Non è passato nemmeno un mese dalla mia iscrizione al sito VxL, ma alcuni tra i più appassionati lettori della community avranno avuto modo di riscontrare nei miei scritti una chiave di lettura comune: la curiosità. Infatti, molti dei miei articoli nascono in seguito a domande o riflessioni che mi pongo in prima persona, che analizzo e approfondisco via internet, sui libri o fantasticando e che riporto sul mio blog personale rendendoli, quanto più possibile, miei.
Questo breve preludio apre la pista ad un nuovo pezzo del genere, in quanto l’idea mi è sorta casualmente l’altra mattina. E provate ad immaginare come!? Esatto, proprio durante un’ora di storia. Il mio incubo più grande. Il professore stava narrando le gesta del celebre Martin Lutero e di ciò che ne seguitò. Tra le varie figure iconiche del tempo, vi fu un tale chiamato Zwingli, il quale diede vita ad una sorta di riforma svizzera che scaturì automaticamente in me due domande: “Come mai la Svizzera rimane sempre neutrale e non viene mai assediata nel corso della storia? Quale fu la riforma che modificò maggiormente il calcio italiano?” Il primo quesito ha trovato una risposta immediata da parte del docente e, per i più curiosi, la Svizzera fu conquistata per qualche anno da Napoleone, salvo poi ritornare autonoma e godere di una fama internazionale come “Banca del Mondo” che la risparmiò da qualsiasi tipo di conflitto. Per quanto concerne il secondo interrogativo, inutile dire che non è stato apprezzato quanto il primo, ma, dopo esser stato accusato di pensare eccessivamente al pallone, sono stato comunque degnato di una breve replica. Secondo il mio insegnante, la riforma più importante del calcio italiano avvenne circa un secolo fa, quando Vittorio Pozzo propose l’introduzione di un campionato nazionale a girone unico. I restanti venti minuti di lezione, come ben potrete immaginare, li ho passati estraniandomi dal resto della classe. Il mio corpo era presente, ma la mia mente era proiettata al secolo scorso e alla nascita del cosiddetto girone unico. Ho dovuto aspettare alcune ore prima di poter approfondire l’argomento, ma non appena ho varcato la soglia di casa, mi sono fiondato sul divano e ho cominciato a sfogliare tutte le pagine riguardanti quest’evento. Dopo aver debitamente trascorso alcune ore studiandola, ho deciso di condividere con Voi quell’antica vicenda che, a detta del professore, rappresenta la maturazione del nostro amato campionato. La data precisa dell’inizio della prima corsa al Tricolore risale al 6 ottobre 1929, una domenica piovosa che accolse per la prima volta i match di ben 18 squadre che ambivano alla vittoria dell’innovativo sistema di gioco. Ma, prima di quel giorno, vi furono una serie di accadimenti che non possono essere tralasciati.

GLI ANTECEDENTI DELLA SERIE A: Gli albori del calcio italiano sono da ricercare addirittura a fine Ottocento. Il primo campionato ufficiale prese luogo a Torino il lontano 8 maggio 1898 e si sviluppò in un unico incontro che vide uscirne vincitrice il Genoa. Quest’ultima detiene anche il record di squadra più antica d’Italia che possiede tuttora il proprio atto fondativo, la cui origine risale addirittura al 1893, sebbene fosse rappresentata unicamente da profili inglesi. Infatti, i trent’anni antecedenti la nascita della Serie A videro alla ribalta giocatori di origini straniere che portarono molti trofei a tre squadre storiche: Genoa, Milan e Juventus. La prima formazione rappresentata dagli italiani fu la Pro Vercelli, che nel 1908 portò a casa il suo primo titolo. Quell’anno, però, fu caratterizzato da ampi dibattiti riguardanti una discutibile scelta della FIGC, che decise di escludere gli stranieri dalla competizione. Decisione che fu immediatamente abolita, in quanto non fu accettata dalle varie squadre, come invece sperava la federazione. Nonostante ciò, i campionati dell’anteguerra furono caratterizzati dal monopolio delle province, tra cui Casale e, appunto, Pro Vercelli. Immaginate che la vostra piccola cittadina fondi un club e si prenda la scena del calcio italiano. Sono sicuro di non essere l’unico che da piccolo sognava di essere un bambino prodigio che, quando entrava in spogliatoio e allacciava gli scarpini, si fermava a immaginare e fantasticare, proiettando la propria immagine in un ipotetico stadio al centro del paesino di provenienza, in cui migliaia di abitanti si apprestavano a veder battere la propria gente contro le più grandi squadre italiane. Dopodiché, il bambino prodigio rientrava in me e uscivo dallo spogliatoio più carico che mai, pronto a dare tutto me stesso su quel dannato rettangolo verde. Ecco, in quell’epoca i sogni cittadini si tramutavano in realtà. Il dopoguerra, invece, nonostante alcune province rimanessero in auge, il calcio prese una via metropolitana, con squadre più abbienti sia economicamente che a livello di possibilità selettive. Fu l’inizio della fine, che a sua volta fu un nuovo inizio. D’altronde, sulla serie televisiva “Dark” citarono una frase che mai dimenticherò: “Il principio è la fine, ma la fine è il principio”. E così fu. Il calcio italiano si tramutò da semplice sport a vero e proprio spettacolo e, come sempre, un guadagno corrisponde alla perdita di qualcos’altro. Ci fu un aumento di pubblico interessato alle partite, ma le squadre provinciali furono costrette al declino e diventarono dei vivai per le società maggiori. Finiva, dunque, l’epoca del pionierismo, quella che ancora oggi viviamo nei piccoli campi di paese, contraddistinta da un rettangolo verde recintato alla meglio, con un centinaio di tifosi che spinge la propria formazione da bordocampo. Ora, le connotazioni tipiche delle piccole realtà, tra cui passione, grinta e forza di volontà, vanno necessariamente fuse con ciò che è tangibile, con gli aspetti societari e le disponibilità economiche. Questo scenario, inevitabilmente, portò a un’aspra contestazione che si tramutò in uno scisma nel campionato 1921/22. In quegli anni, Vittorio Pozzo fu l’incaricato di studiare un particolare progetto futuristico (ma nemmeno troppo, considerato che in Inghilterra vigeva già da diverso tempo questo tipo di competizione), basato su un campionato a girone unico. In realtà, già nella stagione 1909/10 fu sperimentato un simile concetto, ma in quell’anno le squadre che vi parteciparono furono solamente 10 e il tentativo fallì.

