Ritorno a Superga. E' il 4 maggio del 2022. Da quanti anni vengo su al Colle in questi primi giorni di Maggio? Molte volte sono stato alla Messa del pomeriggio, con i giocatori e le allegre, o meno, brigate di ragazzi con le bandiere, i megafoni ed i fumogeni. Altre volte, sono stato da solo nei ritagli di tempo, tra il lavoro e la possibilità di scappare. Spesso nell'intervallo del pranzo, con la macchina scassata e trovando la chiesa chiusa. Questa volta ho scelto la cremagliera, il trenino storico che parte da Sassi e va alla Basilica. Per il turista è un'esperienza bellissima, per i cuori emozionati dei bambini e dei granata qualcosa di più. Il trenino sale verso il cielo, su pendenze importanti, lasciandosi dietro tutta la città, che appare, nella piana, attorniata dalla corona intera delle Alpi e frastagliata dal Po, dalla Dora e dalla Stura, i tre fiumi che giungono a valle proprio lì, sotto il Colle. Questo viaggio ha qualcosa di magico (come tutto a Torino) e il vecchio trenino ha il potere di tuffare il viaggiatore nel tempo. Si arriva in cima attraversando il bosco, disturbando caprioli e cinghiali, superando buie gallerie e salendo vertiginosamente. Tutto, sempre, come nella vita, difficile, interessante, emozionante e coinvolgente. Ma è un viaggio che, nella memoria di chi ha vissuto la tragedia (sono pochi ma ci sono ancora) e in quella di chi l'ha solo sentita raccontare, porta verso il dolore, il rimpianto, lo stupore del vuoto e del tremendo giudizio del destino. La vita, dicevo.

Ritorno a Superga, parlo con amici e fratelli granata. Non è più come un tempo, certo. Ora sono quasi vecchio anche io e non vedo più molti occhi arrossati dal pianto, c'è ancora un respiro potente, ma è inquinato dai selfie e da troppi anni di nulla, di sistematico allontanamento. 

Non importa. Quando sono qui immagino sempre di scendere nella scarpata sotto la lapide, di perdermi nella fitta boscaglia, di scivolare nel fango, nella pioggia furiosa dei temporali di maggio. Immagino di trovarmi in un cespuglio di rovi e raccogliere un pallone. Un pallone di cuoio, di quelli vecchi, marchiato "Mazzola", un po' bruciacchiato e sgonfiato dagli anni e dal dolore, perso nel bosco, scivolato quel giorno dall'aereo schiantato. 

Immagino. Non per me, per un popolo intero. Chi non è mai venuto a Superga, chi non ha mai fatto la passeggiata (il pellegrinaggio) verso la lapide, verso quel muro dove si è schiantato l'aereo, non può capire, ma può immaginare. Si resta soli, con il cielo che piange (piove sempre di Maggio sul Colle) gli Immortali, gli accompagnatori e i tre giornalisti sportivi più famosi del tempo Cavallero, Tosatti e Casalbore. Il pilota, Meroni, era stato un eroe di guerra, non era certo uno sprovveduto. Ci hanno pensato le nuvole, la nebbia e il temporale furioso, quel giorno. E ci pensano oggi, a non fare vedere le lacrime di chi, settanta tre anni dopo, viene ancora a piangere sul Colle, nel ricordo degli Immortali, degli uomini, dei ragazzi, dei padri e dei figli, dei componenti di una squadra che, più di tutte le altre, aveva riunito i cuori d'Italia travolti dalla guerra.

Lascio rotolare il pallone, nel sogno, di nuovo nel bosco. Verranno ancora su al Colle. Qualcuno potrà ritrovarlo.

Clay Mc Pant's