C'è stato un calcio pre-Covid e un calcio post-Covid. Tutto ciò che sembrava avessimo capito, tutti i nostri parametri precedenti, ne sono usciti sconvolti. Ci si è messo un po' tutto: la condizione fisica, i tanti rapporti intepersonali che nei mesi più duri della pandemia si sono inevitabilmente deteriorati, il caldo, l'ansia di una stagione prossima che incombe troppo presto lasciandoti poco margine di azione e di errore, e, poi, soprattuto, la mancanza di risultati, le disfatte di troppe big, di troppi "numeri uno".

Il quadro che ne è venuto fuori, è un dipinto confuso, un Picasso, fatto di barbarie e classicismo, di segni rapaci, come la vecchiaia e la morte. Un presente che si allontana dal suo orizzonte e che con rapidità soprende. È cosi che il Barcelona dei miracoli, una delle più belle rappresentazioni del nosto tempo, si scioglie come un gelato al sole, e chiama Koeman, un uomo del Nord, a mettere insieme i pezzi. È così che Guardiola, il grande, cade sotto i colpi del suo protagonismo e delle sue ansie. Ansie che avranno restituito troppe notti insonni a Sarri, sostituito da Pirlo, geniale in campo ma uomo qualunque in panchina. Ansie che hanno radici in un modo di vedere il calcio, che era quello di Johan Cruijff, che ci ha lasciato nel 2016, ma che oggi vorremmo intervistare per trattare insieme questi argomenti.
Non avendone la possibilità, abbiamo immaginato, comunque, di farlo, estrapolando i suoi pensieri dall'eredità ingombrante ed eterna che ci rimane di lui.

Buongiorno Johan. Partiamo dal caos che ha travolto il Barcelona. Si aspettava che un ciclo cosi vincente e iconico potesse cadere in frantumi in maniera tanto fragorosa?

Una delle principali leggi del calcio è che il successo è spesso seguito da una grande delusione. Ognuno di noi ha 100, poi vince è ha 90, poi lo fa ancora, 80, e cosi via. Il Barcelona ha vinto tanto per troppo tempo con gli stessi uomini. Uomini che oggi non si divertono più. Senza divertimento non puoi vincere, era inevitabile che succedesse questo.

Per riaccendere la scintilla è stato chiamato una persona che lei conosce bene: Ronald Koeman. Guardando al feeling che è intercorso, negli anni, tra i blaugrana e gli olandesi, è stato preso l’uomo giusto?

Quando allenavo il Barça, ricordo che con Ronald e con Stoichkov giocavamo a non mettere dentro la palla, a colpire la traversa o uno dei pali, proprio per aumentare la precisione del tiro. Lavoravamo sulla tecnica e farlo ci divertiva. Ronald, come me e come tanti olandesi, è cresciuto per strada, ha giocato per strada, ed è lì che capisci che quelli che più si divertano a insegnarti qualcosa sono coloro che meglio dominano il pallone, mentre quelli capaci solo di entrare sull'avversario, di piazzarsi in campo per fare ostruzione e di tirare pedate, non hanno nulla da insegnare, anche se avrebbero molto da imparare. Alla radice del feeling tra i blaugrana e gli olandesi ci sono due principi: il dominio del gioco e il divertimento. Sono sicuro che questa tradizione possa darci ancora gioia.

Però si parla di un addio di Messi, questo potrebbe complicare i piani di Koeman.

Io guardo Messi e mi fa sorridere. Un bellissimo calciatore che è ancora come un bambino. Una superstar mondiale, ma pur sempre un ragazzino. Innocente, sai. Lui vuole giocare e basta. Ma negli ultimi anni ha dovuto preoccuparsi di tutto quello che succedeva nello spogliatoio e in società, lo hanno fatto sporcare e intristire. Ronald deve prenderlo e isolarlo, portarlo al campo e sedersi in panchina a guardarlo giocare come un mamma che osserva il figlio al parco. Se gli promette questo non andrà via, perché il Barça è casa sua.

Passiamo ad un altro suo discepolo, che non se la passa molto bene. Cosa succede a Guardiola? Ha vinto troppo anche lui?

