Le “bandiere” nel calcio stanno scomparendo. Non è disincanto, solo la semplice constatazione che, ad oggi, contiamo sulle dita di una mano i calciatori che hanno legato la loro carriera ad un colore, ad una maglia. Spesso assistiamo a promesse di calciatori e allenatori di eterna fedeltà ad una maglia: di non voler mai vestire altri colori, specialmente rivali; promesse forse troppo pesanti per essere sostenute, dal momento che poi molti di questi, alla prima occasione “golosa”, spesso non hanno resistito alla tentazione del tradimento. In un mondo che viaggia a tremila all’ora, un mondo che sta cancellando la gioia di un successo, in cui la felicità per un obiettivo raggiunto viene subito sostituita dall’ansia di conquistarne un nuovo, non possiamo stupirci se anche nel calcio si stiano perdendo certi valori. Il dito puntato di Higuain e il “es tu culpa” rivolto a De Laurentiis dopo il primo gol da avversario al San Paolo hanno fatto il giro del mondo: Higuain, da campione qual’è, ha deciso di risvegliarsi da un letargo di gol che durava ormai da più di un mese proprio nel suo ex palcoscenico del San Paolo, contro la sua ex squadra e soprattutto contro un presidente che, da mesi, lo stava attaccando attraverso svariati canali mediatici in seguito al suo, criticatissimo, addio estivo per dichiararsi sposo alla Juventus, che per i napoletani rappresenta la rivale numero uno. Che Higuain fosse arrivato alla Juventus più per contingenze che non per un sentire profondo era un qualcosa di già chiaro per quanto mi riguarda. Parliamoci chiaro: nessuna squadra estera era intenzionata a versare la clausola rescissoria nella sua interezza e la Juventus, anche a fronte di una cessione altisonante come quella di Pogba di fatto già concretizzata, ha deciso di puntare con forza sul giocatore che, a causa anche di dissapori ormai insanabili con De Laurentiis, ha accettato il trasferimento ritenendo non più possibile una convivenza in terra partenopea. Non pretendo che ogni calciatore che viene alla Juventus giuri amore eterno e incondizionato alla maglia: i giocatori infondo passano e sono funzionali alla vittoria della Juventus che invece è un qualcosa che rimane. Tuttavia a me lo “show” andato in scena mercoledì sera al San Paolo proprio non è andato giù: non ho digerito questo continuo volersi giustificare con la curva partenopea, con cui non ha più nulla da spartire; così come non ho digerito la frase rivolta al presidente De Laurentiis, che di fatto ha sottinteso che lui alla Juventus si trova per una “colpa” di fondo e non per un sentire in primis suo. Ne prendo atto, così come ho preso atto delle parole del padre di Higuain, a fare eco al figlio, in cui viene ribadito con maggiore chiarezza lo stesso concetto. In fondo, se non era per un rapporto logorato (per motivi economici o tecnici ?) con DeLa, Higuain alla Juventus non ci sarebbe mai andato. Ormai pienamente consapevole e certo del motivo per cui il Pipita si trova in questo momento in bianconero, mi auguro solo di poter esultare ancora molte volte per le sue prodezze in campo; e mi auguro anche un’altra cosa: che da ora in avanti i suoi interlocutori siano solo ed esclusivamente i tifosi bianconeri, ai quali, finché vestirà i colori per cui tifiamo, dovrà esclusivamente rendere conto, portandogli grande rispetto e senza più preoccuparsi di chi per lui rappresenta il passato. Perché è anche molto molto facile incolpare gli altri per una scelta impopolare fatta: a volte bisogna assumersi le proprie responsabilità e se Higuain non voleva far sentire i tifosi napoletani “traditi”, poteva percorrere altre vie, nel calcio i matrimoni e i divorzi si fanno sempre in due.