St. James Park e Gosforth non sono molto distanti tra loro, appena 2,8 miglia di distanza l’uno dall’altro, questo significa che essere dei tifosi del Newcastle United, squadra che gioca nell’impianto di Barrack Road, rappresenta quasi un obbligo per chi lavora in fabbrica e vive nei pressi di quel quartiere. Alan crebbe proprio lì, nel piccolo sobborgo operaio di Gosforth nei pressi della periferia povera di Newcastle, il padre, Alan senior, da buon operaio, non lo vedeva “affatto” pronto per un gioco come il calcio tant’è che gli fece provare, sin da piccolo, il golf.
Alan però dopo aver provato qualche “buca” non ne voleva proprio sapere di quel particolare sport poiché si accorse che a lui non piaceva affatto il dover lanciare una piccola pallina con una mazza di ferro dentro una minuscola buca, ma a lui piaceva il pallone di cuoio che si “calciava” con i piedi dentro la porta di un campo da calcio con l’odore dell’erba appena tagliata . Non passerà molto tempo, infatti, affinché il “football” entri ben presto a far parte della sua vita.
Come ogni tifoso che si rispetti, il piccolo Alan si innamorerà del pallone recandosi allo stadio per guardare le partite del Newcastle, infatti la sua prima volta al St. James’ Park fu, un’esperienza così unica, un qualcosa di talmente straordinario, tanto da sentirsi parte integrante di quella tifoseria e di quei calciatori in mezzo al campo. Emozioni che fino a poco tempo prima aveva potuto provare solamente dalla TV, non esattamente la stessa cosa per un ragazzino innamorato del pallone. Fu talmente catturato da quell’incredibile esperienza che nella stessa giornata, appena fuori dallo stadio, in cerca di un autografo dei suoi miti, fece una promessa a se stesso: un giorno o l’altro, sarebbe riuscito ad indossare la casacca bianconera del Newcastle con il numero nove sulle spalle.
Avrebbe provato, ad ogni costo, ad indossarla un giorno, non solo perché vi era nato e cresciuto ma anche perché quella maglia era stata di uno dei suoi più grandi idoli, il leggendario Kevin Keegan, storica icona del Liverpool, che chiuse la sua lunga e gloriosa carriera, dal 1982 al 1984, proprio con la maglia dei Magpais.
Come detto precedentemente, nonostante le “resistenze” del padre Alan Junior preferì di gran lunga il rettangolo verde al bello e curato “green” del golf e fu proprio da questa grande passione che cominció a muovere i suoi primi passi nel football tra le fila del Wallasend Boys Club, che altri non era che un piccolo circolo ricreativo con una squadra di calcio giovanile. Qui il giovane Alan non impiegò molto tempo a mettersi in mostra tra quei vecchi campetti di periferia, infatti sin da subito si fece notare per il suo talento fuori dal comune, scommettendo addirittura con il suo “vecchio”, su quanti gol avrebbe segnato ogni qualvolta fosse sceso in campo. I gol arrivavano a raffica, da vero bomber di razza tant’è che i taccuini degli scout, di tutta Inghilterra, erano già segnati con il suo nome. Era pronto per il salto nelle giovanili di un club di prima fascia, ma nonostante le pretendenti fossero molte lui scelse il Southampton, una delle accademy più floride e rigide del paese, che nel corso del tempo era riuscita, grazie a un grandissimo lavoro di scouting e all’applicazione di regole ferree, a sfornare talenti del calibro di Matt le Tissier e Peter Shilton (per rimanere in tempi più recenti campioni come Gareth Bale, per non parlare dei vari Walcott, Oxlade-Chamberlain, Shaw, Chambers etc.).
Fondamentale per lo sviluppo della sua carriera fu l’incontro fatto con Jack Hixon, storico osservatore del Southampton, che lo volle a tutti i costi all’interno della sua accademy, facendogli firmare il primo contratto da semiprofessionista a 15 anni. Shearer ripagherà ben presto la fiducia accordatagli da Hixon: il centravanti titolare nei Saints era un certo Paul Rideout, un giocatore discreto ma nulla di trascendentale e proprio a lui affidarono il ruolo di “educatore” al giovanissimo Alan. A proposito del suo periodo di apprendistato a Southampton e di quanto fosse stato duro formarsi al suo interno, Shearer ne parlò così in un’intervista a Nobok:
«Ho pulito le scarpette dei miei compagni, gli spogliatoi, i gabinetti. Allora non mi sembrava una cosa bella, però mi ha insegnato quel po’ di rispetto che non fa mai del male a nessuno. Oggi mi guardo indietro e capisco quanto sia stato importante per me».

