Quasi tutti gli appassionati di calcio si sono innamorati del gioco sin da piccolissimi. Fin dai primissimi anni di età si scende in strada e si prova ad emulare le gesta dei nostri campioni preferiti. Naturalmente quasi tutti i bambini oggi sognano di replicare le finte di Messi, i doppi passi di Cristiano Ronaldo o i numeri palla al piede di Neymar. In passato invece ci si identificava in campioni come Maradona, Pelè, Best o Platinì. Tutti questi giocatori hanno una cosa in comune: La disarmante tecnica di base. Quella meravigliosa tecnica che ci ha fatto prima sognare e poi innamorare di questo bellissimo gioco.

Questo è il modo più comune per farsi sedurre dalla magnetica magia del calcio. Ci caschiamo tutti, o meglio, quasi tutti.

Qualcuno non si fa abbindolare dai dribbling impossibili e dai tiri ad effetto, qualcuno si innamora di un tackle ruvidissimo di Roy Keane, di un anticipo di Gattuso o di un recupero di Kantè. Quei pochi che riescono ad innamorarsi in questo modo amano la concretezza e l’efficacia e per questi pochi eletti vincere non è un’opzione.

Uno tra questi è sicuramente Carlos Henrique Casemiro. Il nostro protagonista nasce a sao jose dos Campos in Brasile una cittadina industriale a pochi chilometri da San Paolo. L’infanzia di Casemiro è un’infanzia difficile. La mamma sopraffatta dai problemi economici non riesce a gestire il peso di una famiglia numerosa. Carlos spesso è mandato a dormire a casa di amici e parenti date le piccole dimensioni della casa. In queste notti Casemiro è costretto a dormire in letti piccoli e angusti. Queste notti sono interminabili e si fatica a conciliare il sonno. Lentamente quasi più per necessità che per volontà il giovane Brasiliano impare a dominare e gestire il poco spazio a disposizione. Lo stesso spazio che lo asfissiava e gli ricordava i brutti pensieri legati alle questioni familiari man mano diventa il migliore alleato di Casemiro.

La valvola di sfogo per dimenticare i problemi, per lui, come per molti altri è il calcio. Mentre i suoi compagni di gioco sognavano l’immensità del manto verde del Maracanà, lui impara ad amare il fango e la sterpaglia del suo quartiere. Adora combattere e leggere lo spazio in mezzo alla mischia.

Sono sicuro che se Casemiro avesse potuto scegliere la sua nazionalità, avrebbe scelto senza dubbio quella Uruguayana. Popolo fiero, ribelle, gente lottatrice contraddistinta dalla “Garra” dove prima di tutto viene l’efficacia e solo dopo il bel gioco. Casemiro si sente quasi un estraneo alla cultura calcistica del suo paese improntata molto più sul “joga bonito” che sul “gioca facile”.

Casemiro probabilmente si sente un estraneo anche nel suo Real. Non ha di certo la creatività di Modric, nel suo bagaglio tecnico non c’è la precisione come quella di Kroos e non c’è neanche la classe di Benzema. Eppure la sua presenza è fondamentale. Senza di lui l’arte dei Blancos non potrebbe esprimersi. Zidane ha capito subito l’importanza di un giocatore che garantisca equilibrio in mezzo al campo e da quando se ne è accorto il centrocampista classe 1992 non è più uscito dalla formazione titolare dei galacticos.

La partita dove il mondo si è accorto di Casemiro è la finale di Champions disputatasi a Milano nel 2016. Una prestazione monumentale del gigante carioca che riesce a neutralizzare quasi tutti i pericolosi contropiedi dell’atletico solo con l’aiuto della difesa. E’ stato lasciato da solo come unico schermo davanti la difesa. Qui abbiamo potuto apprezzare tutta la freddezza e la lucidità di Casemiro. Sulle sue spalle c’era tutta la pressione di difendere una finale di Champions; pressione che non è stata vista come un peso bensì come uno stimolo. Al Real non importava se la coppa di quella sera fosse l’undicesima, una mentalità come quella dei Blancos vede ogni finale come se fosse la prima. Ideologia che rispecchia al meglio la filosofia di Carlos. Casemiro e il Real sono talmente simili, che se il Real non esistesse Casemiro lo inventerebbe.

