“Daniele De Rossi sarà il nuovo allenatore della Fiorentina”, a pronunciare questa frase è stato, in una calda notte d’estate di settimana scorsa, Gianluca Di Marzio, il guru del calciomercato italiano. In effetti, non era un segreto che la Viola avesse cominciato il casting per scegliere il tecnico per la prossima stagione. Ma i nomi erano altri: Unai Emery, Niko Kovac, Laurent Blanc, Luciano Spalletti. Nessuno, ma proprio nessuno, si aspettava che l’ex Capitan Futuro potesse diventare l’Allenatore Futuro gigliato.

Nonostante i nodi da sciogliere (come quello del patentino da tecnico non ancora conseguito da De Rossi) passati in secondo piano, la mossa a sorpresa della società di Commisso (o meglio la bomba lanciata da Sky) ha aperto in pochissimo tempo una frattura e facilitato la composizione di due fazioni: quella fatta dagli estremi conoscitori di calcio (gli opinionisti televisivi e gli ex calciatori che hanno avuto a che fare con Daniele) e quella, che per gli altri, di calcio non capiscono nulla, ovvero i tifosi.
Se i primi, infatti, si sono detti, senza alcuna remora, sicuri delle capacità di DDR in panchina perché allenatore, in fondo, lo era anche in campo e perché persona carismatica, gli altri sono rimasti basiti: “Come si può affidare una panchina prestigiosa come quella Viola ad uno che non ha mai allenato nemmeno i pulcini?”.

Che allenatore sarà De Rossi?  
Senza schierarci dalla parte degli uni o degli altri, e senza mai aver visto De Rossi dare indicazioni da bordo campo o seguire un allenamento, possiamo prevedere che tipo di tecnico sarà: interpretando ciò che ci ha detto, guardando al suo passato e ai suoi modelli, e lasciandoci ispirare dai suoi valori.

Dal vangelo secondo Daniele
Per cominciare a delineare una figura di ciò che Daniele sarà e ben partire da ciò che Daniele ha detto, in una delle sue recenti interviste:
1. “Inizierò questo percorso non solo perché mi piacerebbe, ma perché penso proprio di saperlo fare”;
2. “Partirò da Pep Guardiola, il migliore di tutti. E se non parti dal migliore di tutti, sbagli”;
3. “Quando Pep si fermava
(stagione 2002-2003 in giallorosso) a spiegarmi come avrei dovuto mettere il corpo per ricevere il pallone e come giocarlo e a quale compagno: aveva già in testa il gioco del Barcellona e provava a spiegarmelo”:
4. “De Zerbi mi fa impazzire”;
5. “Gattuso lo stimo e penso sia bravissimo”;
6. “Luciano Spalletti mi ha insegnato tutto”;
7. “Conte mi ha folgorato. Io amo le persone dirette, amo chi dice la verità. Tatticamente è un mostro, è un animale da campo. Non è facile essere un suo giocatore, ma è bello esserlo”. 

Ne ricaviamo in successione che una squadra allenata da Mister De Rossi (II) dovrà rispettare alcuni canoni: costruire dal basso, controllare il gioco, cercare gli uomini dietro le linee di pressione avversaria, essere pragmatici, tatticamente consapevoli, bravi a difendere in avanti a palla persa e poi a scappare all’indietro per ricompattarsi in seconda fase di transizione difensiva.

L’amore per Guardiola   
L’amore manifestato per Guardiola dovrebbe risplendere in campo in una squadra che pretende di costruire gioco basandosi sull’applicazione di due fondamentali: controllo e passaggio, con l’obiettivo di trovare sempre la superiorità numerica mantenendo ampiezza (che poi è anche lo stesso di De Zerbi). Bisogna passare correttamente la palla e saperla controllare. Tale processo inizia dal basso, generalmente dal difensore coi piedi buoni o dal mediano che effettua una salita lavolpiana e permette all’azione di partire.
Guardiola, però, negli anni ci ha stupito anche per le sue innovazioni, dunque non ci sorprenderà se anche Daniele, dovesse scegliere dei falsi terzini o dei falsi centrali per far si che il proprio undici sappia cominciare la risalita del campo con qualità. 
Nel caso degli esterni (vedi Alaba ai tempi del Bayern di Pep, o Zinchenko) questi taglierebbero in diagonale all’interno del campo ad occupare la zona alta mediana, mentre un finto difensore centrale (es. Fernandinho) è spesso un centrocampista schierato dietro (come è capitato allo stesso De Rossi in carriera) che parte nella linea a quattro difensiva in fase di difesa posizionale e avanza con la manovra, insomma uno che sta sia dietro che in mezzo per aumentare le linee di passaggio e per proteggersi nelle transazioni difensive.

