Il problema è che noi tifosi del Napoli non siamo abituati a determinati tipi di partite. È quasi normale che si venga a creare uno stato di agitazione che affonda le sue radici nell’ansia di fronte a gare che possono decidere le sorti di una stagione. Soprattutto quando prende forma la possibilità di alzare al cielo un trofeo, usanza questa assai rara dalle nostre parti.
Se si pensa che i principali titoli che compongono la nostra piccola bacheca sono legati all’età dell’oro della storia partenopea – il settennato maradoniano – e che quindi ci sono intere generazioni (come la mia) che hanno avuto la sfortuna di non vivere quel periodo, si capisce come un quarto di Europa League Arsenal-Napoli sia in grado di generare panico e tensione.
E non pensiate mica che il tutto nasca il giorno stesso del match: no, ha inizio almeno 3-4 giorni prima, quando la tua mente comincia ad avere un unico pensiero fisso capace di farti dimenticare tutto il resto. Già, il sabato un fastidio inconscio inizia a farsi strada dentro di te, ma la tua saggezza ti ricorda che prima c’è una partita di campionato da affrontare e da vincere, dopo l’opaca prestazione e sconfitta di Empoli. Rimandi quindi tutto al lunedì, quando la delusione per la prestazione contro il Genoa lascerà lo spazio nuovamente a quell’unico pensiero.

E ora che lunedì è arrivato, proprio mentre sto scrivendo, ha inizio una sorta di Via Crucis interiore – ci troviamo anche in periodo Pasquale – che ci accompagnerà fino al giovedì. Appena iniziato il martedì, cerchi di farti forza pensando che il giorno della partita è ancora abbastanza lontano, per cui l’ansia, pur se presente, è domabile e riesci ad avere la meglio sui cattivi pensieri.
Il mercoledì, la vigilia del match, il termometro della tensione sale ed è proprio lì che si rompe ogni argine che riusciva a trattenere il mare di panico agitato dentro di te.
Si scatenano dunque frasi del tipo “tanto perdiamo”, “di sicuro usciamo”, “a Londra ci danno 3 palloni” e la fiducia con cui avevi accolto l’esito del sorteggio da cui erano usciti i Gunners è solo un lontano ricordo. Chiudi la serata ricordando alla tua ragazza che potresti essere leggermente nervoso in quelle ore, le chiedi scusa in anticipo per eventuali mancanze nei suoi confronti e le rammenti di vedere la partita in quanto eretta a portafortuna.

Arriva il giovedì: dopo aver dormito male, ti avvii a lavoro. Lì ci sono altri tifosi come te. La prima cosa che pensano di fare è chiederti un pronostico: “Che facciamo stasera?”, come se fossi in grado di rispondere. Ma si vede nei loro occhi carichi di tensione che quella domanda è fatta per scaricare l’ansia, per trovare un momento di distrazione o una parola di conforto che solo la condivisione della paura può dare. Dopo il lavoro decidi di andare in palestra, luogo perfetto per distrarsi, senonché i tuoi abituali compagni di allenamento li trovi lì, fermi, nessuno che si allena. Sono tutti in cerchio mentre si confrontano sul match. C’è lo spavaldo, quello che è sicuro non solo del passaggio del turno, ma anche della vittoria finale. C’è il fiducioso, quello che sa che è difficile, ma si può fare. C’è l'indeciso, quello che non sa cosa succederà. C’è perfino quello che se si vince “Forza Napoli” e se si perde “chi se ne frega”. E poi c’è il pessimista (come me), quello che non pensa che gli altri siano più forti, è convinto che il livello sia lo stesso ma è abituato al “mai una gioia”.

Si avvicina l’ora del calcio d’inizio, vai a casa, doccia post allenamento e pronto davanti la TV. Da solo, perché tuo fratello ti ha abbandonato. Lui, ansioso come me senza però esternare ciò che prova, non sopporta di vedermi agitato e sbraitante. “Cosa strilli? Lo sai che non ti sentono?” dice lui. Vaglielo a spiegare che in quel momento sei un tutt'uno con Ancelotti. E preferisci vederla a casa di amici.
E a chi pensa che a fine partita tutto sia finito, ricordo che c’è il post gara (gioie o dolori) e il match di ritorno dopo 7 giorni. E via con un’altra settimana di passione.