Dopo quel duro apprendimento e a quasi tre anni di militanza nelle giovanili dei Saints, arrivò la sua occasione, proprio Rideout si fece male e quel giorno, il 9 Aprile 1988, quasi a diciotto anni, durante il suo esordio in prima divisione da titolare contro l’Arsenal, ci mise poco tempo a incantare i suoi nuovi tifosi.
Nel primo quarto d’ora di partita approfitta di un errore difensivo avversario e di testa buca le mani del portiere rete 1 a 0. Fino a qui nulla di speciale, se non fosse che nei minuti successivi ne segnerà altri due: raddoppia il bottino personale ancora con un gran colpo di testa e nel secondo tempo si ritrova, sfruttando un’incertezza del portiere, solo con la porta spalancata; però l’aggancia male, prende in pieno la traversa con il polpaccio, ma la palla ritorna in campo e, avventandosi sul pallone, senza preoccuparsi della coordinazione, riesce comunque a far gol. È il più giovane marcatore che in Inghilterra riesce a portarsi il pallone a casa.
Nonostante le stimmate del predestinato, nei mesi successivi a quella splendida tripletta, fa fatica ad inserirsi negli schemi tattici dei Saints motivo per cui parte spesso dalla panchina senza nemmeno riuscire ad impressionare in quei pochi minuti che gli venivano concessi, così si cominciò a pensare di lui che quella partita con l’Arsenal fosse stato semplicemente un fuoco di paglia e nulla di più.