Papà Spalletti
All’amore ci si arriva però, spesso, dopo alcune esperienze già maturate, dopo una sorta di periodo di formazione ed educazione (potremmo chiamarla sentimentale). Dunque, a Guardiola possiamo dire che De Rossi ci arriva essendo passato da Spalletti, suo padre calcistico.
Quando DDR dice "Spalletti mi ha insegnato la vita da calciatore", ci sta fornendo l’immagine di una delle caratteristiche principali delle “cure Spalletti”. Lucianone è tra i pochi allenatori in circolazione a responsabilizzare i propri giocatori. Ciò non vuol dire che non cura la tattica o il gioco, ma che lascia ai suoi la libertà di applicare i principi a seconda del contesto (che è un po’ la filosofia dell’allegrismo o della scuola italiana).
I giocatori devono saper prendere le giuste decisioni mentre giocano, essere pragmatici come il proprio tecnico. La più grande invenzione di Spalletti è stata Totti centravanti, e non è stata altro che una soluzione ad un problema: mancavano gli attaccanti.
Da ciò possiamo prevedere che Daniele sarà si un cultore del bel gioco e un allenatore di idea ma che difficilmente risulterà un dogmatico. La struttura di gioco sarà ben delineata ma poi non saranno i giocatori a dover adattarsi estremamente ad essa, più il contrario.

Orologi automatici 
Arriviamo, successivamente, ad un tratto che non possiamo sottovalutare e che appartiene sia al padre calcistico di Daniele (Spalletti) sia a chi, una volta grande, lo ha rimesso al centro del villaggio in Nazionale: Antonio Conte.
Il toscano e il leccese una volta aver trovato il giusto equilibrio tra la propria filosofia e le caratteristiche dei singoli pretendono l’applicazione maniacale delle conoscenze in campo. Dal momento in cui hai fatto tue le conoscenze tattiche devi essere consapevole di ogni scenario che ti si può palesare durante i novanta minuti ed essere capace di risponderne adeguatamente.
C’è sì quella libertà di scelta di cui parlavamo ma, in effetti, è una libertà delimitata, un ventaglio di opzioni alle quali il tuo tecnico ti ha indotto. In pratica, in ogni situazione di gioco fai quello che farebbe lui. Per arrivare a tale simbiosi in allenamento si lavora in maniera ossessiva, soffermandosi fino allo sfinimento sulle giocate, affinché non diventino naturali e proprie di ognuno dei singoli.
Ecco, spiegato, il perché del “Non è facile essere un suo giocatore”.

La fase difensiva
Andando, poi, oltre quelli che sono i modelli di riferimento, va considerato ciò che De Rossi era in campo e la stima evidenziata per Gattuso, nel momento di immaginarci la fase difensiva che DDR andrà ad applicare da tecnico.
L’ex capitano della Roma era dotato di un’ottima visione del campo, si prendeva la responsabilità di impostare, sul lungo e sul corto, saliva tra i difensori e dettava i movimenti ai compagni lanciandoli in profondità, giocando ad un tocco e dando respiro all’azione. Ma se l’abbiamo amato da calciatore è stato, soprattuto, per la raffinatezza delle sue letture difensive, per la sacralità tattica e per l’ermeneutica di un ruolo: il mediano, quello che spezza e ricompone con impulsiva verticalità.
Dunque, non è difficile ipotizzare che un undici allenato da De Rossi possa partire da un’impostazione difensiva posizionale, che basa gran parte del suo lavoro senza palla sulla riconquista di questa non appena l’abbia persa, sia attraverso la lettura delle giocate avversarie, sia attraverso l’intensità e l’aggressione feroce.
In seconda battuta, però, nel momento in cui il primo pressing dovesse saltare, la transizione difensiva diventerebbe più lunga, e ci farebbe assistere ad una squadra che corre velocemente all’indietro per ricompattarsi, abbassando il baricentro e orientando la propria struttura difensiva verso la zona palla, riducendo gli spazi interni con agilità, proprio come sono soliti fare gli azzurri di Gattuso.

I difetti del Daniele giocatore
Se la nostra previsione del De Rossi allenatore, dovesse poi articolarsi in un azzardo, questa potrebbe consistere anche dei difetti che Daniele potrebbe portarsi dal campo alla panchina, e che potrebbero renderlo un giorno magari tra i tecnici più “espulsi”. Non possiamo, infatti, non citare almeno il nervosismo che contraddistingueva il numero 16 sul rettangolo di gioco.
Una rabbia selvaggia che era spesso in contrasto con la serietà di DDR, una rabbia che proveniva da una grinta naturale che sfociava in alcuni episodi in violenza e che, non era altro che riflesso di una personalità plasmata su una fede e su un ambiente, quello giallorosso eccessivamente segnato dal pathos, così come su un modo di essere: “si gioca come si vive”.
Si gioca, si giocherà, anche alla maniera di De Rossi, e a nostra impressione, tutto sommato, potrà essere una maniera interessante. I presupposti intrigano noi, come Commisso, ma per ogni fatto c’è un’infinita di sfumature. Di certo c’è un sogno, quello di Daniele, e il futuro, per dirla alla Elanor Roosevelt, appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni.
Buona fortuna Allenatore Futuro