“Di notte, come i ladri”  ha scritto qualcuno sui social. Di notte come, effettivamente, qualcuno che scappa, si è materializzata la rottura tra gran parte delle big del calcio europeo e il calcio stesso. Il calcio tradizionale, quello che, ad impressione, conoscevamo fino a ieri.

Il 19 aprile 2021 avrà un prima e un dopo
È una data, quella del 19 aprile 2021, che non dimenticheremo facilmente, segna il guado, ha la potenza di una deflagrazione, di un reato, avrà un prima e un dopo come i maggiori eventi della storia. Almeno, sicuramente, della storia dello sport, del tifo e dell’appartenenza.
Nasce la Super Lega, una competizione paventata, desiderata, voluta e alla fine realizzata dall’èlite del calcio. Stringendo i tempi potremmo averla sulle nostre Tv o App già in estate, con buona pace di tutte le competizioni che solo fino a qualche giorno fa ci toglievano il fiato. 
PSG e Bayern Monaco, ad esempio, mercoledì scorso si affrontavano per un titolo che sarà tra qualche mese obsoleto, vecchio, un cimelio. Oggi conoscendo i club fondatori della nuova massima competizione europea e chi, per il momento, ha negato la sua presenza, ovvero proprio le francesi e le tedesche, vieni quasi da pensare che quel quarto paradisiaco al quale abbiamo assistito fosse una dimostrazione, una difesa inutile della contemporaneità e del fascino dello status quo.

I carnefici sono diventati vittime
Quando si accende una scintilla, però, è quasi sempre troppo tardi per tornare indietro. Il progetto di una Super Lega era in fase embrionale da tempo, la gestazione si è velocizzata e finita prima del dovuto causa Covid, ma era inevitabile, naturale. La meraviglia degli organi istituzionali calcistici è finta, è soltanto un patetico tentativo di legittimarsi intorno al ruolo di vittime, dopo aver vestito quello di carnefici per anni. La stessa voce grossa venuta fuori dalle gole o dai comunicati non fa rumore, se non dal punto di vista mediatico. Ne sentiremo l’eco legale, ma non avrà la forza di lasciare il segno perché gran parte di quella forza (ben dodici top club) è in fuga.
Ha il valore di un “ti licenzio” del capo, quando in realtà ti sei già dimesso. Di un ruggito che diventerà latrato.

Il Blame Game
La verità è che il calcio viaggiava su due binari differenti da troppo tempo. E la differenza tra i treni che si muovevano su quelle due linee parallele superava di gran lunga quella che intercorre tra un InterCity e un TAV. Se vogliamo fare un paragone coerente i termini potrebbero essere: regionale e Chūō Shinkansen. Controllate le classifiche dei fatturati, poi quelle sportive, e vi accorgerete che i miracoli non fanno più per questo sport, si sono estinti i Davide, ed è tutto un Golia contro Golia da tanto tempo. 
È qui che il blame game, tra i reggenti e i secessionisti, cominciato da qualche ora vive di una fazione anacronista e fuori da quello stesso mondo che avrebbe dovuto governare. La separazione è frutto della mancanza di visione strategica da parte del management di FIFA e UEFA, arrivate a questo punto per contrarietà e non per scelta, sole, invece che da portabandiere di un movimento che avrebbero dovuto guidare, magari con l’opportunità di salvaguardare il valore di inclusività, oggi difeso ma nella maniera errata, dalla parte sbagliata del muro.

I conti dell’oste
Marco Belinazzo sulle pagine del Sole24Ore scrive che l’NFL americana ha 300 milioni di tifosi nel mondo e fattura a livello televisivo il doppio della Champions League, seguita da almeno 3 miliardi di appassionati. Non serve uno scienziato o un professore per capire che qualcosa non ha funzionato nella valorizzazione del più prestigioso torneo calcistico internazionale, che troppi sono stati i guadagni di pochi, troppe le riforme mancate e le occasioni perse. Poco sarebbe cambiato con il nuovo format in arrivo nel 2024.

Alle sei squadre di Premier (Chelsea, Arsenal, Tottenham, Liverpool, Manchester United e City), alle tre squadre di A (Juventus, Inter e Milan) e alle tre spagnole (Real, Barça e Atletico) è bastato fare i conti come un oste qualsiasi per carpire il futuro. Futuro che quando parliamo di aziende fa rima sempre con maggiori ricavi. Erano circa 3 miliardi quelli promessi da Champions ed Europa League per i prossimi anni, 5/6 miliardi nel breve termine, 10 nel medio, sono quelli promessi invece dalla Super Lega.

Una Super Lega che si farà e nulla potrà fermarla, né il rischio di una causa né quello di una estromissione dai campionati, questi ultimi richiamati seriamente a ripensare ai modelli di sviluppo e di esistenza del “pallone” nazionale che di certo non potrà fare a meno delle squadre su citate per non andare incontro ad un crollo definitivo dell’interesse e dei fatturati. La Serie A contava a fine 2019/2020 circa 25 milioni di tifosi totali, dei quali il 64% di fede bianconera, nerazzurra e rossonera. Vien da sé che la mancanza dei tre club di Torino e Milano renderebbe il campionato inappetibile per qualsiasi stakeholder, praticamente dal valore pari allo zero.

La giovane era contemporanea dello sport professionistico
Il calcio è cambiato ma il calcio non è solo che un piccolo mondo parte di un universo che lo contiene, in continuo mutamento. Un universo che è condannato ad andare avanti e non ha per sua natura coscienza, elimina senza pietà ciò che non sopravvive o semplicemente non serve più. 
Lo sport professionistico a più alti livelli è già nella giovane era contemporanea della estrema globalizzazione, della fruizione smart, dell’entertainment, del bandwagoning e dell’amore senza restrizioni, senza alcun vincolo di territorialità, lontano dalla antica lettura superficiale e semplicistica ancorata al senso di appartenenza che ci lega ad un club.
L’approccio latino al tifo ha perso contro la sua versione atlantica. I nuovi appassionati restano circoscritti agli eventi sportivi in senso stretto, senza identificarsi pienamente con i team 24 ore su 24, e dunque risultano più suscettibili a una fidelizzazione che varca i microcosmi locali.

Il resto è questione di prospettive
Il funerale del campanilismo e del tifo come senso di affiliazione è stato già tenuto, ma non è altro che il frutto di un cambiamento socio-culturale di cui bisognava prendere coscienza forse prima. C’è chi finalmente l’ha fatto e chi non lo può sopportare, perché il futuro solitamente arriva prima che si sia preparati a riceverlo. Il resto è questione di prospettive, che possono essere nostre o meno.

Il calcio che sarà è arrivato. Il calcio è specchio dei tempi. A noi resta solo la possibilità di disquisire in merito all’etica che lo guida. Se questa ci sorprende, allora, è il primo passo per venir fuori dalla caverna e dentro al degrado dei valori morali che viviamo più o meno inconsciamente.