Così come le più prossime passate stagioni anche quella 2019-2020 è stata per il Milan poco meno che amara. Lo scenario paradossale, che vede, già da qualche anno, uno dei club più vincenti al mondo competere praticamente per nulla, è ancora presente. Senza risvolti positivi si è rivelata la tanto agognata rivoluzione dirigenziale della scorsa estate, che aveva lo scopo di riportare al centro del villaggio simboli della storia rossonera (vedi Maldini, Boban e Massara), riaccentrando il potere nelle mani di chi sa (o sapeva) “cosa significa essere al Milan”. 

Di certo meglio non possiamo dire del progetto tecnico. La sensazione era che a Milanello non si seguisse un piano tecnico-tattico studiato dai tempi di Allegri, e che tutti i successori dell’allenatore livornese avessero semplicemente brancolato nel buio in piena confusione. Serviva un uomo di idee, rintracciato in Giampaolo che, suo malgrado, ha finito ben presto per perderle (le idee) e perdersi in esse, schiacciato dal peso della panchina di San Siro. È arrivato in corsa Pioli, che per quanto male non abbia fatto, non ha mai ottenuto i favori e le attenzioni di nessuno in particolare, ultimamente per un motivo ben preciso: tutto il mondo Milan è in fissa con Ralf Rangnick, si parla, bene o male, soltanto di lui.

Ma chi è Ralf Rangnick?

Ralf Rangnick è l’uomo che ha portato all’esonero di Boban e che potrebbe portare ben presto anche a quello di Paolo Maldini, nonché di Massara e, naturalmente Pioli. Chi non mastica calcio 24h su 24h, probabilmente, di Ralf Rangnick sa poco o nulla, perché il 61enne di Backnang è un tipo riservato che non ha mai cavalcato le luci della ribalta. 
Nel calcio ci è entrato per studio e conoscenze tecnico-tattiche più che per il “giocato”. Da giovane è stato uno studente di letteratura alla Sussex University, innamorato follemente di Charles Dickens, delle birre e del football britannico. A pallone ha giocato solo nelle serie dilettantistiche, sia in Inghilterra che in Germania, eppure è comune la certezza che Ralf Rangnick sia l’allenatore (e l’uomo) che abbia, più di tutti, influenzato la Bundesliga, rivoluzionando l’approccio tattico delle squadre tedesche e l’intero campionato, definito da molti “Rangnickliga”.

Il Sacchi dei nostri tempi

E in effetti se dovessimo rintracciare un termine di paragone per quantificare il peso avuto da Rangnick sul calcio tedesco negli ultimi anni dovremmo chiamare in causa Arrigo Sacchi, e l’influenza che l’ex tecnico rossonero ha avuto sul Sistema Italia.
Arrigo Sacchi che, guarda caso, riempiva le notti del giovane Ralf impegnato a divorare le registrazioni di quel Milan che lo faceva impazzire, quando era già diventato allenatore.
Il suo primo ruolo da tecnico, infatti, l’ottenne nel 1983 al Backnag, la squadra del suo paese. Fu lì che accadde qualcosa di speciale, che avrebbe cambiato per sempre la sua visione del calcio. Amichevole contro la Dinamo Kiev di Valery Lobanovskyi, Ralf è rapito dall’intensità degli ucraini. Si racconta che sfruttò il primo intervallo di gioco per contare gli avversari, pensava fossero in 13 o in 14 per quanto coprivano il campo in maniera aggressiva. Ne rimase affascinato, tanto da decidere di replicare quell’attitudine. 
Il fato decide di rendergli l’applicazione di quel calcio più facile, facendogli incontrare Helmund Gross, un ingegnere che passava il suo tempo libero ad allenare e studiare calcio, un calcio fatto di marcature ossessive e pressing.
I due diventano amici, comprano un videoregistratore e consumano video delle squadre di Lobanovskyi, Happel, Sacchi e Zeman. Scrivono, addirittura, un manuale, fino a che entrambi non vengono presi allo Stoccarda. Ralf allena le giovanili e Gross fa da coordinatore: il lavoro che svolgono influenza totalmente la filosofia calcistica del club a tutti i livelli. Una cosa simile a quanto si faceva in Olanda, all’Ajax.

