Non è stata un’estate semplice, per il Napoli che ha dato il via a una vera e propria rivoluzione tecnica. Come poter dimenticare l'addio tribolato di Lorenzo Insigne, o quello passato sotto traccia di un leader silenzioso come David Ospina, o quello di un figlio adottivo di Napoli come "Ciro" Dries Mertens, per non dimenticare la dolorosissima cessione di Koulibaly ai londinesi del Chelsea. Per non parlare delle contestazioni al Presidente De Laurentiis, la quasi cessione di Meret per lasciar spazio al più esperto Keylor Navas, poi saltato, e le super critiche dei tifosi azzurri per gli acquisti di Simeone e Raspadori, non ritenuti all’altezza dei loro predecessori.
Eppure oggi vedendo questo Napoli sinfonico e melodico, dieci vittorie consecutive in campionato, nessuno riesce davvero a guardarsi indietro per pensare a quella terribile tempesta da cui tutto ha avuto inizio. Ma se Giuntoli e De Laurentiis hanno avuto il coraggio di fare delle scelte dolorose in cambio di investimenti oltremodo coraggiosi prendendosi oneri e onori, un uomo solo ha il grande merito di aver fatto volare letteralmente questo Napoli sul campo: Luciano Spalletti.
Ce lo siamo chiesti tante volte nel corso della sua carriera: ma chi è davvero l’allenatore di Certaldo?
È Colui che va alla ricerca del silenzio interiore anche negli stadi più rumorosi facendo ampi segni di disapprovazione davanti ai cameraman, oppure è colui che si ferma in quei lunghissimi istanti a bordo campo con lo sguardo immerso nel vuoto cercando di trovare la giusta concentrazione per risolvere un problema tattico o per mantenere la calma nel bel mezzo di un impeto di rabbia? Oppure è quello capace di sorbirsi di tutto e di più in silenzio, prendendosi anche delle colpe che non ha per poi ripresentarsi in panchina, tirato a lucido, come se niente e nessuno lo avesse scalfito o è anche quell’uomo con un lato umano che parla nostalgicamente della sua Toscana e che, più che volentieri, va a prendere caffè con qualche giornalista e tifoso? Uno, tutti e nessuno questo è Luciano prendere o lasciare. Sarete d’accordo anche voi nel dire che per diverso tempo Spalletti è finito al centro di un grandissimo paradosso. Perché c’è stato un periodo in cui uno dei migliori allenatori italiani veniva molto spesso ricordato solo per cose a dir poco irrispettose che con il calcio giocato forse avevano poco o nulla a che fare. Basti pensare ad alcune sue storiche conferenze stampa o interviste post gara che per anni sono diventate dei veri e propri video virali su YouTube come le testate contro la scrivania, la sbroccata al bordocampista russo che gli parlava di emozione, i litigi con Panucci sul mancato utilizzo di Dzeko in campo o quelle con Fabio Caressa sulla vicenda Francesco Totti.
Eppure i meriti del tecnico toscano, in qualsiasi squadra che abbia allenato nell’arco della sua carriera sono tanti e davvero di numero indefinito. Sia in termini di risultati ottenuti, sia per le innovazioni tattiche che ha saputo introdurre, per non parlare delle grandi opere di ricostruzione di ambienti afflitti che è riuscito a posare in opera. Luciano Spalletti non ha mai vinto un campionato in Italia, questo è risaputo, ma in compenso lo ha fatto in Russia per due volte, alla guida dello Zenit, ma nel Belpaese forse ben pochi sanno che detiene un piccolo grande primato infatti è il tecnico con il maggior numero di piazzamenti ottenuti in zona Champions tra quelli che non sono mai riusciti, in carriera, a vincere uno scudetto nel nostro campionato: ben nove, uno con l’Udinese, cinque con la Roma, due con l’Inter, uno con il Napoli e tra l’altro molte volte con squadre che di grande avevano soltanto il nome.
Spalletti anche se tanti lo vogliono far passare come un “perdente di successo”, rimane dunque un allenatore di vertice e con delle idee tattiche più che vincenti soprattutto in un’epoca come questa, in cui gli introiti della Champions League per le società rappresentano un obiettivo ben più importante, alle volte, della vittoria di un trofeo, dunque ecco spiegato il suo paradosso con cui è costretto a convivere: quello che per i tifosi non ha alcuna importanza rappresenta invece per i presidenti una notevole risorsa. La consapevolezza di metterti in casa un allenatore che magari non vincerà trofei nell’immediato, ma che nonostante tutto ti garantisce un piazzamento in Champions League, vale più di tante chiacchiere che porta via il vento, come accade in ben altri ambienti che Luciano tra l’altro conosce molto bene.
Ma come dicevamo precedentemente il tecnico toscano è soprattutto un grande allenatore nel vero senso della parola, basta guardare indietro e pensare a ciò che fece con i giallorossi, andando vicino nel vincere, più di una volta, un campionato contro un’Inter decisamente più forte sotto tutti i punti di vista. Poi, dopo essere tornato da vincente dalla Russia, ha riportato l’Inter in Champions League, per due anni di fila, consegnando di fatto ad Antonio Conte una squadra pronta per vincere come farà successivamente. Una delle sue più grandi doti è quella di saper spingere i suoi giocatori oltre le loro possibilità alle volte anche a prescindere dal loro ruolo originario.

