E’ difficile smettere di giocare a calcio anche quando sei un trentanovenne e non hai più nulla da dimostrare a nessuno. Soprattutto dopo che sei riuscito a vincere tutto quello che c’era da vincere, nel campionato più competitivo del mondo, dopo che hai giocato tre mondiali con il tuo paese, l’Argentina, e ti chiami Roberto Nestor Sensini e sei stato uno dei giocatori più iconici del nostro calcio tra la metà degli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio. Nestor è entrato di diritto nella storia della serie A e lo ha fatto in punta di piedi, con la schiena dritta, in assoluto silenzio e sempre con la solita concretezza che lo hanno contraddistinto nell’arco di tutta la sua carriera. Mai una parola fuori posto, mai una mossa sbagliata, mai un muso “lungo”, perché Sensini non lo si “notava” ma c’era, eccome se c’era: una volta lo vedevi fare il terzino, l’altra il mediano davanti la difesa e l’altra ancora il centrale difensivo, uomo ovunque e per chiunque sempre e solo a servizio dei suoi compagni di squadra e dell’allenatore di turno. Silenzioso, non molto propenso alla notorietà ma “dannatamente” concreto come pochi, un leader nato, un grande uomo spogliatoio, un vero e proprio Jolly a tutto campo a cui “quasi” nessun allenatore ci ha mai saputo veramente rinunciare. Un uomo con la “garra” dentro e fuori come lui, avrebbe fatto comodo a tanti ma ha scelto, di consacrarsi in “provincia” dove è diventato un “eroe” per se stesso e soprattutto per i suoi tifosi che lo hanno sempre amato e sostenuto. Nonostante la duttilità, il suo modo di interpretare il calcio non ha mai perso di qualità, nemmeno nel primo periodo “italiano” all’Udinese, dove ben presto ne diventerà il leader assoluto, anche se alle prese con un “football” ben differente rispetto a quello della Primera division. Nemmeno in quell’Argentina piena zeppa di campioni, dove spiccava un certo Maradona, e giovani promesse del calibro di Gabriel Omar Batistuta, dove le soddisfazioni saranno tante, anche da capitano, ma come altrettanto amare saranno le sconfitte. Un calciatore completo, un vero e proprio Jolly d’acciaio che ha saputo sempre mettere di lato, in silenzio, la gloria personale per il bene della squadra.

GLI INIZI 

Nestor Sensini è un classe 1966, per 178 cm di altezza nato a pochi chilometri da Rosario ed esattamente a General Lagos, una piccola cittadina di 4000 abitanti, dell'entroterra argentina dove tutto ebbe inizio. Nella sua vita il calcio c’è sempre stato, un amore sconfinato per quella piccola sfera rotonda dal quale non riuscirà mai a staccarsi veramente anche quando prenderà la decisione di appendere le scarpette al chiodo, ancora una volta non per sé stesso ma per il bene degli altri. Nestor aveva il pallone nel sangue non ci rinunciava mai sia prima di andare a scuola che soprattutto dopo ma anche quando era tempo di ritornare a casa. Di sacrifici prima di arrivare a certi livelli ne ha fatti tanti, oltre ai duri allenamenti, si divideva tra studio e lavoro dando una mano nel distribuire i prodotti per il negozietto di alimentari della sua famiglia e per arrotondare alle volte faceva anche il barista. Come è successo a qualsiasi altro bambino del mondo, quando calciava il pallone sul prato, si sentiva libero ma soprattutto felice. D’altronde a General Lagos, si giocava a calcio tutto il giorno: prima, dopo e durante la scuola. Erano tempi difficili, si “costruiva” un pallone improvvisato con tutto quello che si riusciva a trovare per strada l’importante era riuscire a giocare. Per allenarsi, tutti i giorni doveva fare un paio di chilometri a piedi per prendere il bus con destinazione Rosario, distante ben venti chilometri da casa sua e lo stesso percorso doveva rifare al ritorno arrivando completamente sfinito. Ma gli enormi sacrifici non saranno stati vani

