“I know that was the end of it all I should've stayed at home 'Cause now there ain't no letting you go Am I falling in love  With the one that could break my heart? Ooh, break my heart Ooh, break my heart”

“Break my heart”. La radio di questo “Jeepone” affittato per raggiungere Roma mi ha fregato. Ha dato quest’ultima rimasterizzata di Dua Lipa. Non sono un suo fan, ma, malgrado tutto, devo ammettere che i suoi ritornelli ti entrano nella testa, proprio come le cose brutte, quelle che vedi o senti e, anche se provi a distaccarti, restano là. 

La vita è strana. Sei in partenza per un’isola delle Baleari, dove trascorrerei finalmente la tua meritata vacanza, eppure… Quest’anno è stato duro, un po’ per tutti. Per qualcuno di più. Il Covid ha segnato la vita di tante persone, soprattuto perché ha lasciato mancanze. A molti ha preso. Ha preso come un ladro, non lasciando il tempo al derubato di realizzare il lutto, di elaborare, di mettersi l’anima in pace. Le anime le ha squarciate, calpestate, graffiate. Ai più fortunati ha lasciato un ricordo, quello di aver vissuto una delle epoche contemporanee più buie. Per quanto possiamo essere forti, bene o male, tutti noi ne porteremo i segni per sempre, come quell’incubo che quei giorni possano tornare da un momento all’altro, finendo per ritrovarsi ancora chiusi tra quattro mura, familiari ed estranee, allo stesso tempo, come una galera.

I più sensibili non ne sono usciti ancora. Sono quelli che avevano già visto la propria vita a rischio. A rischio di essere spezzata. A rischio di saltare in aria. Questo è quanto è successo ad Ilicic, il mago sloveno. Il funambolo in campo, da bambino aveva ben altro da evitare rispetto ai calci degli avversari. Se correva più veloce, ed era scaltro, poteva evitare le bombe. Se si nascondeva, non tra le magie avversarie, ma dai soldati avrebbe allungato non una carriera ma un’esistenza. A ciò si può giungere nient’altro, perché ciò che Joseph ha sentito dentro, è solo di Joseph, ed è giusto che sia così. Non sono cose che si chiedono, di cui si parla facilmente, perché quando escono fanno male come i proiettili conficcati sotto la pelle. Abbiamo pochi fatti, ma basta il suo passaporto, croato d’appartenenza, concesso a un profugo di guerra, questo era quel bambino che calciava contro il muretto sognando Nakamura. 

Non meraviglia che le bare, portate via da carri militari, che lasciavano Bergamo come in una lenta, dolorosa, straziante processione funebre, lo abbiano “toccato”, portandolo con la mente a ciò che già era stato. Ha dovuto staccare tutto, o almeno staccare tutte le cose meno importanti come il calcio. Stringersi intorno alla famiglia e agli amici, lasciandosi cullare dalla sua terra, che oggi è finalmente libera, finalmente casa. Un giorno tutto rientrerà, lo avremo di nuovo con noi su un prato verde. Succederà quando il suo cuore si rimetterà in piedi, batterà tanto forte da non far sentire più le deflagrazioni e le sirene. 

“Break my heart”, il cuore ci si spezza in continuazione, ma la nostra forza sta nell’ignorarlo. Potrebbe essere un segno di debolezza, un ritardo emotivo, una mancata consapevolezza di noi. Eppure è la nostra salvezza, un veleno che è antidoto. Quando il sangue pompato subisce deviazioni, troviamo sempre il modo per “falling in love”. Per riprovarci, per continuare, nel modo che più sentiamo opportuno, vicino a noi. Forse è proprio questo il senso della nostra esistenza. La nostra esistenza che è limitata, e fin quando non arriveremo al limite non possiamo fermarci, come in un film. 

La vita è strana, dicevamo. Lo è, effettivamente. Stai partendo per le vacanze, hai vissuto quello che hai vissuto, eppure pensi ad una delle cose meno importanti che esistono: il calcio. Sarà così? Cioè sarà davvero così irrilevante. E allora tutte queste folli persone che ne parlano, che lo giocano, che si strappano i capelli? Sono matti? Pure chi ne scrive, chi lo commenta? Tutti matti. Potrebbe essere, ma potrebbe anche non esserlo. Dicono che certe volte i veri matti sono quelli che non si chiedono mai se lo sono o meno. Noi lo facciamo, anche troppo spesso. Dovremmo essere in salvo. O forse no.

La verità è che tante cose dovremmo lasciarle andare, continuare a “falling in love” ma con una maturità diversa. Insomma tante cose che “break our heart”, almeno legate ad un argomento così frivolo, possiamo perderle.