Fino al calcio che conta

Nel 1995 Rangnick ottiene la panchina del Reutlingen 05, club di Regionalliga Sud, lo porta al 4 posto durante la prima stagione. La stagione successiva può fare ancora meglio ma a febbraio passa all’SV Ulm e lo trascina quasi in Bundesliga.
Nella regione di Baden-Wüettemberg abbiamo l’assaggio più autentico del suo calcio, cristallizzato in un 4-4-2: tutto pressing e difesa a zona.
Dopo l’Ulm torna a Stoccarda per allenare la prima squadra. Traghetta il gruppo per cinque partite nel 1998/1999 e la successiva stagione lo trascina all’ottavo posto. Nel 2000/2001 le cose però vanno male, viene esonerato. Passa le successive quattro annate tra Hannover 96 e Schalke 04, con il quale conquista anche un secondo posto. Firma con l’Hoffenheim.
La sintonia con Dietmar Hopp, proprietario del club e visionario, scatta subito. La squadra in due stagioni passa dalla terza divisione alla Bundesliga. È qui che Rangnick comincia ad esercitare il potere in maniera quasi totale, sarà una caratteristica che diventerà poi ricorrente. Ralf non è solo l’allenatore ma si incarica anche di trovare i calciatori, lasciandosi affiancare solo da Gross. I due praticano un calcio super aggressivo e allestiscono una squadra di ragazzi, lo faranno per sempre.
Quella squadra è capace di raggiungere la vetta della Bundes per lunghi tratti, anche se poi finisce settima. 
La Germania è rapita da quel calcio, tanto che dopo la disfatta del Mondiale 2006 si decide che quelle saranno le basi della ripartenza, sia come impianto di gioco che come sviluppo di giocatori. Ralf Rangnick con il suo lavoro diventa il modello d’ispirazione di un intero movimento (vedi Sacchi).

Il capolavoro Lipsia

La sua ideologia, però, non ha ancora raggiunto il massimo livello di sviluppo. La relazione con Hopp termina di botto per divergenze legate al calciomercato, la cessione di Luiz Gustavo al Bayern non viene digerita dal tecnico di Backnag che decide di tornare a Gelsenkirchen dove sfiora la finale di Champions nel 2011, quando ai quarti distrugge l’Inter con un risultato di 7 a 3 complessivo. La delusione europea sarà causa di un esaurimento nervoso che porterà Ralf ad abbandonare la panchina dello Schalke e conseguentemente il calcio.
Siamo ad un punto di svolta, arriva la chiamata di Dietrich Mateschitz: il fondatore di Red Bull intenzionato a far primeggiare il proprio marchio non più, e non solo, nel mercato degli energy drink ma nel mondo degli sport estremi e del calcio. Il fil rouge è l’aggressività che contraddistingue il brand, quel modo di fare deve essere riproposto nel calcio e nessuno meglio di Rangnick può sposare quella visione. Ralf, infatti, accetta. Il 2015 è alla guida del Lipsia e il gioco che propone fa della velocità e l’intensità i suoi mantra: il gegenpressing è utilizzato per dominare gli avversari e, allo stesso tempo, per rapire i cuori dei giovani ai quali l’universo Red Bull ha sempre puntato.
Il gegenpressing si basa su un’idea molto semplice: la riaggressione feroce non appena il possesso è perso, l’ideale è farlo nei primi 8” secondi. Riconquistata la sfera si verticalizza per arrivare subito in porta.

Deus ex machina, molto più di un allenatore

I successi in campo fanno parte di una minima parte del lavoro di Rangnick, non è solo un tecnico. La sua figura è onnipotente, applica idee di marketing al gioco, ha compiti manageriali, tattici e sceglie personalmente i calciatori da acquistare. Inoltre la filosofia della prima squadra deve essere applicata a tutti i livelli del club (Lipsia) e dei suoi satelliti, per fare ciò si serve ancora di Gross.
Nel giro di pochissimo tempo qualunque squadra porti un Toro Rosso sulla divisa ha un’identità chiara e definita e, soprattutto, sforna talenti che conquisteranno il calcio europeo: Firmino, Alaba, Mané, Kimmich, Keita, Werner, Haaland. Ritorniamo alla dicitura “Rangnickliga”, il peso specifico di Ralf sul movimento tedesco è incommensurabile, decine di allenatori si ispirano direttamente a lui, tra i tanti: Nagelsmann, Wagner, Klopp e Tuchel. 

