Ci sono diversi tipi di calciatori: chi ti rapisce con un dribbling o una giocata, chi apprezzi per le sue doti da leader, chi reputi il miglior battitore di punizioni, chi ti risolve le partite con giocate individuali, chi salva la partita con una prodezza difensiva e mille altri ancora; poi c’è Mario Mandzukic. Mario Mandzukic è una categoria se’, incarna tutti i valori per cui il calcio viene reputato uno sport collettivo: sacrificio, dedizione, grinta, spirito di squadra, cattiveria lucida, anteporre alla gloria personale il bene della squadra. Ho sognato il suo arrivo a Torino sin da quando ancora giocava a Monaco di Baviera e consquistò l’Europa. L’ho visto arrivare dopo la partenza per l’Argentina di un altro calciatore che non dimenticherò mai. L’ho visto segnare alla prima partita ufficiale, facendoci vincere la supercoppa. L’ho visto schiantarsi contro un tabellone pubblicitario durante Juventus Udinese e portarne le conseguenze in silenzio, mentre tutti già lo additavano di non essere un calciatore decisivo. L’ho visto soffrire e l’ho visto rinascere, segnando gol mai banali. L’ho visto immolarsi per difendere il record di imbattibilità di Buffon, suo idolo e modello, correre come un mediano e difendere come un vero difensore. L’ho visto accollarsi colpe spesso non sue: Allegri ha affermato che, dopo l’uscita shock contro il Bayern, si sia cambiato da solo per un mese, isolandosi dal resto del gruppo; quasi a voler espiare da solo una “colpa” che semmai doveva essere espiata collettivamente. L’ho visto accettare a ripartire “dietro” un mostro sacro come Higuain, ben conscio (e Allegri con lui) del contributo che ancora avrebbe potuto dare alla squadra. Ieri sera l’ho visto fare una partita che è un po’ il riassunto di tutte le sue caratteristiche; ma per me ciò non ha rappresentato nessun tipo di novità, semmai una gradita conferma: perché questo è Mario Mandzukic, da sempre. Per molti “edonisti” del calcio, anche juventini, dediti alla visione spasmodica dei “skills and goals” non è un calciatore da Juve: “corre troppo e poi non si fa trovare in zona gol” l’accusa principale; ma se la passata stagione, giusto per fare un esempio, Dybala è cresciuto così rapidamente è stato anche perché al suo fianco aveva un calciatore che, spesso, sacrifica la sua gloria per far giocar meglio chi gioca vicino a lui; se l’anno scorso abbiamo ottenuto ciò che a novembre ci sembrava un miraggio, tanto va attribuito alla sua dedizione alla causa. Per me Mandzukic è il fratello che ti da lo scappellotto in testa ma poi va a difenderti, anche contro ogni evidenza; Il padre che magari non capisci ma, a distanza di anni, ringrazi; l’amico che ti dice sempre le cose in faccia, magari facendoti in alcuni casi arrabbiare ma che non ti pugnalerà mai alle spalle; il compagno di viaggio che vorresti sempre avere al tuo fianco e il giocatore che, nelle sfide al campetto, sceglievi per primo nella tua squadra. In ultima sintesi: l’essenza del calcio, inteso come meccanismo complesso di calciatori, i quali, sfruttando le loro caratteristiche, cercano di costruire una vittoria. Lunga vita a Marione, alla sua fame agonistica e alle sue giocate.