mi rendo conto anch'io che non fosse un evento memorabile, così, stoicamente, mi focalizzo di nuovo sul problema e mentre ci guardiamo per consultarci sul da farsi, alla congrega di attempate Giovani Marmotte chiede di potersi iscrivere anche un signore, anch'egli attempato, ma più vicino ai miei anni che a quello della componente femminile, che è in stato di invecchiamento palesemente lontano dal mio, arrivando trafelato, quasi che stesse per scadere l'orario entro il quale consegnare il modulo appena compilato, pena la mancata ammissione, a sibilare, con il fiato residuo, un "che succede?", che risulta essere più che giustificato quando ci spiega che, attraverso la vetrina del negozio, che ci indica un po' più in là, dall'altra parte della strada, ha visto delle persone che guardavano dentro la sua macchina... e poi questo signore che la spingeva, allungando un indice informativo/accusatorio ad indicarmi, qualora volessi sottrarmi alle mie responsabilità, scaricandole ad altri non presenti.

Il primo pensiero, un po' da precisino, che mi passa per la testa, è di chiarire che non stavo affatto spingendo e, mentre questo sfuma, ne appare vivo un secondo, di sollievo, perché questo signore, per fortuna mia, non è affatto un energumeno e non ha un carattere fumantino, cosa che in futuro terrò nel giusto conto, inserendolo nella colonna dei costi/rischi, nel prendere in considerazione di fare di nuovo attività ginnica con le auto altrui.

Trovando del tutto giustificate le richieste fatte dal nuovo venuto, stiamo per partire con le spiegazioni in un coretto poco avvezzo ad esibirsi senza le dovute prove e riprove, utilizzando quantomeno lo stesso repertorio, che si avvicinano due giovani donne a rovinarci l'imminente e immancabilmente incasinatissima esibizione, aggiungo per fortuna, salutando le altre due componenti del mancato coro. Mentre una si rivolge alle due per chiedere conto, con un sorriso, di quell'assembramento, l'altra dirige il suo sorriso verso di me, illuminandomi con il suo sguardo solare e suonando melodiosamente con la sua voce per chiedermi se io appartenga a questo luogo.

Quando, non rendendomi conto e non importandomi neppure che i suoi quesiti non hanno nulla a che fare con il contesto, mi sento rispondere che "sì, sono nato qui..." poi, che però "anzi no, sono nato qui, vivo a Milano da molto tempo..." E lei accentua quel maledetto sorriso, che mi tiene imprigionato e impossibilitato ad utilizzare la mia volontà per sottrarmi al piacevolissimo maleficio, e mi spiega che è "perché le sembra che il mio accento e il mio modo di parlare, non sono le stesse di quel signore, con cui mi accompagno”. Effettivamente, quel signore, che oramai si è integrato nel gruppo e nei problemi che questo sta fronteggiando, in modo molto partecipe, sembra avere una calata dialettale più vicina al catanese che al calatino, le spiego, e, comunque, ci siamo incontrati appena adesso per la prima volta. Lei mi modula, sempre melodiando (ed è qua che mi ricordo di un tale Ulisse e dei suoi problemi con alcune sirene, che finalmente comprendo per bene), che arrivano dalla Svizzera e che avrebbero dovuto partire per una Missione in Colombia, per assistere la popolazione locale più povera, ma che quella partenza è stata annullata per motivi di sicurezza e che adesso andranno per alcuni mesi in Calabria. Non so perché io e questa sconosciuta, tra l'altro molto giovane, ci stiamo scambiando con tanta naturalezza informazioni personali, quasi che approfondire la nostra conoscenza sia l’unica cosa essenziale da fare, in quel contesto caotico che ho contribuito a creare per la pessima abitudine di voler risolvere tutti i problemi che mi circondano, anche se non li capisco.

A frantumare la magia, ma neppure lontanamente a scalfirla, non riesce neppure il miagolio sempre presente, tra l'incazzato e il disperato, con variazioni di volume, che si mescola alle chiacchiere circostanti che mi si sono allontanate dal cervello per seguire il modulare delle nostre voci, la mia bassa su cui si spalma come miele quella sua così gradevole.

Quel miagolio si fa presente, nella sua drammaticità, solo quando, distraendoci dal comunicare l'un l'altro note delle reciproche esistenze, chissà perché, sono sceso da quell'altezza virtuale in cui il mio stato d'animo si era trasferito parlando con lei, e in cui vivevo sereno, per poggiare i piedi per terra ritrovandomi su quel marciapiede assolato dov'ero prima e ho iniziato a spiegarle che stavo passeggiando, dirigendomi verso il lontano centro storico, omettendo solo che mi trovavo da quelle parti per via della Rinomata Pasticceria e dei suoi panzerotti, quando avevo sentito quel miagolio disperato che proveniva dall'auto parcheggiata in pieno sole. Temendo che ci fosse un gatto chiuso nel bagagliaio, avevo cercato, dopo aver verificato che il bagagliaio fosse effettivamente non accessibile, il numero di un'associazione animalista a cui chiedere un pronto aiuto e da cui avevo avuto solo il suggerimento di rivolgermi alla Polizia Locale, ché, tanto, era l'unica iniziativa che avrebbe potuto prendere chi era al telefono. Deluso, perché mi ero già immaginato a scrutare il cielo per individuare l'arrivo di un Superman animalista, mi accingevo a trovare il numero della Polizia Locale, quando ero stato raggiunto dalle due signore, che erano parte del suo gruppo destinato alla Missione in Colombia e, dopo una verifica, avevamo notato che il gatto, che strillava disappunto e immaginario dolore, doveva essere in un punto della parte interna della ruota posteriore destra. È a quel punto che ci aveva raggiunto il proprietario dell'auto.

