L’ultimo pareggio interno del Tottenham contro il Southampton ha gettato nuove ombre in merito all'operato di Antonio Conte sulla panchina dei londinesi.
In verità è già da un po’ di tempo che il tecnico salentino si trova in difficoltà in terra inglese, infatti poco più di qualche mese fa, dopo le due sconfitte consecutive interne maturate con Aston Villa e Arsenal, il pubblico di casa, proprio con i villans, aveva lanciato un chiaro messaggio ai giocatori e all’allenatore italiano abbandonando in massa lo stadio addirittura prima della fine del match. Gli Spurs, non stanno attraversando un grande momento dopo l’eliminazione prematura dalla Champions League e il rendimento altalenante in campionato, Antonio Conte, per l’appunto, non fa nulla per nascondere la sua amarezza nonostante siano ancora in corsa per un posto nella prossima Champions League:

"Bisogna essere realisti, la scorsa stagione abbiamo fatto un miracolo, adesso non è più cosi. Non ho mai detto che quest'anno potessimo essere competitivi per vincere il titolo. Se vuoi diventare una squadra che lotta per questo, devi avere fondamenta solide. E questo vuol dire avere 13-14 giocatori forti e poi ogni anno aggiungerne uno o due".

Be’ che dire non è certo la prima volta, che Conte, pubblicamente fa questo tipo di esternazioni, ormai non ci sorprende più il suo atteggiamento da leone ferito quando sente l’odore della sconfitta. Eppure la sua carriera da allenatore ci racconta che, oltre la paura di non avere i giocatori migliori a disposizione sul mercato, per lui diventa più difficile il dover accettare di continuare un progetto a lungo termine quando non tutte le componenti di una società sono disposte a seguirlo fino in fondo, come dichiarato in occasione del post partita contro il Southampton:

La storia del Tottenham è questa. 20 anni che c'è questo proprietario e non hanno mai vinto nulla. Perché? Colpa solo del club o degli allenatori? Ho visto gli allenatori che sono stati qui... Finora ho provato a nascondere la situazione, ma adesso basta. Perché non voglio più vedere ciò che è successo oggi, perché è inaccettabile. Anche per rispetto dei tifosi, che ci seguono e pagano un biglietto”

Un atteggiamento che ha cominciato a mettere in pratica pochi mesi prima di separarsi, nel pieno della preparazione estiva del 2014, con la Juventus, avvertendo un certo malessere quando palesava, con alcune esternazioni, di come non fosse possibile «sedersi con dieci euro in un ristorante da cento». Un clamoroso addio che spiazzò i tantissimi tifosi bianconeri, dopo un grande ciclo di vittorie consecutive, e che venne, di fretta e furia, giustificato da tutti con le poche “ambizioni” del club soprattutto verso l’Europa che conta. Anche se poi, i risultati successivi, con Max Allegri al suo posto, lo smentirono di fatto con la vittoria di altri sei campionati, di fila, cinque Coppe Italia, quattro Supercoppe italiane, oltre a sfiorare la Champions League per ben due volte contro autentiche super potenze come Barcellona e Real Madrid.
Un silenzio successivo al suo addio in bianconero che sarà stato, probabilmente, uno dei grandi prezzi da pagare visto e considerato che le ragioni, di quel divorzio, non furono poi neanche troppo velatamente nascoste, con l’emergere di chiare divergenze di vedute con il presidente Andrea Agnelli, con il quale, da allenatore nerazzurro allo Stadium, nel corso di un match di Coppa Italia, Conte si è palesemente mandato a quel paese.

Ma in realtà questo suo “malessere” dopo ogni singolo successo parte anche da molto più lontano ed esattamente da Bari quando trionfalmente, da allenatore emergente, anche li si era distinto con una grande promozione in serie A dopo tantissimi anni. Una serie A che però non lo vide protagonista con la squadra pugliese in quanto la separazione, per divergenze di vedute con il presidente Matarrese e l’allora ds Giorgio Perinetti, venne regolarmente consumata, poiché rei di non avergli acquistato una serie di giocatori richiesti per affrontare al meglio la massima categoria.
Così, dopo la Juventus, si giunge al capitolo Nazionale, con un gruppo qualitativamente non eccelso e caratterialmente rigenerato è stato in grado, con le sue caratteristiche da grande motivatore, di giocarsi un Europeo a testa altissima, iniziato senza grandi aspettative, battendo squadre come Spagna e Belgio, e fermato solo sul più bello dai maledetti rigori contro la Germania.
L’esperienza anche in questo caso durò poco più di un biennio, tra le mille polemiche e il clima da terra bruciata che aveva creato attorno, quando accusò tutti di averlo lasciato da solo a combattere contro i mulini al vento, i club, per sostenere la nazionale. Da qui l’approdo in Premier League nei Blues del Chelsea “abbandonati” anche qui due anni dopo aver trionfato una sola volta in campionato e sempre con la solita solfa del litigio societario, colpevole di non aver soddisfatto le sue “esose” richieste di calciomercato, nonostante per la cronaca, con la stessa squadra del tecnico leccese, l’anno dopo, il Chelsea vincerà l’Europa League, con Maurizio Sarri al suo posto.
Le brame estive pare che includessero Romelu Lukaku, suo autentico pupillo ritrovato poco tempo dopo in nerazzurro e che aveva richiesto, senza successo, anche quest’estate per la squadra londinese.

