La carriera di Giuseppe Rossi è come un disco che ricomincia sempre d’accapo, ininterrottamente senza sosta, come il battito delle lancette di un orologio che segnano soltanto il tempo perduto. La sua è la storia di un talento cristallino, dai muscoli di cristallo che troppo presto è stato messo alla porta da un mondo crudele come quello del calcio.
Ciò nonostante “Pepito”, resta, ancora oggi, uno dei più grandi talenti del calcio italiano nell’ultimo decennio, uno di quei calciatori veri dal grande cuore che ha avuto l’onore e il merito di farsi apprezzare, come calciatore, da un uomo tutto d’un pezzo come Enzo Bearzot, che gli affibbiò il soprannome “Pepito” poiché in lui rivide il suo più grande pupillo “Pablito”, Rossi, con cui il “Vecio” coronò il sogno “mundial” del 1982.

Giuseppe è un giocatore moderno, eclettico, rapido, rapace d’area di rigore, con un sinistro vellutato a cui però gli dei del calcio, nella loro crudeltà, hanno deciso di voltare le spalle più e più volte nel corso della sua carriera, ogniqualvolta si sia trovato sempre ad un passo dal gradino più alto dell'olimpo del calcio.
Ma “Rossi”, nonostante le avversità, è uno dal carattere forte, d’altronde non si superano le tante operazioni subite ai legamenti crociati se non si possiede una grande forza d’animo interiore, infatti lui non si è mai arreso, anche quando nessuno era più disposto a credergli, nemmeno da quando il suo più grande tifoso nonché sostenitore, papà Fernando, non c’è più a sorreggerlo come aveva sempre fatto sin da ragazzino, negli States, davanti al proprio giardino di casa. Rossi non si è mai dato per vinto proprio per amore di suo padre e della sua splendida famiglia che gli è stata sempre accanto nei momenti più difficili ed è per questo che ancora oggi, a 34 anni, si ritrova lì a lottare per ricominciare d’accapo, in barba al suo malefico destino, il vero carnefice della sua carriera spezzata.

Già, proprio suo padre gli fece amare il calcio da grande appassionato e conoscitore quale era. Fernando Rossi, in America, per chi non lo sapesse, è ricordato per essere stato uno dei migliori 'soccer coach' nello stato del New Jersey, contribuì infatti a formare tantissimi giovani atleti della Clifton High School con cui vinse, dagli anni '70 al 2000, tantissimi trofei a livello scolastico locale. Un vero e proprio conoscitore di calcio ma, allo stesso tempo, insegnante di italiano e spagnolo motivo per cui migrò in America con sua moglie Cleonilde quando ancora Giuseppe non era nemmeno nato. Una vera icona che creò un modello vincente in grado di spingere tantissimi ragazzi americani ad avvicinarsi al mondo del calcio proprio lì dove i “palloni” più amati hanno “forme” e “colori” diversi rispetto al più semplicissimo “bianconero” di cuoio.
Così iniziò la storia di Giuseppe Rossi, seguendo infatti i consigli del padre imparò a giocare a calcio muovendo i suoi primi passi nelle giovanili della squadra locale, N.J Stallions. Nato a Teanek nel 1987, cresciuto però a Clifton, è nel 2000, che arrivò, per lui, la grande occasione; intatti fu il Parma, appena tredicenne, ad ingaggiarlo per farlo giocare nelle sue giovanili, ritornando nuovamente in Italia al fianco di suo padre:
Fin da piccolo giocavo con mio padre, io ero il giocatore e lui l’allenatore: è grazie a lui se amo questo sport. Ho avuto la fortuna di avere un padre che ha sacrificato il suo lavoro per la mia carriera e questo non lo dimenticherò mai.”

Le sue grandi qualità, mostrate sin dalle giovanili dei ducali, vengono apprezzate anche all’estero e soprattutto da occhi esperti di un signore del calcio come sir Alex Ferguson in persona. Infatti è proprio su richiesta del leggendario allenatore scozzese che “Pepito”, appena diciassettenne, nel 2004 viene acquistato dal Manchester United per essere subito aggregato nelle giovanili dei red devils, sotto la sua diretta supervisione. Sir Alex da grande uomo di calcio intraviste in lui le stimmate del predestinato e la vicinanza, in Inghilterra, con campioni del calibro di Ryan Giggs, Paul Scholes, Ruud Van Nistelrooy e un giovanissimo Cristiano Ronaldo non potevano che dargli quella marcia in più per diventare un grande giocatore. Gli anni vissuti ai Red Devils sono stati fondamentali per la sua crescita professionale, Ferguson ha sempre creduto nelle sue qualità ma, nonostante i primi positivi esordi in premier league, lo United era una squadra piena zeppa di campioni e la concorrenza era fin troppo elevata per potersi affermare con quella gloriosa maglia.