Il calcio potrebbe liberarsi di tante cose. Il fair play finanziario ad esempio. Ci facciamo il sangue amaro, quando leggiamo che troppi club non subiscono le giuste sanzioni per azioni economiche discutibili. Alla fine, almeno le grandi, fanno come gli pare e piace, tanto vale togliere i paletti. Massì! Hanno introdotto la tecnologia nel calcio e tanti cavilli nei regolamenti per aumentare la spettacolarità all’interno del rettangolo da gioco. Aumentatelo anche fuori, lasciamo le società libere di spendere e spandere, di indebitarsi. Non sono mica soldi nostri, sono aziende private, facciano da tali. Almeno potremmo assistere a colpi da orbi, trasferimenti stratosferici. Arriverà il prossimo Ferlaino di turno che porterà il nuovo Maradona all’ombra di una città che non è mai stata Regina. Sarà una nuova apoteosi, dopo finirà tutto ma ne sarà valsa la pena. Via Benedetto Croce, è il cuore di Napoli. Se vi trovate da quelle parti, scendendo verso i Decumani troverete un altare dedicato al Pibe. Chiedete a chiunque passi nei paraggi, se a Diego avrebbe preferito non fallire mai. Suvvia, permettiamo che accada ancora.

Permettiamo che accada ancora segnare in fuorigioco, che un tocco di mano non venga sanzionato, che l’esultanza non debba mai più correre il rischio di essere interrotta, che una tacchettata in aerea per non impedire lo stacco avversario, di mestiere, non sia vista da nessuno, che un portiere bestemmi contro i suoi difensori per aver perso l’uomo senza correre il rischio di vedere il suo labiale proiettato al maxi schermo. Volevamo il calcio all’inglese. Ora cosa abbiamo? Una zuppa. Una zuppa dove i giocatori si tuffano non appena sentono un tocco sulle spalle. Una zuppa dove di duro può esserci solo un crostino, perché oggi anche se prendi la palla, la veemenza è sanzionata sempre. Il calcio era un gioco maschio, oggi è un gioco da bambini: fai piano che si fa male, non essere sboccato che ti ascolta, mettigli la mano davanti agli occhi, non è educato, ma che gli insegni!

Io a calcio ci ho giocato, anche se per poco tempo. Tutti quelli che ci hanno giocato lo sanno. In campo è bello essere brutti, sporchi e cattivi. Non per sentirsi Clint Eastwood, ma per sentirsi a proprio agio. Esserlo ti rende più te, più uomo o danna, più partecipi di un gioco molto più grande. La vita stessa è brutta, sporca e cattiva.

Poi, e siamo in chiusura, facciamo parlare gli arbitri a fine partita, sarebbe una rivoluzione clamorosa, una cosa copernicana. Chi ha assistito all’intervista di Rocchi mi può capire. Senza correre il rischio di essere blasfemo, azzardo un paragone. Quella sera, dopo Juve-Roma, sembrava che ai microfoni di Sky stesse parlando una Madonna. Si, perché i direttori di gioco sono sempre cosi lontani da noi, quasi come fossero divinità, dell’entità astratte, qualcosa da interpretare da soli per capire. Ciò è perverso. È perverso interpretare delle interpretazioni.

Siamo un popolo di santi, navigatori, poeti, virologi, allenatori e arbitri. Lasciamo andare una veste. Vengano e ci spieghino loro il perché di una scelta. Il regolamento è una cosa serie e complicata, e noi, siamo sinceri, lo conosciamo davvero poco. Loro si che lo hanno studiato, loro si che sanno come, quando e perché applicare una sanzione. Loro percepiscono. Ci spezziamo il cuore, dandogli dei venduti, dei ladri, dei corrotti, magari hanno agito in buona fede e la nostra in loro non dove essere fede, magari confronto.

Il mio confronto arriverà a breve con un cacio e pepe, partirò solo dopo questa tappa obbligata. Salvo l’articolo in note, lo pubblicherò domani mattina. Ci risentiremo al ritorno, perché chi è con me non mi permetterà di scrivere ancora.

Fatto sta, che se noi avessimo previsto tutto questo (intorno al calcio), dati causa e pretesto, forse faremmo lo stesso. Lui ci spezza il cuore, ma noi continueremo a caderci. Ci piace far casino, magari siamo nati fessi. E quindi tiriamo avanti e non ci svestiamo dei panni che siamo soliti portare. Abbiamo tante cose ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare e al paese tutto il resto.