A distanza di due settimane dalla finale della Coppa del Mondo in Qatar, dopo il lunghissimo confronto tra Messi e Maradona, è giunto il momento, a bocce ferme, di dare un taglio definitivo a questo amletico dubbio.
Come ben sappiamo, dopo oltre 120 minuti vissuti ad altissima intensità è l’Argentina, è il popolo argentino, ma soprattutto è Messi ad alzare al cielo la Coppa, contro una grande Francia, dopo 36 anni dall’ultima volta. Una vittoria al cardiopalma, un trionfo che beatifica la carriera di un grandissimo fenomeno capace di vincere tutto quello c’era da vincere, battendo record su record come fossero caramelle per un bambino.
La retorica questa volta sarà costretta a farsi da parte e a furia di invocarla ci si finisce sempre per cascarci come è normale che sia quando i paragoni tra divinità cominciano a sprecarsi. Già appunto, proprio la stessa “retorica” con cui Leo Messi è stato costretto a relazionarsi da sempre nel corso della sua stratosferica carriera. Perché vedete, la "Pulce" argentina è arrivata  al Mondiale con l’insopportabile peso di non essere al pari del giocatore più forte della storia del calcio che di nome faceva Diego. Gli è stato chiesto di dover alzare al cielo la Coppa, ma badate bene, non per consacrare la sua grandezza da fuoriclasse assoluto o per fare sprizzare gioia da tutti i pori al popolo argentino, no, Messi doveva vincere per “scacciare” finalmente l’ingombrante “ombra” del dio del calcio argentino, Diego Armando Maradona. 

Un pesante fardello che ha assunto ben presto le sembianze di un grandissimo paradosso, poiché questa ideologia suggerisce che il calciatore più forte degli ultimi vent’anni possa essere accettato da tutti per quello che è soltanto se in grado di rinnegare se stesso, perché non è riuscito ad essere al “pari” di qualcun altro. Un paragone, una similitudine, che in verità non può avere un vero e proprio confronto, poiché Leo non potrà mai essere Diego né in questa epoca calcistica né forse in un'altra, perché semplicemente Messi rappresenta il suo esatto opposto.
Il calcio di Lionel è frutto di un talento costruito in una delle squadre più forti che il Mondo abbia mai potuto ammirare come il Barcellona, il che ha impedito alla “pulce” di diventare un vero e proprio mito popolare, come lo era Maradona per Napoli, ma soprattutto per il popolo argentino. Per l’Argentina Diego non è stato soltanto un dio da venerare e idolatrare, è stato un profeta come una specie di Mosè capace di aprire le acque per guidare il suo popolo verso la terra promessa, un idolo da seguire, colui che ha permesso a tutti di vivere un sogno ad occhi aperti che andava ben al di là del campione in se stesso.
Il calcio era soltanto uno strumento, il mezzo attraverso il quale Maradona muoveva le masse con il suo modo di fare arte, poiché per tutti Diego è stato un generatore di speranza, quella speranza di uscire da un contesto sociale difficile come era riuscito a fare lui inseguendo il suo sogno con un pallone tra i piedi. 
Al contrario, invece, Leo per tanto tempo è stato quasi visto come un corpo estraneo nella sua patria. A dodici anni ha dovuto lasciare, giocoforza, l’Argentina per trasferirsi a Barcellona, sicuramente un addio prematuro per un ragazzino di quell’età, ma soprattutto molto doloroso, che ha sottolineato purtroppo come il suo paese non è stato in grado di dare ad uno dei suoi figli le cure necessarie per rimanere e iniziare a vivere il suo sogno nella sua terra.
Messi non è stato l’espressione del fútbol sudamericano dell’Argentina degli anni Ottanta e Novanta, ovviamente per ragioni anagrafiche, ma bensì il simbolo del tiki-taka catalano, della tecnica feroce del gruppo, che hanno rivoluzionato il calcio del nuovo millennio.
Per questo motivo ogni volta che ha vestito la maglia del suo paese, Leo è sempre stato visto con diffidenza, quasi come se si trattasse di un fuoriclasse appartenente ad un altro popolo, ma non di certo a quello argentino. Ha dovuto conviverci per molto tempo, almeno fino a quando non è riuscito a sollevare la Copa América con la sua nazionale.
Eppure non è bastato nemmeno quel traguardo per essere almeno pari alla figura di Maradona, perché Diego ha trascinato alla vittoria un club di “provincia” come il Napoli, lui non può dire di averlo fatto, Diego ha dato la possibilità ad una città del sud di porsi allo stesso livello dei potenti. Messi invece è stato bandiera di un grandissimo Barcellona, infarcito di campioni ed economicamente superiore a tantissimi club del pianeta. Diego ha sempre lottato apertamente contro i poteri forti e soprattutto contro la Fifa, forse pagando anche troppo con la “vergogna” della dubbia squalifica per doping del mondiale del 1994 negli Stati Uniti. Leo quei poteri forti non li ha mai combattuti, ma ha finito per farne parte, soprattutto nell’era post-Barcellona, dove aveva la possibilità di trascinare con le sue giocate un club di fascia medio-alta invece ha scelto e accettato i petrodollari del Psg per rimanere proprio tra i “potenti”.

Messi non potrà mai essere Maradona e non solo perché si tratta di epoche calcistiche diverse in cui il calcio è cambiato repentinamente, ma soprattutto perché Leo e Diego sono uno l’opposto dell’altro.
Diego ha potuto essere calciatore capopopolo in un calcio più lontano dalla cultura moderna e soprattutto libero dai preconcetti, mentre Messi è figlio propriamente di quella modernità e dell’evoluzione in cui il calcio si è orientato nel nuovo millennio. Il miglior calciatore di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, messo a confronto con un genio “tascabile” e altrettanto formidabile capace di cambiare il calcio negli ultimi vent’anni proprio come il suo più grande predecessore.
Come dicevamo, retorica e ancora retorica, perché nessuno potrà mai eguagliare Diego, come nessuno supererà mai i record e i numeri di Messi, ma una cosa è certa, Diego sarà felicissimo di essere da lassù, ancora una volta, campione del mondo.

Ciccio