La musica. C’entra quasi sempre la musica. Accompagna una percentuale altissima di tutto ciò che facciamo ogni giorno. Ha il potere di rendere speciale un momento normale, oppure indimenticabile. Passano gli anni e l’ascolto di una melodia può proiettarci nel passato, in un’istante preciso, come fosse il suono del tempo perduto: una madeleine di proustiana memoria.

Memoria e musica. Guardando le partite di Nations League, involontariamente e nostalgicamente viene da guardare indietro, con ingenuità. La coscienza stessa si emoziona, perché il calcio post-Covid è così lontano da quello che abbiamo ancora negli occhi. Non ci sono più colori, né canti, né proteste. In campo latita la brillantezza, la verve, l’intensità, la grinta. I giocatori sembrano attori che recitano in un teatro vuoto e si chiedono che senso ha farlo. Ce lo chiediamo anche noi guardandoli. In tv c’è una testimonianza che non sappiamo interpretare e vorremmo essere in grado di andare avanti, nel futuro, per ritrovare ciò che abbiamo perso. Trovarlo di nuovo intatto.

La musica. Mentre scorrevano le immagini sullo schermo, da una stanza adiacente della casa suonava un telefono acceso su Spotify. La vista si è imbattuta in Eduardo Camavinga che a breve potrebbe fare il suo esordio con la Francia. Vanno le sue gesta, uno spettacolare gol segnato al Montpellier. All’orecchio arriva un hit estiva un po’ trash, è “Chico” di Gue Pequeno, Rose Villain, Luchè. Distinguo la playlist “Italia in alta rotazione”. Poi, come fossi in “Matrix”, ho la percezione di sovrapporre le parole che mi arrivano all’orecchio e ciò che sto guardando. Slalom di Camavinga, frame su Pogba, verso della canzone: “gli occhi, chico, non mentono mai e tu sei la mia piccola copia come un bonsai”.

Retrocedo mentalmente. Non tanto da ritrovarmi a Combray, di domenica mattina, quando Zia Leonia mi offriva una madeleine da inzuppare in un infuso di tè o di tiglio. Ma al calcio che era, poi di rigettò a quello che sarà. E mi accorgo che guardare un ragazzino diciassettenne, accostarlo, anche solo per un attimo al Polpo, è più eccitante, o emozionante, che vivere un partita contemporanea. Probabilmente, ed evidentemente, per la presunzione di vedere un giorno quel potenziale campione destreggiarsi in uno sport che ritorni ad esibirsi in condizioni normali, lecite, interessanti. Il giorno in cui magari si realizzerà quell'assurdo paragone.

Anche perché Eduardo Camavinga avrà tutto il tempo per inventarselo il futuro, per prenderselo.

Musica, memoria, mi hanno dato il pretesto di parlare di lui. Lui che un anno fa era già considerato in patria la promessa più brillante mai espressa dal vivaio del Rennes, anche più di Ousmane Dembele, e una delle più accecanti del calcio francese.

Non a caso Eduardo Camavinga nell’aprile 2019 è diventato il più giovane giocatore a debuttare per lo Stade Rennais. Aveva appena 16 anni, quattro mesi e 27 giorni. Era anche il primo 2002 a giocare in uno dei cinque principali campionati europei, superando Kylian Mbappé. Giocò le ultime partite della stagione e alla prima della nuova, con già dieci presenze all’attivo, incantò il mondo battendo il PSG, con un assist per il gol vincente. Da li a poco sarebbe diventato Player of the Month per il mese di agosto della Ligue 1.

Memoria. Memoria perché un anno dopo Eduardo, che ha 17 anni, è stato convocato per la prima volta nella Nazionale francese. Se questa sera con la Svezia, o martedì contro la Croazia, dovesse scendere in campo sarebbe il più giovane giocatore a esordire con la Nazionale dei galletti dal 1932 a oggi, il terzo in assoluto nella storia dei transalpini. E non meraviglia.

Se vi è mai capitato di guardare una partita dello Stade Rennais senza sapere nulla del centrocampista numero 18, non avreste pensato minimamente che sotto quella casacca vivesse un adolescente. Un ragazzino alto circa 185 centimetri, agile, vivace, reattivo, dinamico. Sempre in controllo della sfera e del campo. Equilibrato. Capace di venir a capo di una situazione difficile in dribbling, di risalire il campo quando le condizioni lo permettono. Anzi, ama andare in verticale.

Non capita tutti i giorni di vedere un diciassettenne titolare. Un diciassettenne che non sbaglia quasi mai, che non fa scelte sbagliate. La testa è alta. Il sinistro delicato lo mette a suo agio sia nel gioco corto che nel lungo. E lui gioca veloce, vede veloce, anche se non è un regista. Lo dicono i numeri, che ci dipingono meglio la sua figura. Allo Stade Rennais ha toccato il record di tentativi di intervento in 90 minuti (5,7 a partita, di cui 3,5 riusciti). Nonostante debba migliorare nella copertura degli spazi, è sempre spasmodicamente alla ricerca del pallone con aggressività, e le leve lunghe gli permettono di arpionare la sfera anche in condizioni al limite, ad esempio quando l’avversario sembra averlo già lasciato sul posto.

Da bambino (non troppo tempo fa) preferiva il judo al calcio, e forse la sua elasticità difensiva deriva dal background delle arti marziali. Considerando che fisicamente si ispessirà, immaginiamo che il suo corpo unito a questa particolare caratteristica lo porterà ad essere uno dei migliori centrocampisti di rottura in giro per l’Europa. Ma lui sarà anche di più. 

Oggi gioca in coppia a centrocampo, soprattutto come centrocampista difensivo. Rompere il gioco, però, è solo un parte del suo lavoro. Camavinga è già leader tecnico, colui che detta le condizioni d’esistenza dei principi tattici da seguire: registra il gioco muovendosi col pallone o solo con il corpo. Imbecca gli attaccanti, e, anche non toccando una quantità elevata di palloni a partita, quando lo fa è estremamente preciso. Nella partita contro il PSG, alla quale facevamo riferimento prima, su 41 passaggi ne sbagliò solo uno. Se non può lanciare fa girare.

Certo parliamo di un giocatore giovane e gli entusiasmi vanno tenuti a bada, soprattutto in un tempo in cui possiamo emozionarci pensando ad un futuro che speriamo diverso da ciò che stiamo vivendo. Soprattutto quando tanti anni a venire possono inficiare sulla sua maturità, sul suo successo.

Però sperare in lui fa piacere come una musica.

Nato in Angola, e trasferitosi in Francia ad un anno, da bambino perse la casa in un incendio. Sappiamo che suo padre un giorno gli disse: “Eduardo, tu sei la speranza della famiglia. Sei tu che ci aiuterai ad alzarci". Vogliamo che si avveri, vogliamo aspettare quel giorno per vederlo scorrazzare in uno stadio pieno di gente, un giorno in cui ci saremmo rialzati tutti e potremo cantare insieme.

Future nostalgia.