Una delle più grandi intuizioni tattiche della sua carriera avvenne nel dicembre del 2005. Una Roma che veleggiava nei bassifondi della classifica, affrontava in trasferta la Sampdoria. I giallorossi, di fatto, non avevano centravanti disponibili, l'unico abile e arruolabile era il giovanissimo Stefano Okaka, 16 anni e 4 mesi all’anagrafe. È qui che Spalletti ebbe un assoluto colpo di genio: Totti unica punta e Simone Perrotta da trequartista atipico nel 4-2-3-1. Fu una genialata in grado di fruttare undici vittorie di fila, trasformando il Capitano in un bomber di razza, in grado di mettere le ali ad una Roma che diventerà una delle squadre più belle e spettacolari dell’ultimo ventennio.
Ma non è finita qui, infatti quando tornerà a Roma, 7 anni dopo, Spalletti trasformerà Nainggolan in uno dei centrocampisti più forti d’Europa e del campionato. Si inventerà Diego Perotti da centravanti, darà una nuova linfa e vitalità a Emerson Palmieri trasformandolo da oggetto misterioso a terzino di valore europeo, e avrà anche il merito di far migliorare un grandissimo talento come Momo Salah.
All’Inter invece prende Brozovic, vittima con i suoi predecessori di un inconveniente tattico, e ha il coraggio di schierarlo da regista davanti alla difesa, trasformandolo in uno dei migliori centrocampisti d’Europa.
Oggi invece l’uomo di Certaldo è ripartito da Napoli. Quella che quest’anno doveva essere la stagione del ridimensionamento si sta rivelando essere un’evoluzione del suo precedente lavoro grazie ad una squadra dal talento incredibile. Oggi il Napoli sembra un' orchestra che suona magnificamente lo spartito seguendo il suo “direttore” ad ogni singola nota. Però allo stesso tempo non bisogna dimenticare come...
 

Il terzo posto dello scorso anno, arrivato dopo un inizio di stagione in cui gli azzurri sembravano di un altro pianeta, è stato percepito da tanti come un grande fallimento, perché gran parte dei tifosi azzurri, dopo le sconfitte con la Fiorentina, con la Roma e con l’Empoli soprattutto lo volevano lontano da Napoli con Vincenzo Italiano pronto a prendere il suo posto. La memoria è corta e ora sono tutti bravi a salire sul carro però bisogna chiedersi, prima dell’avvio del campionato, avremmo mai potuto effettivamente pronosticare un Napoli da scudetto? Avreste mai puntato un centesimo sulla trasformazione di Lobotka e Anguissa da riserve di lusso a uomini fondamentali? Avreste puntato un centesimo sull'esplosione di Giacomo Raspadori oppure sulla solidità difensiva di Kim e Rahmani per non parlare di Mario Rui? Avreste mai pensato alle grandi parate di Meret tra i pali?
Probabilmente no e dunque il merito, oltre che dei nuovi acquisti e del rilancio di chi già c’era, è forse di un allenatore come Luciano Spalletti, che riesce ad abbinare alla visione al pragmatismo, all’acume tattico anche grandi silenzi, improvvise reazioni veementi a chi lo stuzzica e in grado di dividere le opinioni di stampa e tifosi come pochi altri allenatori nella storia recente del nostro calcio.
Un vero e proprio mistero “freudiano” che abbiamo iniziato a conoscere 25 anni fa quando ha mosso i suoi primi passi da tecnico e del quale, probabilmente, non sappiamo davvero ancora nulla. Ma rimaniamo sicuri di una cosa e stiamo imparando a conoscerla quest’anno: Luciano Spalletti è l’oro di Napoli, su questo rimangono davvero pochi dubbi.

Ciccio