Però la vera svolta per lui arrivò nell’estate del 1991, quando Ian Branfoot prese il posto di Chris Nicholl sulla panchina dei Saints ed è lì che Shearer, a ventidue anni, si sentì finalmente al centro del progetto, disputando una stagione ad altissimi livelli, diventando, addirittura, il miglior marcatore della squadra. Con 13 gol realizzati in campionato che contribuirono, e non poco, alla matematica salvezza dei biancorossi. In quell’estate del 92, tutti volevano Shearer, ma soltanto una squadra riuscì a spuntarla sugli altri e soprattutto sul Manchester United di un certo Sir Alex Ferguson: il Blackburn Rovers. Il suo trasferimento nei Rovers rappresentò un vero terremoto all’epoca per il campionato inglese poiché la cifra sborsata dal club dell’ambizioso Jack Walker fu un record quasi 3,4 milioni di sterline; una vera e propria montagna di soldi per essere nei primi anni novanta. Tuttavia non è stato affatto semplice convincere Shearer a scegliere il Blackburn, a quei tempi l’allenatore dei biancoblu era il manager scozzese Kenny Dalglish, il quale dovette affidarsi ad una grande opera di convincimento per portare Alan a rifiutare addirittura la corte serrata del Manchester United. Mentre Ferguson preferì parlare con Shearer solo telefonicamente per convincerlo a vestire la casacca dei Red Devil's, Dalglish decise di incontrarlo personalmente per prospettargli il nuovo progetto dei Rovers . Così Alan e sua moglie Lainya (conosciuta a Southampton e sposata nel 1991) furono invitati dal manager scozzese e sua moglie Marina in un hotel vicino a Southport, in cui le signore ebbero il tempo di conoscersi a fondo facendo dello shopping tra un negozio e l’altro.
Nel frattempo Dalglish, ne approfittò per parlare con l’attaccante del Southampton e dei suoi grandi obiettivi per il Blackburn: tra cui quello di provare a vincere il campionato. Alla fine, Shearer accetta le lusinghe dello scozzese, oltre ad un ricco contratto quadriennale da circa 10mila sterline a settimana, e firma per i Rovers. Ferguson e il Manchester United rimasero con un pugno di mosche in mano, semplicemente snobbati dall’attaccante inglese.
Dopo due anni tra infortuni e risultati mediocri della squadra ma pur sempre con una grande vena realizzativa, la svolta avvenne nella stagione 1994-95, con l’arrivo dell’attaccante Chris Sutton, che insieme a Shearer comporranno una delle coppie d’attacco più forti e prolifiche della premier League, la cosiddetta SaS, (per l’appunto acronimo di Sherarer – Sutton), con un totale di 49 reti in una sola stagione, 34 per Shearer e ben 15 per il suo compagno di reparto.
Con queste premesse, le ambizioni prospettate al bomber inglese quasi tre anni prima da Dalglish vennero mantenute e il titolo arrivò incredibilmente proprio in quella stagione, dopo 82 anni dall’ultimo, a Liverpool, e durante l’ultima giornata di campionato non andando oltre però la sconfitta rimediata contro i Reds che conquistarono l’ultimo posto utile, il quinto, per un piazzamento in Coppa Uefa.
I Rovers persero ma il Manchester United, nel frattempo, non era riuscito a trionfare in casa del West Ham, già salvo, pareggiando per 1-1, punteggio che non bastò per superare gli uomini di Dalglish distanti di un solo punto. È il primo grande trionfo per Shearer da calciatore, ma non poteva mai immaginarsi che sarebbe stato anche l’ultimo della sua grande carriera professionistica. Dopo quella stagione tantissimi club erano sulle sue tracce ma rimase ancora per un anno a difendere il titolo però la sensazione è che ormai qualcosa di straordinario era stata fatto e che non si sarebbe mai più ripetuto.
Così dopo quasi quattro anni anche Alan si era accorto che fosse giunto il momento di cercare una nuova sfida. Il presidente dei Rovers, Jack Walker provò in tutti i modi a convincerlo di restare, offrendogli anche il doppio ruolo da player-manager. Ma tutte le proposte furono soltanto un buco nell’acqua perché Alan aveva già preso la sua decisone. Barcellona, Juventus, Inter, di nuovo Manchester United ma soprattutto Newcastle United, la squadra della sua città, si fecero avanti. Quando seppe dell’interessamento del Newcastle capì che era l’occasione giusta per giocare dove aveva sempre desiderato sin dà bambino, quando era soltanto un tifoso come tanti al St. James Park. Ed è più facile comprendere il motivo per cui Shearer, nonostante le lusinghe dei grandi club, accettò il Newcastle dopo che fu proprio il suo idolo da ragazzino, il manager Kevin Keegan a richiamarlo al telefono, dopo il loro primo incontro, offrendogli la maglia numero nove per convincerlo definitivamente sulla scelta da fare. Sarebbe bello immaginarsi che l’abbia fatto al di là della cifra esagerata investita dal Newcastle per il suo cartellino (15 milioni di sterline) e per il suo lauto ingaggio (Keegan, qualche anno dopo, confesserà che il suo contratto col Newcastle era arrivato fino a 25mila sterline a settimana) ciò che però fu certo e che ancora una volta finisce con Ferguson, dopo averlo incontrato stavolta, e il Manchester United nuovamente bruciati sul filo di lana grazie all’opera di convincimento fatta dall’allenatore bianconero sull’importanza di poter vestire quella maglia per un uomo nato e cresciuto a Newcastle proprio come lo era Alan.
La scelta di Shearer, in realtà, fu abbastanza semplice poiché il Newcastle era la sua vita, non avrebbe mai più cambiato squadra fino all’ultimo giorno della sua carriera.
Non riuscirà a vincere trofei ma con i magpais, si toglierà comunque le sue grandi soddisfazioni. Con i bianconeri Shearer giocherà 303 partite in premier mettendo a segno 148 reti, giocherà tante partite europee in cui metterà a segno ben 30 gol in totale diventando anche capocannoniere nell’edizione della Coppa Uefa del 2005, conquisterà il terzo titolo di capocannoniere in Premier (1997, 25 gol). E, soprattutto riuscirà, nel suo grande obiettivo, cioè quello di diventare il miglior marcatore di tutti i tempi nella storia del Newcastle e della nuova Premier League, che stava per nascere, con 441 presenze e 260 reti record che resiste tutt’oggi. Anche tante però furono le amarezze e le delusioni: come il secondo posto conquistato in Premier nel 1997, le due finali consecutive di Fa Cup perse (1997 e 1998) e i tanti piazzamenti nelle zone alte della classifica ma senza mai riuscire a conquistare un trofeo che da leggenda lo avrebbe trasformato semplicemente in un mito. Ma a lui non ha importato quasi mai nulla dei trofei, del denaro o di quello che potessero dire sul suo conto:

«Quando mi chiedono perché il Newcastle non ha vinto alcun trofeo importante, tendo a essere bloccato nella risposta. È un po’ come la storia della nazionale inglese, un mistero che non è facile risolvere. Però, quello che io ho ottenuto a Newcastle è stato inestimabile perché quando ero un ragazzino volevo giocare per il Newcastle United, volevo indossare la maglia numero 9 e segnare al St James’ Park. Ho vissuto il mio sogno e mi rendo conto solo adesso di quanto io sia stato fortunato ad averlo fatto”

Una cosa è certa: Alan Shearer è e sarà per sempre Il signore di Newcastle, figlio di un calcio che non esisterà mai più e di un amore eterno che è stato vissuto senza nessun rimpianto.

Ciccio