Quella è la finale dei paradossi, Casemiro incontra la squadra tatticamente perfetta per le sue caratteristiche ma idealmente opposta per la sua mentalità. L’intelligenza tattica e la lettura del gioco tipici della concretezza europea mettono in panchina Isco e James Rodriguez, due giocatori dalla tecnica sublime, che visti i piedi, sono sicuro, che se avessero potuto, avrebbero scelto di essere brasiliani.

Il mediano in quella finale si è guadagnato la possibilità di sbagliare, un qualcosa concesso a pochissimi dalle parti del Bernabeu. Nonostante ciò Carlos non si è mai approfittato di tutto questo, sempre prestazioni impeccabili, mai sopra le righe, non corre mai rischi inutili. Casemiro prima di giocare CON la squadra, gioca PER la squadra.

Casemiro ha tappato un buco enorme lasciato dall’addio di Xabi Alonso, ci aveva provato Kroos, che però in fase difensiva non poteva garantire l’equilibrio necessario ad una squadra con un peso d’attacco così pesante. Casemiro si è imposto in silenzio, prestazione dopo prestazione, senza mai dare troppo nell’occhio. Non è un calciatore dalla corsa infaticabile. Non ne ha bisogno. Le sue armi più potenti sono l’anticipo, il contrasto e il posizionamento. Grazie alla meravigliosa gestione dello spazio si trova sempre al posto giusto al momento giusto. All’interno della mente del giocatore verde-oro c’è una concezione professionale del dovere che crea un connubio perfetto con la storia e la tradizione del Real Madrid. Gli ingredienti per l’efficacia di questo calciatore così solido sono costanza, determinazione e concentrazione.

Un esempio per dimostrare la professionalità del numero 14, è l’intervista rilasciata a “El Pais” prima dell’incontro in Champion League contro la Juventus del 2018. Il malizioso giornalista spagnolo chiede al giocatore come si comporterebbe se Douglas Costa, suo compagno di nazionale con il quale dovrà disputare il mondiale pochi mesi dopo, si ritrovasse ad affrontarlo palla al piede uno contro uno a campo aperto. Casemiro senza esitare con una sicurezza sconvolgente risponde: ”-Lo spezzerei in due-“. Il giornalista spagnolo esterrefatto non sa proprio come controbattere. Davanti ad una risposta così cruda non si può far altro che incassare il colpo.

Casemiro oltre a quella coppa dei campioni, ne vincerà altre due consecutive e conquisterà la Liga di quest’anno. Probabilmente a 28 anni ha raggiunto la maturità calcistica per affermarsi come il miglior centrocampista difensivo al mondo.

Lo stesso discoro tattico vale per la nazionale ovviamente. Spetta a lui occuparsi di una squadra con un potenziale offensivo composto da Neymar, Richarlison, Willian, Firmino o lo stesso Douglas Costa ecc..

Dopo la delusione del mondiale del 2018 Casemiro riuscirà a togliersi la soddisfazione di un trofeo internazionale con la vittoria della Copa America del 2019.

Questo calciatore immenso è riuscito ad accettare i suoi difetti tecnici e lavorare sulle qualità tattiche fino a farli diventare dei pregi. Da bambino aveva paura dello spazio ed ora è lo strumento che lo ha reso così grande. Forse, dovremmo imparare tutti qualcosa da Casemiro, che è riuscito a trasformare gli ostacoli in opportunità. Si è assunto le proprie responsabilità conscio dei suoi limiti ed ha fatto di necessità virtù.

Ha affrontato i problemi faccia a faccia facendosi beffe della paura. Dal vangelo secondo Carlo Henrique Casemiro ciò che neghi ti sottomette, ciò che accetti ti trasforma.

Matteo Di Mango