LA GENESI DEL CAMPIONATO A GIRONE UNICO: Nel 1926 fu emanata la “Carta di Viareggio” dal sottosegretario agli Interni Arpinati, nonché presidente della FIGC fino al 1933, in quanto i gerarchi dell’epoca vedevano nel calcio un potentissimo mezzo d’attrazione popolare e il fascismo desiderò sottometterlo al proprio regime totalitario. Con tale norma fu riformata profondamente l’organizzazione del calcio italiano sotto due aspetti essenziali: lo statuto dei giocatori e la gestione di Federazione e campionati. Ciò riportò in voga la proposta di Vittorio Pozzo, che se dapprima rappresentò il motivo della guerra calcistica nazionale, sfociata addirittura nella creazione di due competizioni parallele organizzate da Federazione e Confederazione Calcistica Italiana, ora riceve il pieno appoggio dello Stato e finalmente, dopo decenni di metamorfosi, il bocciolo diventa una crisalide: il tanto acclamato campionato a girone unico divenne realtà a partire dalla stagione 1929/30. Inoltre, a partire dalla suddetta annata, la competizione assunse la denominazione di “Serie A”, titolo con la quale è riconosciuta tutt’oggi nel mondo. Sembra impossibile che, in un globo così predisposto al cambiamento, il nostro sport preferito sia rimasto conforme all’organizzazione post-guerra, eppure è così, fatta eccezione per il numero di squadre che partecipano al campionato maggiore e per l’evoluzione dei campionati minori. All’epoca, infatti, venne utilizzata la classifica della stagione 1928/29 come una sorta di qualificazione e perciò il campionato di quell’anno fu suddiviso in girone A e girone B. Le prime 8 squadre dei due gironi furono ammesse al successivo torneo di Serie A, mentre le 8 squadre peggiori vennero assegnate al torneo di Serie B. Pensate che sia stato così semplice e immediato? Assolutamente no, dato che nessuno considerò la possibilità di un eventuale parimerito tra la ottava e la nona formazione della competizione. E si sa, ogniqualvolta ci si affidi completamente alla fortuna, si fallisce. Ed ecco quindi che Napoli e Lazio collezionarono la stessa quota di punti e fu indispensabile trovare una soluzione alternativa: lo spareggio. Sbagliando s’impara, diremmo noi oggi. Ma loro evidentemente no. Perché lo spareggio, ovviamente, finì 2-2. Come procedere? Con un ulteriore spareggio. Quanta confusione! Ma forse fu semplicemente il destino che fece il suo corso, visto che si optò poi per l’ammissione di 18 squadre nel campionato maggiore, con il ripescaggio per motivi patriottici della Triestina, che in realtà era necessario per avere almeno una rappresentanza della strategica regione Friuli Venezia-Giulia. Il Direttorio Federale ratificò tale ipotesi e l’anno zero della nostra amatissima Serie A fu combattuto da ben 18 squadre. Tutto risolto, quindi? Ma che domande, mi sembra palese che la risposta sia no! Vittorio Pozzo si schierò duramente contro tale allargamento e rese pubblico il suo pensiero a “La Stampa”: “Evidentemente non hanno tutti i torti coloro che sostengono che il male peggiore, quello del peso e della lunghezza della manifestazione, non è stato curato. Il Campionato è un grande egoista. Vuole la stagione tutta per sé e compromette l'esito stesso dell'attività di quella Squadra Nazionale, la quale serve da indice dei progressi o dei regressi fatti dall'intero paese nel particolare sport che ci occupa”. Questo breve estratto riassume la concezione patriottica dell’ex giocatore e allenatore, il quale mostra grande sprezzo per aver messo in secondo piano la Nazionale Italiana. Nonostante le proteste, la FIGC, controllata dallo Stato Fascista, non si smosse dai suoi passi e fece cominciare la stagione come pianificato.

