L’uomo, per natura, è da sempre alla ricerca della verità. Platone, Aristotele, Parmenide e altri illustri pensatori e filosofi hanno sempre concordato sul fatto che l’essere umano, in quanto tale, dedichi la propria esistenza alla ricerca smisurata della verità. Quella stessa verità che poi, la maggior parte delle volte, fa male. E non solo nella vita, ma anche nel calcio. “Si dice che la verità trionfa sempre, ma questa non è una verità”, diceva il drammaturgo Anton Pavlovič Cechov. Per quale motivo essa non rappresenta, come dovrebbe essere per definizione, il punto di incontro tra le opinioni di ognuno? La risposta, probabilmente, la si può ritrovare in una celebre frase di Giuseppe Pontiggia, che nel suo romanzo “Nati due volte” scrisse così: “Ma in mezzo sta la virtù, dice Orazio, non la verità. Altrimenti sarebbe risolto il problema. La verità, per quanto riguarda gli uomini, è sempre diversa”. Niente di più reale. La dicotomia tra la giustizia e la verità, infatti, è da sempre oggetto di dibattito e molti intellettuali concordano nell’associare ai due termini concetti differenti e inconciliabili, come se non possano mai andare e braccetto. Noi appassionati di calcio siamo perfettamente a conoscenza delle ragioni che si celano dietro a tale antinomia. Era il lontano agosto del 2016 quando l’arbitro Elfath, durante il match tra New York Red Bulls - Orlando City, sperimentò per la prima volta l’utilizzo di una nuova tecnologia fortemente voluta pochi mesi prima da Gianni Infantino, il VAR. Questo sistema, nelle idee dei poteri forti del calcio, avrebbe dovuto donare equità al mondo del pallone ed eliminare qualsiasi forma di polemica esistente. Sono passati ben cinque anni da quella storica decisione che sicuramente ha rivoluzionato lo sport più bello del mondo, ma le critiche ad arbitri e al VAR non sembrano essere diminuite, anzi. Siamo ancor più alla disperata ricerca di quella verità che non può esistere.

I sostenitori di questa avanzata innovazione cercano nel Video Assistant Referee un elemento di giustizia equo e valido per tutti, che non favorisca nessuna squadra o società. La loro volontà è dunque quella di rendere equilibrate le scelte arbitrali e di eliminare definitivamente i lunedì mattina trascorsi al bancone del bar a discutere con colleghi e amici sul rigore non concesso alla propria squadra del cuore. Nei loro pensieri, il calcio sarebbe dovuto diventare uno sport perfetto, ovvero governato totalmente dalla giustizia, per far sì che calciatori e tifosi si potessero concentrare unicamente sulla partita in sé, senza considerare errori umani, gol fantasma o fuorigiochi impercettibili. Un tentativo nobile, ma sicuramente fallito, almeno in parte. Se il principio di base da cui partire è quello che il VAR annulli ogni tipo di discordia, il fallimento è una conseguenza logica, proprio perché la verità è soggettiva e, tecnologia o non tecnologia, una piccola parte di razionalità umana sarà sempre presente, a meno che non siano direttamente le intelligenze artificiali ad arbitrare le partite, ma anche in quel caso ci sarebbe lo zampino di un essere umano a tarare a proprio piacimento l’arbitro robotico.

Al contrario, sin da subito svariate persone si sono schierate dalla parte dei no VAR, giustificandosi proprio con la tesi che nessuno sarà mai in grado di rendere equo in maniera assoluta l’arbitraggio e che l’utilizzo di tale innovazione uccida il fine ultimo del calcio: il pathos. Cos’è il calcio se non un susseguirsi intenso di forti emozioni? Il rischio che comporta l’utilizzo di tale tecnologia è lampante, in quanto ogni gol è seguito da un’esultanza contenuta se non nulla, dato che sono necessari quei secondi di attesa che precedono la convalidazione della rete segnata per poterla esprimere al meglio. Solo in quel caso è concesso sgolarsi e gioire, ma l’enfasi del gesto è parzialmente compromessa. Dunque, la lotta non è limitata a passato e futuro, errore o verità, giustizia o destino. C’è molto di più. La lotta è estesa alla concezione contemporanea del calcio giocato. Il mondo del pallone si trova di fronte a un dubbio amletico: conservare la vera essenza di questo sport e mantenere un arbitraggio umano che possa compromettere una partita o addirittura una stagione, oppure rinunciare a una parte emotiva e poetica di esso ma consapevoli del fatto che, nei limiti del possibile, l’errore arbitrale non peserà più sul risultato del match? Anche in questo caso, la verità è soggettiva e non esiste alcun grado di giudizio che possa stabilire quale delle due sia la soluzione migliore.