No, qui il problema è un altro, ed è un problema che riguarda il calcio inglese. In Premier League i soldi non sono mai stati un problema, se pensiamo al City poi questa verità è ancora più palese. Ma il fatto è che quando hai troppi soldi, ad un certo punto non sai più come controllarli. Pep vuole raggiungere la perfezione, sia ideale che nell’undici che mette in campo, ed, avendo le possibilità, ogni anno compra ciò che crede mancargli. Non riesce più a concentrarsi su ciò che ha, ma su ciò che non ha, anche a livello tattico. Il calcio per lui è diventato una preoccupazione, e non dovrebbe esserlo, dovrebbe essere eccitante. Quando un bambino gioca a calcio all'aperto, non deve preoccuparsi. I professionisti dovrebbero essere gli stessi.

Quindi gli consiglierebbe di abbandonare il City?

No, soltanto di chiudere il portafoglio e di ritornare a pensare semplice. Perché contro il Lione si è messo a tre dietro e con due attaccanti? Il miglior modulo è il 4-3-3, che è il suo modulo. Se avesse pensato semplice sarebbe sceso con quello in campo e avrebbe vinto, invece ha pensato complicato ed ha perso.

Non sappiamo ancora con quale modulo vestirà la sua Juventus, ma Andrea Pirlo, un giocatore che lei ha sempre elogiato in campo, si è ritrovato di colpo su una panchina prestigiosa quanto quella bianconera. Che reazione ha avuto dopo questa scelta di Agnelli?

Andrea in campo era fantastico. Aveva una visione di gioco superiore, con un colpo metteva la palla dove voleva. E credo che poi questa caratteristica lo renderà un ottimo allenatore. Lui non giocava a calcio con i piedi. Lui giocava a calcio con la testa, questa fa la differenza sia che sei in campo che se sei in panchina. Poi è sempre stato un uomo di possesso, quindi sa che con il possesso palla si vince e senza non lo si fa, quindi lo insegnerà alla sua squadra, gli insegnerà a dominare. La palla è una sola, quindi è necessario che tu ce l'abbia.

Eppure la Juve aveva scelto Sarri come allenatore di possesso, ma è andata male.

Sarri ha una buona visione del calcio, ma non è la mia, o almeno non è quella che mi piace, non è quella di Pep. Vuole arrivare ai risultati attraverso il bel gioco ma ha un modo militaristico di lavorare con le sue tattiche, non ha caso lo chiamano comandante. Io credo che i giocatori debbano pensare da soli. Poi la sua Juve ha avuto un limite troppo importante. Se hai il possesso della palla devi allargare il campo più possibile, se non ce l’hai devi restringerlo, mentre i bianconeri con il possesso giocavano stretti e senza erano larghi. Aggiungo che i soldi devono stare in campo, non in panchina.

In generale che idea ha del calcio italiano?

Oggi, per via della pandemia gli stadi sono vuoti è questo è molto triste. A me del calcio italiano colpisce proprio questo, anche prima del virus, gli spalti erano vuoti. La gente non si diverte più col vostro calcio. Sono troppe 20 squadre, nate tutte per vincere qualcosa e alla fine vince solo la Juve e le altre restano deluse. È tutto sbagliato. Il modello è un altro, il modello è quello in cui ci si diverte e si pensa solo a quello.

In Italia nessuno ha mai chiesto lo spettacolo, e quindi non c'è. Contano solo i risultati. Ma a livello di spettacolo siete indietro e questo si riflette sull’immediato. I bianconeri sono la squadra numero uno per organizzazione, ma le loro vittorie sono noiose e senza proporre non riescono ad imporsi in Europa. Ora c’è l’Inter che può trionfare in Europa League, lavorano sodo, anche se per i miei gusti corrono troppo e quando corri troppo vuol dire che devi riparare. Mi piacciono il Sassuolo e l’Atalanta perché giocano con gioia.

L’Inter potrebbe vincere l’Europa League, mentre in finale di Champions chi vede favorita?

L’organizzazione del Bayern mi colpisce di più.

L’ultima domanda prima di lasciarci. Qual è il giocatore che più si avvicina a Cruijff?

Qualsiasi giocatore che vi sembra abbia una buona tecnica lo accostate a me. Ma la tecnica non è essere in grado di destreggiarsi con una palla 1.000 volte. Chiunque può farlo praticando. Allora puoi lavorare nel circo. La tecnica è passare la palla con un tocco, con la giusta velocità, al piede destro del tuo compagno di squadra. Basandomi su questo dico De Bruyne.