Ossessione Milan

Tutti sono in fissa con Rangnick in Germania e, da qualche mese anche in Italia, a Milano soprattutto. In fissa perché il suo arrivo sotto la Madonnina significherebbe rottura e stravolgimento.
Oggi Rangnick non è più l’allenatore del Lipsia, bensì è Head of Sports and Development della Red Bull. Affidargli la panchina significherebbe affidargli il Milan, dover fare a meno di tutte le figure dirigenziali che, al momento, hanno i poteri che contano. L’astio prima di Boban e poi di Maldini verso Rangnick è giustificato proprio da questo, il nuovo farebbe fuori le leggende.

Da quanto sappiamo Ralf, però, non accetterebbe di ritornare in panca. Nelle ultime ore è uscito fuori il nome di Nagelsmann, attuale allenatore del Lipsia ed enfant prodige di scuola Hoffenheim (ha soli 32 anni), al quale Rangnick vorrebbe affidare le cose di campo, si fida solo di lui e per assolvere un compito così gravoso ha bisogno di qualcuno che lo conosca alla perfezione e possa applicare i suoi concetti.
Concetti che, invece, in prima persona introdurrebbe nella organizzazione del club che muterebbe completamente: prima squadra, settore giovanile, staff medico, scouting tutto finirebbe in due sole mani. Mani che plasmerebbero l’intera società sul modello Red Bull, lo stesso Rangnick ha dichiarato che ciò è possibile facendo convivere le tre K: Kapital, Konzept, Kompetenz.

La scelta giusta

Di possibilità, però, i tifosi del Milan non vogliono sentire parlare, questo è l’unico tratto che li accomuna alla società. Troppe volte la rivoluzione è mancata, troppe illusioni sono state disattese, troppe sono state le perdite finanziarie negli ultimi anni. Non si può più sbagliare.

E cominciare un nuovo capitolo della propria storia con uomo del quale non si conosce l’adeguatezza e la capacità di adattarsi in Italia, e che inoltre in un colpo solo fa fuori tutte le leggende del club, non sembra la scelta giusta.
Scelta che, eppure, sembra già fatta dalla proprietà che vede in Ralf Rangnick uno che può sbagliare perché umano ma in grado di fornire lo shock necessario all’ambiente: radendolo al suolo! Per poi ricostruire, come se il Milan avesse fatto la guerra. C’è bisogno di nuovi valori, di un’identità precisa, di una visione d’insieme che faccia da collante e di risollevare il brand Milan. Tenendo conto di ciò, guardando in giro per l’Europa, allora, Rangnick è l’uomo giusto.

Finanza, sviluppo di talenti, idee di gioco

Ralf partirà dalle finanze: il Milan è in perdita da almeno 6 anni e questa situazione gli è già costata un Europa League. I costi vanno dimezzati e questo lo si farà tenendo in rosa giocatori con una età media bassa, i ricavi aumentati attraverso il player trading: i club dell’universo Red Bull hanno guadagnato una montagna di soldi in questa maniera.
Per dominare i principi del player trading o compri a poco e vendi a tanto, o i giocatori te li cresci da solo. La seconda preoccupazione di Rangnick sarà il settore giovanile che dovrà sviluppare talenti. Talenti capaci di calcare le più grandi scene europee, talenti che entreranno in trattative faraoniche, talenti che potranno garantire ricambi alla prima squadra.
Prima squadra, che insieme a tutte le altre selezioni rossonere, sarà dotata di un gioco immediatamente riconoscibile: Ralf è uomo di principi semplici da prendere e applicare, veloce ed indolore, per Nagelsmann sarebbero rotte conosciute.

La fissa del mondo Milan nei suoi confronti è presto spiegata. Il tedesco taglierà col passato in maniera fredda e senza scrupoli (un passato fatto di troppe delusioni), comincerà a lavorare con un gruppo di giocatori già abbastanza compatibili con le sue idee e cederà senza scrupoli per rinnovarsi.
A qualcuno potrebbe non andare giù, ma questa potrebbe essere l’unica via per tornare ai vertici del calcio globale.