Ciò che è certo è che la storia del calcio, con l’ausilio del VAR, sarebbe notevolmente differente rispetto a quella che conosciamo noi. Per un interista come me, per esempio, è facile scavare nella memoria per trovare due situazioni che avrebbero portato gioia e dolore a noi tifosi. Il primo caso riguarda quel famigerato contatto in area di rigore tra Iuliano e Ronaldo, che rappresenta per noi nerazzurri una ferita ancora aperta da più di vent’anni. In quella situazione, avrei voluto che la tecnologia intervenisse per decretare un rigore a nostro favore, ma così non è stato. E qui, invece, devo essere contento che così non sia stato. Perché con il VAR, il Triplete sarebbe stato un’impresa ancor più complicata, visto e considerato che, da sportivo, devo ammettere che alcuni dubbi sorti in seguito a episodi terminati a favore della Beneamata in occasione delle partite di andata e ritorno di Champions League contro Chelsea e Barcellona, siano più che giustificati. D’altronde la fortuna aiuta gli audaci, no? Oltre a questa parentesi di cuore, sono stati numerosi i casi passati alla storia che con l’esistenza di un sistema artificiale di supporto all’arbitro non sarebbero mai diventati tali. Mi viene in mente, per esempio, il gol iconico del numero diez più forte della storia, Diego Armando Maradona, che grazie alla rete segnata di mano in quell’Argentina – Inghilterra venne paragonato a una divinità. Ma si può far riferimento anche a tempi più moderni per scovare uno dei tanti gol fantasma presenti nei racconti di calcio: il 26 febbraio 2012 Muntari siglò il 2 a 0 che avrebbe potuto chiudere la partita e, chi lo sa, magari cambiare le sorti di quel primo dei nove campionati vinti dai Bianconeri. Ma arbitro e assistente di linea concertarono una decisione ancora oggi ricordata con ira dal popolo milanista: no gol. Non esiste una controprova, ma quell’episodio potrebbe realmente aver alterato il destino di questo decennio italiano targato Juventus. Al giorno d’oggi, esiste una tecnologia che, a mio modo di vedere, è indiscutibile: la goal-line technology. Essa consiste in una serie di sensori che identificano e trasmettono all’orologio del direttore di gara la validità o meno della rete. In questo caso, nessun tifoso potrà mai parlare di scelta umana scorretta, in quanto è un principio totalmente matematico e annulla qualsiasi dibattito. La prova del nove, se così la si può definire, la si riscontra nella mancata assegnazione di due gol regolari ai danni di Olanda e Portogallo nella sosta nazionali appena terminata, con quest’ultima squadra che ha pareggiato la partita a causa di una svista umana facilmente evitabile grazie alle innovazioni moderne. Diverso invece è il discorso VAR. Esso non garantisce una soglia d’errore minima tale da poter parlare di giustizia, in quanto in ogni caso l’intervento finale spetta alla discrezione dell’arbitro. A favore del VAR ci sono senza dubbio i fuorigioco, visto che il sistema, similmente a quanto accade con la goal-line technology, assicura una certezza numerica della regolarità o meno della posizione di partenza del giocatore. Per tutto il resto, è una guerra appena cominciata che verrà combattuta negli anni e che presumibilmente non sarà mai in grado di accontentare tutti.

Al momento, sembra che il VAR continuerà a far parte di questo sport. Dunque, la scelta è stata presa. Il mondo del pallone ha votato per avere più verità, ma meno anima; gli appassionati del calcio come natura comanda dovranno fare a meno di vivere momenti epici e immodificabili; i tifosi saranno costretti a soffocare quell’urlo spontaneo di felicità immediatamente successivo al gol segnato; giustizia è stata fatta, ma il prezzo da pagare è alto, forse esagerato. Se non altro, il bar continua a essere luogo di vivace confronto calcistico, dato che la tecnologia, per quanto se ne dica, non ha di certo annullato le scelte arbitrali errate. Saranno d’accordo i miei cugini rossoneri, i quali in Milan - Manchester United sono stati beffati da un sistema che, al momento, fa acqua da tutte le parti. Ne hanno fatto le spese quasi tutte le italiane in Europa, che si son trovate a mandar giù bocconi amari causati soprattutto da scelte arbitrali discutibili e, oggigiorno, incomprensibili, vista la presenza di una tecnologia che secondo gli esperti avrebbe dovuto estrapolare la verità nascosta dietro ogni intervento. Purtroppo, ci siamo accorti che non è affatto così. Perciò vari esponenti del calcio stanno cercando di proporre delle modifiche che possano dare equilibrio e giustizia al suo utilizzo. Per esempio, ultimamente si sta discutendo molto sulla possibilità di introdurre il VAR a chiamata e, riguardo questo aspetto, il fischietto Massimiliano Irrati ha espresso la sua opinione, supportando questa ipotesi. La motivazione principale è individuabile nell’oggettiva difficoltà che vive l’arbitro nel prendere decisioni senza discrezione e in tal caso quest’idea, già presa in considerazione da tempo, potrebbe ridurre gli attriti esistenti a causa di ciò. L’unico interrogativo concerne l’obiettiva complessità che costringe l’allenatore a giudicare un’azione avvenuta a 60 m di distanza dalla panchina, ma di questo si continuerà a questionare.

Abbiamo creato un’arma capace di distruggere l'epicità del calcio e ora stiamo cercando di renderla meno pericolosa possibile. Una palese contraddizione. Di un calcio che è palesemente malato. Malato di giustizia e di soldi. Le cause principali del declino emotivo di questa storica e mitologica disciplina. Siamo ancora in tempo per interrompere questa serie di vicissitudini che stanno rovinando la natura dello sport più bello del mondo, ma dobbiamo intervenire. C’è bisogno di varare una serie di modifiche che rendano il VAR una fonte reale di equità, non solo in linea teorica. Perché il calcio non è solo uno sport, è la ragione per cui molti amici siedono al bar la mattina e discutono, è la ragione per cui i ragazzi affollano le piazze, è la ragione per cui i tifosi non smettono mai di sognare e per cui i bambini si svegliano felici la mattina.
Il calcio va salvaguardato e difeso, ma siamo sicuri che sia la giustizia, questa astrusa giustizia, a farlo?