Anche all’Inter, come le precedenti avventure, arriva da “Messia”, vince, litiga con tutti e poi se ne va sbattendo la porta da falso “profeta”. Una “brutta” abitudine alla quale Antonio Conte, evidentemente, non riesce proprio a sottrarsi dopo un certo periodo di tempo. La sua continua insoddisfazione lo lascia in una lotta perenne con il mondo. Non sente il rumore dei nemici come il suo alter ego José Mourinho, ma li vede ovunque, anche laddove non ci sono. Nessun dirigente della società nerazzurra in fondo gli aveva chiesto di rivincere obbligatoriamente, a maggior ragione in vista di un ridimensionamento economico-finanziario dovuto alle difficoltà attraversate dalla proprietà cinese dei Suning.
Ma il suo proseguimento in nerazzurro doveva essere la logica prosecuzione di un progetto su cui tutti, tifosi e dirigenti, vedevano del buono una volta poste le basi per vincere. Ma le sue richieste sono state chiare sin dall’inizio perché lui chiedeva di non fare alcun passo indietro, anzi si doveva andare avanti per migliorare ancora di più la rosa, rendendola più competitiva possibile vista la presenza di un’ossatura compatta. Eppure la nascita dell’Antonio Conte allenatore parte proprio da una cavalcata vincente ottenuta con una squadra blasonata da anni a secco di vittorie, e per questo, dunque, vedergli gettare la spugna in questo modo ha destato delle perplessità sulla sua figura di tecnico più che di uomo. Infatti da quel momento in poi per lui di cose ne sono cambiate tante, tranne il suo approccio alle questioni interne dei club con cui lavora. Il suo ciclo è sempre lo stesso: arriva, vince, litiga e poi sbatte la porta ma non questa volta.

Al Tottenham la sua avventura sembra giunta al capolinea nonostante avesse totale carta bianca per far vedere la sua mano in un club di fascia medio – alta dove lui era stato chiamato per colmare il gap con gli altri e fare la differenza, ma ha palesemente fallito. Ha trovato ogni possibile scusa per cercare di troncare il rapporto in ogni modo, infatti quando non ha potuto parlare di mercato, c’è stata mancanza di collaborazione da parte della società, dove non ha potuto parlare di progetto ha accusato la filosofia del club, rea di non avere quella mentalità vincente tale da consentirgli di fare il suo lavoro come avrebbe voluto. Insomma un modus operandi che evidentemente accomuna tutti i suoi adii anticipati ad un senso di irrequietezza così profondo, come se ogni volta cercasse di scappare da qualcuno o da qualcosa ma forse più da se stesso.
Da uomo ossessionato dalla vittoria cerca sempre di mantenere alto il livello e il ritmo della sua squadra per farla rendere al meglio ma quando questo non può essere costante nel tempo per lui, fare parte di un progetto a lungo termine con il rischio di un fallimento sullo sfondo è un qualcosa di intollerabile che evidentemente non riesce ad accettare.

Non si riconosce nel fallimento perché forse ha paura di essere giudicato negativamente per il suo operato però, se si separerà a breve dal club inglese, avrebbe anche bisogno di un aggiornamento professionale, poiché la sua idea di calcio da fortemente innovativa è diventata prevedibile e superata. Un rischio che Antonio Conte non può correre assolutamente, per questo forse gli farebbe bene stare fermo per un determinato periodo di tempo, non sarebbe poi la fine del mondo basta vedere Guardiola dopo il Barcellona dove è arrivato ma le pretendenti, pronte ad abbracciarlo subito, non mancano e sicuramente lo vedremo molto presto in sella al galoppo più agguerrito di prima per poi magari sentirci dire che le colpe sono sempre della società e mai le sue.

Ciccio