Infatti muoverà i primi passi nella piccola squadra del suo paese, il Club Libertad di General Lagos dove ben presto spiccherà per talento e dedizione. Caratteristiche che non lasceranno affatto indifferenti gli osservatori del Newell’s Old Boys. I “Lebrosi” di Rosario durante un torneo giovanile, lo “vedono”, lo osservano e di fretta e furia lo tesserano convinti di poterne fare un giorno un grande calciatore. È così sarà, Sensini inizialmente si formerà nelle prestigiose giovanili del Newel’s, fucina di talenti, dove nel frattempo c’era un certo Marcelo Bielsa a dirigere gli allenamenti. Tuttavia sarà il tecnico José Yudica a lanciarlo in prima squadra, facendone ben presto uno dei perni sul quale blinderà il successo nella vittoria del titolo del 1988 oltre a raggiungere la storica finale di Copa Libertadores persa poi con gli uruguagi del National De Montevideo. La sua carriera al Newell’s iniziò come terzino, sinistro nonostante non fosse un mancino naturale ma la sua duttilità la deve a Carlos Bilardo, allenatore dell’Argentina, che gli ha inculcato l’importanza di saper ricoprire più ruoli, schierandolo in tante posizioni diverse, come un’arte che gli si rivelerà molto importante nell’arco della sua lunga carriera italiana.

L'ARRIVO IN SERIE A 

Nel 1989, dopo tre anni trascorsi tra le fila del Newell’s Old boys, nell’estate di quello stesso anno Marino Mariottini, direttore sportivo dell'Udinese, lo venne ad osservare in Copa America in Brasile con la maglia dell’Argentina. Nestor voleva andare a giocare in Europa a tutti i costi, l’Italia aveva il calcio migliore e la Serie A era il campionato più difficile e prestigioso del Mondo. Fu così che Sensini prese la “palla” al balzo è firmó per i friulani, insieme al connazionale, amico e compagno di squadra Abel Balbo. C’era una sorta di spasmodica attesa per questo giocatore dotato di tanto cinismo e molto carattere infatti, Nestor, era un mediano, gli piaceva giocare soprattutto davanti alla difesa, ma grazie agli insegnamenti del suo maestro Bilardo, sapeva ben ricoprire alla perfezione anche tutti gli altri ruoli del reparto difensivo. La sua duttilità lo porterá ben presto, durante il suo primo quadriennio friulano, a diventare un leader, nonostante sarà costretto a pagare lo scotto di una dolorosa retrocessione in serie B alla prima stagione in serie A. Ma lui è sempre stato abituato a lottare per conquistarsi la gloria a suon di sacrifici, e per questo non si abbatte, rimane a Udine, in cadetteria, dove si forma come uomo ma soprattutto come calciatore, riuscendo a riconquistare la Serie A soltanto due stagioni dopo. Una volta tornato nel calcio dei “grandi”, rischia subito di ritornare nel purgatorio dei cadetti, ma il suo grande spirito battagliero lo porteranno a dare un grandissimo contributo, nello spareggio salvezza del 1993 contro il Brescia, dove con una sua prestazione sontuosa, risulterà essere determinante. Infatti marcherá in maniera asfissiante, senza fargli toccare letteralmente palla, nientemeno che uno dei più forti attaccanti rumeni della storia del calcio nonché ex giocatore del Real Madrid, Gheorghe Hagi, trascinando così l’Udinese e i suoi compagni verso una meritata salvezza.

Era chiaro ormai a tutti che Sensini fosse pronto per il grande salto, infatti a forza di grandi prestazioni non passò molto affinché una squadra ambiziosa come il Parma si fosse interessato a lui per completare il proprio reparto difensivo a causa dell’infortunio occorso al belga Robert Grun. Con i ducali vive anni splendidi fatti di grandi soddisfazioni, con due Coppe Uefa, una Supercoppa Europea ed una Coppa Italia messe in bacheca, e tante delusioni come l’amara sconfitta in finale di Coppa delle Coppe contro l’Arsenal e i diversi scudetti sfiorati ma mai vinti sempre ad un passo dal traguardo. Rimane a Parma fino al 1999, anno in cui Alberto Malesani, allenatore dei ducali, non lo considerava più un pilastro fondamentale su cui forgiare la sua squadra, così dopo tanti anni di sudore e fatiche, si trasferisce alla Lazio, voluto fortemente da uno che di grandi giocatori se ne intende, come l’allenatore svedese, Sven-Goran Eriksson. A Roma rimane una sola stagione arrivando in una squadra “mostruosa” con tanti connazionali argentini come Almeyda, Simeone e Juan Sebastian Veron. Nonostante la concorrenza di grandissimi difensori come Nesta, Fernando Couto e Mjahilovic, Sensini giocherà molto soprattutto da mediano collezionando 24 presenze in campionato condite da 1 rete, riuscendo nell’impresa di vincere lo scudetto, trofeo a lungo inseguito e solo sfiorato in Emilia con il Parma. Il coronamento di una carriera, un sorta di rivincita, proprio in quello Stadio Olimpico che solo dieci anni prima gli aveva giocato un destino beffardo, privandolo del sogno mondiale delle “Notti Magiche” contro la Germania.

