Oggi, 29 agosto, seconda giornata di campionato già giocata, la Serie A è già finita.
Questo è quello che si sente in giro.

Ovviamente si tratta di un'affermazione che fa sanguinare le orecchie. Ma è figlia di alcune motivazioni reali e profonde che trovano terreno fertile non solo nel calcio di casa nostra, ma nella società in genere. Sono figlie, innanzi tutto, del "consumismo" spinto. Senza voler iniziare un discorso politico-economico, chiarisco subito che per consumismo intendo l'accezione popolare del termine. Quella necessità, cioè, di consumare tutto e subito e cercare, immediatamente qualcosa di nuovo. Si tratta di una necessità insita nella società moderna, che ci porta non solo a cambiare telefonino ogni sei mesi, ma anche a fagocitare notizie ogni due ore. Una notizia arrivata alle nove, alle undici è già vecchia e noi abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo, su quell'argomento.
Questo comporta due generi di problemi
il primo è che, chi scrive di professione, nonostante sia in grado di inventare anche notizie sul nulla, non riesce a stare dietro a questa necessità, che viene peggiorata dal desiderio di ciascuno di avere una nuova notizia sull'argomento adatta al proprio modo di sentire;
il secondo è che questa necessità, non supportata appieno dai professionisti del settore, viene completata dai tanti scrittori non professionisti (e spesso non professionali) che popolano il mondo social e che si inseriscono in quella sacca di insoddisfazione lasciata libera dall'impossibilità strutturale di saziare la nostra voglia di cacciare il naso ovunque.
Questi fatti comportano che qualsiasi opinione noi troviamo viene trattata allo stesso modo, perché ormai i social sono divenuti il nostro mondo quotidiano.
Il macellaio o il barista che, una volta, ci spiegavano perché la nostra squadra non vinceva, oggi sono moltiplicati per mille sui social e ognuno di loro ha una sua patente di professionalità, nascosto dietro blog più o meno autorevoli. 

Ecco nascere, quindi, il problema dell'idiosincrasia nei confronti dell'analisi pacata e informata. 
Abbiamo visto l'Inter passare, in due giornate, da antijuve a squadra di pippe. 
Il Milan e Gattuso, in una sola giornata, nella quale sono andati a Napoli e hanno perso con un gol di scarto, dopo essere stati in vantaggio di due gol, sono diventati una barzelletta. La Roma pareggia con l'Atalanta ed è crisi. Persino la Juventus, che è a punteggio pieno, viene messa sulla graticola.
Perché? Perché in un mondo dove siamo abituati a volere novità ogni due ore occorrono argomenti e, se gli argomenti non esistono nella realtà, allora occorre crearli. 

Noi viviamo in un campionato che è schiacciato fra la necessità sportiva di diminuire il numero di partecipanti e la necessità sociale di aumentarlo. Fra la necessità sportiva di giocare in un'unica giornata tutte le sue partite e la necessità sociale di giocarne una ogni dodici ore. 
In che senso ? Semplice, se si giocasse una partita ogni dodici ore, ci sarebbero cose reali di cui parlare e le illazioni diminuirebbero. Sia chiaro, ho detto diminuirebbero, perché ci sarebbero sempre quelli che vogliono sentir parlare solo di quella squadra o di quel giocatore, così come quelli che motivano le proprie insoddisfazioni sulla base delle proprie simpatie personali. Giocare ogni sette giorni, invece, come sarebbe l'ideale dal punto di vista sportivo, comporterebbe una proliferazione enorme di notizie inutili e di discorsi sul nulla. 

Come potete immaginare una soluzione non c'è. Ma anche se una soluzione non c'è, potremmo iniziare con l'evitare il flame ad ogni costo. 
Il flame è quell'attività per cui si scrive, come notizia o come commento, al di sopra delle righe, in maniera spesso, ma non sempre, volontaria, attaccando violentemente chi la pensa diversamente da noi. Si tratta di uno sport diffusissimo, soprattutto sul web, dove esistono professionisti pagati apposta per flammare, in quanto il flame provoca le reazioni indignate di chi la pensa all'opposto e si sente attaccato e quindi, fa aumentare il numero di commenti e di visualizzazioni (il famoso clickbait), cosa che in un mondo, come quello social, dove gli sponsor pagano sulla base dei contatti ottenuti, equivale a denaro sonante. 

In tutto questo abbiamo bisogno, in risposta ad una Juventus che acquista CR7, di sentire che il Napoli compra Cavani e l'Inter Modric, anche se poi non è vero, altrimenti l'uditorio si deprime e i tifosi non seguono più. In tutto questo abbiamo bisogno di dipingere le squadre come fenomenali, e poi abbatterle appena sbagliano mezza partita.
Lo stesso viene fatto coi giocatori, altrimenti il tifoso non segue. In tutto questo, però, come entra la Juventus che ha già vinto il campionato? Entra come complemento alla Juventus che ruba. 
Lo insegnano nelle scuole militari, si tratta di strategia elementare: se vuoi consensi trovati un nemico, se vuoi unire crea un nemico e una guerra, se vuoi creare attenzione parla del nemico comune. 

Oggi c'è la Juventus da una parte e gli altri dall'altra: ogni volta che si parla bene della Juventus è un flame che irrita chi è contro e incita gli juventini, ogni volta che se ne parla male il contrario. Il risultato è che, ogni volta che si parla della Juventus si coinvolgono l'80-90% degli utenti, con ritorni di audience enormi. Quindi anche le piccole crisi quotidiane - quelle che normalmente dovrebbero essere gestite con calma, internamente, dalle squadre - per tutti questi svariati motivi diventano epocali. 
Per questo motivo l'Inter non è più l'anti-Juve, Gattuso non è in grado e la Roma vende tutti. 

Non è vero, perché siamo alla seconda giornata di Campionato e l'Inter ha cambiato mezza squadra, il Milan ha giocato solo una partita a Napoli e, fino al 65mo, Gattuso era un mago e la Roma ha un affollamento a centrocampo che è, perlomeno, imbarazzante. Ma occorre creare la notizia da dare in pasto ad un pubblico famelico. 
Nutrire la notizia non è, poi, nemmeno così difficile: ogni buon scrittore sa cosa evidenziare e cosa tacere per supportare le proprie idee. La verità, poi, è una cosa diversa. 
Ma la verità, del resto, non è di questo mondo. E ultimamente neppure il buonsenso.