LA PRIMA STAGIONE GIOCATA DI SERIE A: Eccoci ritornati all’attesissimo 6 ottobre 1929 che, come Vi ho detto in precedenza, è stato il giorno zero, il giorno in cui ha avuto inizio il primo campionato organizzato similmente a quello odierno, ovvero con un girone unico in cui ogni squadra affronta le proprie avversarie in due occasioni, l’andata e il ritorno. Nove stadi riempiti da una folla che acclama a gran voce la propria formazione del cuore, nove partite spettacolari e ricche di goal. Insomma, le prerogative per un futuro brillante, pioggia esclusa, ci sono tutte. La mia pazza Inter, allora denominata Ambrosiana, vinse all’esordio per 2-1 ai danni del Livorno. Nove mesi dopo, i 34 match disputati da ciascuna squadra italiana decretarono il vincitore: l’ex FC Internazionale Milano sollevò il suo primo storico scudetto, nonché il primo storico scudetto assegnato in un campionato di Serie A. La grande differenza tra l’odierna competizione e quella dell’epoca consiste nei punti guadagnati in seguito a una vittoria: i 3 punti di oggi equivalgono ai 2 punti di cent’anni fa circa. L’Ambrosiana trionfò totalizzando ben 50 punti, seguita a ruota da Genoa e Juventus, rispettivamente ferme a quota 48 e 45 punti. Le favorite della stagione, Torino e Bologna, si accontentarono della quarta e della settima posizione. Le prime due retrocesse dalla Serie A alla Serie B furono Padova e Cremonese. Ma questa stagione viene ricordata dai tifosi nerazzurri soprattutto per l’ascesa di un giovane fuoriclasse, Giuseppe Meazza, il quale segnò all’esordio a soli diciannove anni e si contraddistinse tra i professionisti sin dalle prime uscite, riuscendo a totalizzare la bellezza di 31 goal in 33 partite. Che giocatore, il Balilla! Rimase talmente impresso nella memoria della Beneamata, tanto da dedicargli l’odierno stadio di Milano. Ma attenzione, perché analizzando attentamente i dati si osserva una curiosa analogia con la stagione in corso: l’Inter trionfa in Italia, ma in Europa non va affatto lontana, venendo eliminata dall’Ujpest ai quarti di finale della Coppa Europa Centrale. Che sia di buon auspicio per l’annata in corso?

Sono passati addirittura 92 anni da quella storica stagione 1929/30, ma le fondamenta su cui si sviluppano le stagioni di Serie A sono le stesse. Le variazioni più importanti da segnalare, però, sono state parecchie: dall’introduzione dei 3 punti a vittoria a partire dalla Serie A 1994/95 al passaggio dalle 18, alle 16, alle 20 squadre, passando per il blocco degli stranieri successivo al disastro dei Mondiali del 1966, la riapertura ai giocatori extra-comunitari dal 1980, finendo con la sponsorizzazione del campionato, la Serie A TIM, e l’avvento di anticipi e posticipi che, a inizio anni ’90, rivoluziona per sempre il fine ultimo del calcio, rendendolo uno spettacolo dedicato non solo al pubblico presente allo stadio, ma anche ai tantissimi spettatori casalinghi, plasmando il calendario a favore delle pay-tv. Negli ultimi giorni, Carlo Tavecchio, Presidente della Federcalcio, ha riportato in auge una proposta da tanto tempo fluttuante, ma mai approfondita: perché non riportare a 18 il numero delle formazioni partecipanti alla massima serie italiana? Secondo lui e i suoi sostenitori, ne gioverebbe non solo la Serie A, bensì tutte le serie minori, ovvero Serie B, Serie C, Serie D, Eccellenza, Promozione, Prima, Seconda e Terza Categoria, che ad oggi sono succubi di un sistema finanziario che grava eccessivamente sui portafogli delle società, spesso portandole al fallimento.

Il mio auspicio è di averVi trasmesso la stessa curiosità che è sorta a me sin dalle prime righe in cui mi sono immerso, intrattendoVi per alcuni minuti con questa pillola di storia.
Termino questo articolo con una domanda rivolta a tutti i membri della community, sperando di accendere un interessante dibattito: accogliereste favorevolmente la proposta del Presidente Carlo Tavecchio o vi schierereste dalla parte delle 20 squadre in Serie A?
Vi ringrazio per l’attenzione e, come sempre, vi auguro una buona settimana.

Dal passato è tutto, linea al presente!