LA NAZIONALE 

A soli ventun anni, nel 1987 il Ct Carlos Bilardo lo ha aggregato alla Seleccion, facendolo esordire il 16 dicembre in occasione di un’amichevole tra Argentina e Germania Ovest. Da quel momento in poi con la maglia albiceleste, giocherà tre mondiali (1990, 1994 e 1998), sarà capitano della Seleccion (dal 1998 al 2001), vincerà due volte la Copa America (1991, 1993), otterrà la medaglia d’argento alle Olimpiadi ’96 e collezionerà 50 presenze in tutto. Ha avuto dunque le sue grandi soddisfazioni ma sicuramente il rimpianto piú grande sarà senza ombra dubbio il Mondiale del 1990, quando Sensini giocherà da titolare soltanto la prima partita contro il Camerun, per poi accomodarsi in panchina fino alla finale di Roma contro la Germania Ovest. È proprio lui che con un fallo molto discusso e soprattutto dubbio su l’attaccante tedesco Rudi Voller, causerà il calcio di rigore che sblocca il match, consegnando di fatto la Coppa del Mondo alla Germania.

IL FINALE DI CARRIERA 

Oltre allo scudetto, con i laziali, vincerà anche un Supercoppa e una coppa Italia prima di fare ritorno al Parma, in un scambio con Dino Baggio. Però è un Parma molto diverso quello che ritrova Sensini rispetto a quello che aveva vissuto negli anni novanta, molto rimaneggiato e che non vive più i fasti di un tempo ma ciò nonostante, riesce a imporsi sempre come un giocatore importante, mettendo in bacheca un’altra Coppa Italia prima di fare ritorno, nel 2002, dove tutto ebbe inizio in Serie A e cioè nuovamente all’Udinese. Squadra con cui, tra mille infortuni, “El Bocón” chiuderà la carriera nel gennaio del 2006 a quasi quarant’anni, sarà il giocatore più anziano a giocare una partita di serie A record poi battuto dal connazionale Javier Zanetti. Una stagione, la sua ultima da calciatore, molto tormentata dagli infortuni ma anche dai pessimi risultati sul campo, maturati dai bianconeri. Ma per il bene dell’Udinese, dei suoi compagni e come segno di riconoscenza, ancora con l’anima da calciatore attaccata sulla pelle e dopo quasi 400 presenze in Serie A, Pozzo gli offrirà la panchina bianconera per subentrare a Serse Cosmi, facendo da assistente a Loris Dominissini poiché ancora senza patentino da allenatore. Le cose non andranno come sperato, Sensini resterà molto deluso da quell’esperienza e sicuramente con il senno di poi non avrebbe mai accettato quell’incarico perché non era ancora pronto soprattutto mentalmente.

Ma la sua storia ci insegna che quando le cose vengono fatte con cuore e sentimento non possono mai essere delle scelte sbagliate al di là di come poi vanno realmente. Nestor oggi avrebbe molto da insegnare ai calciatori moderni, sarebbe il prototipo perfetto che tutti gli allenatori vorrebbero nella propria squadra, quel leader che trascina il gruppo in campo soprattutto nelle difficoltà. È giusto che le nuove generazioni imparino dal passato, perché la morale sta nel fatto che nessuno ti regala niente, neanche in un mondo privilegiato come quello del calcio, la storia di Nestor Sensini, in questo senso, è l’esempio perfetto di colui che ha sempre posto davanti il bene del gruppo alla sua persona.
Per fare questo bisogna essere degli uomini di ferro, dei grandi combattenti, in una parola sola un Jolly d’Acciaio.

Ciccio