Ammettiamolo. Nonostante una grande passione sportiva alberghi nelle nostre anime noi, gli Italiani medi, ci esaltiamo particolarmente alle vittorie dei nostri connazionali, godendo moltissimo delle disgrazie degli altri. Tutti sono così. Noi ci improvvisiamo abitualmente grandi conoscitori dello sport in cui il nostro connazionale vince (qualche volta capita), foss’anche il torneo a squadre di Curling sull’erba, o il campionato di lancio del tronco, tanto da criticare per scarso impegno anche Berrettini in finale a Wimbledon. Gli Italiani tifano a mille gli sportivi italiani impegnati nelle competizioni da sempre, e dopo aver assistito agli Europei di calcio, sono certo (nonostante l’aplomb nordico di alcuni benpensanti) che ogni cittadino del mondo ha una particolare predisposizione a tifare gli atleti che rappresentano i colori della sua Nazione. Tutto ovvio.

Troppo ovvio da quando qualsiasi competizione sportiva è stata trasformata in una sfida epocale, in una guerra da combattere su un terreno da gioco e non in un campo di battaglia. Poche sono le occasioni per dimostrare orgoglio per la propria nazione e per i connazionali se non durante la partita (di calcio, di bocce, di freccette). Già nelle Olimpiadi dell’Antica Grecia accadeva qualcosa di simile e forse gli storici accademici non hanno ben compreso cosa realmente succedesse nelle Arene Romane, dove il prestigio dei Gladiatori era tale da provocare addirittura rivolte popolari in loro nome ed al loro seguito. La gente nel Medioevo moriva giovane, ma non disdegnava di organizzare tornei o combattimenti feroci tra città (direi paesini) vicine più per sport e per definire faide familiari che per necessità di conquista. L’arrivo delle armi da fuoco, dello sterminio provocato in battaglia dai cannoni e dalle esplosioni, la diffusione del Gas asfissiante hanno generato una rivalsa. Aiutato dall’amara considerazione che pochissimi generali tenevano in mano il destino di milioni di uomini e che, con la forza del pensiero, un pulsante avrebbe potuto distruggere intere città nemiche, lo sport è tornato ad essere la vera sfida tra fisica tra gli uomini. Da qui si può comprendere il tifo sfegatato per le Nazionali di Calcio, per i campioni del ciclismo e per i rappresentanti nazionali in ogni competizione, senza fare una colpa al tifoso, senza caricarlo di responsabilità oggettive o di rimorsi atavici.

Guardando una tappa del Tour de France si può percepire quanto, ancor più che nel calcio, questo sia, penso, reale. Innanzi tutto, il mezzo televisivo ha centuplicato, direi miliardizzato, il pubblico dello sport, entrando nelle case di tutti (donne e uomini sedentari, sportivi, malati, menefreghisti), coinvolgendo nella battaglia lo spettatore in modo sempre più intrigante. Capita così che pur avendo ricordi vaghi e non certo piacevoli dell’ultima scampagnata in bici, ci si ritrovi a immaginare di pedalare con i fuggitivi. Se nel gruppo poi, cosa che succede raramente di questi tempi, c’è un italiano, allora si entra in trance agonistica, si lotta, si diventa allenatori, massaggiatori, esperti di alimentazione e di tattica mentre quel poveretto (si fa per dire) arranca sulla salita facendo sforzi che porterebbero all’infarto in pochi secondi almeno il settanta per cento degli spettatori. Questo succede con tutti gli sport. Abbiamo visto la Nazionale di Mancini trasformare le nostre notti di giugno e luglio, e alzi la mano chi non si è sentito un po’ Fantozzi, e non solo per la frittatona di cipolle, durante le partite (il tiro di Rashford dopo la danza ci ha fatto esclamare nel buio “Chi ha fatto palo?”). E fra poco inizieranno le Olimpiadi. Visto il fuso orario, dovremo passare qualche notte in bianco a seguire le gare e ci troveremo tutti appassionati di sport di cui non conosciamo nemmeno l’esistenza. Ma va bene. La retorica del tutto perfetto, del politicamente corretto che impone un tifo imparziale e condiviso, sarà, come al solito, superata dai fatti. Seguiremo i nostri, facendo un tifo indiavolato e mandando accidenti agli avversari come al solito. Ma non credo sia un male, o qualcosa di antisportivo. Perché lo Sport, oggi, è una grande industria che ha i suoi guadagni e le perdite, che è frequentata e gestita da persone onestissime ed altre meno, che si mantiene con mezzi discutibili come il mondo delle scommesse ma che sa ancora dare emozioni forti sia ai protagonisti che agli spettatori. Forza. Accendiamo il televisore, andiamo allo stadio o sulla strada all’ultimo tornante, andiamo al palazzetto o all’autodromo nella speranza che il motore in fiamme non sia sempre quello della Rossa. Tifiamo, ridiamo e arrabbiamoci.

Almeno non pensiamo al resto.

Clay Mc Pants