Vediamo che intorno a noi l'attività ferve e un altro nuovo acquisto del gruppo di volontariato per l'assistenza felina si è sdraiato, purtroppo vanamente, sull'asfalto, ha individuato un gattino ma non riesce a raggiungerlo. Dall'altra parte della strada, dal cancello del convento che ospita il gruppo di volontari, due giovani stanno uscendo e, ad uno di loro, che sembra possedere le giuste qualità che abbisognano in questi frangenti, viene richiesto aiuto. Effettivamente, non appena anche loro sono stati ammessi nella combriccola che compone il gruppo di salvataggio, avute le giuste informazioni, anche lui si sdraia scomodamente sul selciato e, dopo avere ripetutamente alternato esclamazioni di dolore e imprecazioni solo in parte represse, si è ritratto stringendo, in una mano graffiata a sangue, con ferma delicatezza, un cucciolo di gatto che sbraita come un ossesso e ci mostra degli occhi incazzatissimi da tigre, che tanto piacerebbero al segretario attuale del Partito Democratico nei suoi, giustamente poco convinti militanti, per questa campagna elettorale.

Mentre il destino del furente felino viene deciso, tenendo conto del suo bene, liberando la decisione da possibili condizionamenti dovute ai danni che il suo giovane caratteraccio ha causato, pensando che la sorte migliore a cui destinarlo, per la sua sicurezza, sia quello di portarlo nel parco all'interno del convento, la melodia della voce della mia compagna di confidenze appena conosciuta ricomincia a diffondersi e io ormai so che devo almeno evitare i suoi occhi, se non voglio cadere di nuovo prigioniero della malia da cui il gattino mi ha appena liberato. Saluto in fretta il resto del gruppo, le sfioro la mano in una carezza veloce e m'incammino verso il mio destino, non cedendo alla voglia di voltarmi a guardarla un'ultima volta, perché il mio destino sarebbe segnato per sempre in quello di statua di sale.

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  • VII – CHIUSURA

A te che sei arrivato fino a leggere queste ultime righe e ti stai ponendo una domanda tipo “Chi me l'ha fatto fare?”, o una variazione della stessa, porgo le mie più sentite scuse: penso sempre che il mio nickname si possa definire indubbiamente “famigerato” per i più che, in passato, hanno letto qualcosa di mio e non mi aspetto che incauti nuovi lettori che si affacciano su VxL possano arrischiarsi con facilità a leggere qualcosa che non riguarda prettamente il calcio. D'altro canto, questo voleva essere un mio modo di salutare la community, a cui, ultimamente, mi affaccio di tanto in tanto per leggere pezzi e scrivere qualche raro commento. Rassicurato riguardo il suo stato di salute dall'ingresso di sempre nuovi blogger, che portano con loro tanta qualità, e da tanti di quelli vecchi che ne assicurano il mantenimento. Nulla di più, ma anche nulla di meno.

A te che invece, pignoleggiando, trovi qualche carenza di armonia e qualche mancanza di corpo letterario: ebbene sì, confesso che, essendo arrivato a fine agosto, e volendo pubblicare entro i suoi confini, ho raccolto solo quel che ho trovato: non sono tanto solerte nello stendere note ma sono bravissimo nello smarrirle in giro, ritrovandole però con facilità quando non servono più a quello per cui erano state scritte, ma facendomi godere ancora di un po' di sole siciliano, ad esempio, nel mezzo di un inverno milanese, saltando fuori all'improvviso nei posti e dalle cose più impensate. E' una sorta di gioco tra me e la scrittura che ha il pregio di tutelare, in parte, quei malaccorti che mi leggono, limitando in quantità l'esposizione al danno. Ad esempio, ho smarrito le note del periodo in cui la Rinomata Pasticceria, che sovralimenta il mio impianto energetico con i panzerotti alla ricotta mattutini, era chiusa. Ricordo poco di esse ma immagino che fossero note profondamente tristi che avrebbero scosso in modo deleterio il vostro umore. L'averle io smarrite, vi ha fatto senz'altro bene.

A te che sei preoccupato per la mia salute dopo un'estate di panzerotti alla ricotta, la rassicurazione che, di ritorno a Milano, restringerò la mia alimentazione vegetariana in vegana, per almeno un paio di mesi. Certo, dedicherò inizialmente una decina di minuti di profonda meditazione, visualizzando i panzerotti non più ingurgitabili, che mi causano i disagi noti da dipendenza (convulsioni, insicurezza, stato d’ansia, ecc...), per attenuarne l'impatto negativo, prima di ogni colazione, diminuendo man mano i minuti per superare gradualmente il problema. Comunque, grazie per la sensibilità dimostrata nel porti il problema.

A tutti, anche agli innumerevoli fortunati che non mi hanno letto, un caro saluto e un virtuale abbraccio.