Ma lo United era restio a lasciarlo andare completamente e per questo lo cedette soltanto in prestito, nel 2006, al Newcastle. Purtroppo però le cose non andranno per il verso giusto, infatti nel corso della stessa stagione arrivò inaspettatamente per lui un’altra chiamata, in prestito, questa volta dal Parma che accettò subito senza pensarci due volte. La squadra ducale, quando arrivò “Pepito”, si trovava in piena zona retrocessione con il penultimo posto in classifica, inoltre Claudio Ranieri aveva appena preso il posto dell’esonerato Stefano Pioli. Con il tecnico di Testaccio fu tutto un altro Parma, infatti i ducali riuscirono a salvarsi compiendo un’impresa storica con la conquista di 27 punti in sedici partite, trascinati dai grandi colpi di Giuseppe Rossi che in appena 19 gare di Serie A, in maglia gialloblu, riuscì a segnare la bellezza di 9 reti oltre a fornire un elevato numero di assist per i suoi compagni.
Al termine di quella clamorosa stagione Rossi ormai, a quasi vent’anni, è un giocatore che reclamava il suo spazio e voleva assolutamente una squadra pronta a investire su di lui, ma nessuna big però fu disposta a crederci fino in fondo, motivo per cui l’unica squadra a bussare alle porte dello United fu il Villareal del neo tecnico Manuel Pellegrini disposto a metterlo al centro del suo progetto.
A “El Madrigal”, oggi Estadio de la Ceramica, Pepito divenne il vero e proprio cuore pulsante del “Sottomarino Giallo”, trovò finalmente la sua vera dimensione e il suo talento sbocciò definitivamente a suon di gol e grandi giocate. La sua fu una crescita costante, tanto che nel 2011 chiuse la stagione con numeri da capogiro, come 32 goal realizzati in 56 partite, non c’erano più dubbi... ormai era definitivamente pronto per il grande salto nei vertici del calcio europeo. Tante furono le squadre a interessarsi al suo acquisto, tra cui il Barcellona che lo voleva fortemente per completare il tridente insieme a Messi e Villa, ma le altissime richieste degli “amarillo” spaventarono i blaugrana, tanto da decidere di virare su Alexis Sanchez.
Così “Pepito” rimase ancora al Villareal, finché succede l’imprevedibile, infatti il 26 ottobre 2011, nel corso di un match al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid, si procurò la rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Si operò rientrando nei tempi previsti ma durante l’allenamento si ruppe nuovamente il ginocchio infortunato e da quel momento in poi fu l’inizio della fine.
Nel frattempo il Villareal, senza di lui, retrocedette in segunda division e per questo fu costretta anche a cedere i suoi migliori giocatori tra cui proprio Giuseppe Rossi ancora in piena riabilitazione.
Dopo quasi due anni di stop la Fiorentina era l’unico club Italiano disposto a puntarci, acquistandolo dagli spagnoli per poco più di dieci milioni di euro più bonus, coccolandolo fino al suo ritorno in campo avvenuto nel maggio del 2013, ed esattamente ad un anno e mezzo dall'infortunio.
La Fiesole e tutta Firenze diventarono ben presto pazzi di lui, “Pepito” infatti non farà passare molto tempo per ricambiare l’affetto e la fiducia concessagli da società e tifosi. Nel campionato successivo, stagione 2013/14, infatti riuscirà a mettere a segno caterve di gol, ben 14 nelle prime 18 giornate riuscendo persino a trascinare la Fiorentina in un'impresa storica che resterà scolpita nelle fondamenta del Franchi e nella mente di tutti i tifosi viola per sempre: la sua magica tripletta alla Juventus in un indimenticabile vittoria, che la gente aspettava da oltre quindici anni, per 4-2 di rimonta dopo le due reti di svantaggio subite nel primo tempo dagli uomini di Antonio Conte. Una partita che doveva segnare la sua rinascita definitiva mettendosi finalmente tutto il peggio alle spalle ma purtroppo il fato è dietro l'angolo e ancora una volta gli giocò un bruttissimo scherzo. E’ il 5 gennaio 2014 quando, a seguito di un duro intervento di Rinaudo durante un derby toscano, Fiorentina-Livorno, il ginocchio fa nuovamente crac, sembra l’inizio della fine, proprio quando il sogno di disputare il primo mondiale, con la nazionale di Prandelli per Brasile 2014, era proprio lì ad un passo dall’essere raggiunto, visti gli enormi sacrifici compiuti per ritornare a brillare dopo gli infortuni subiti in serie senza sosta. Nella testa di “Pepito” forse, per la prima volta, iniziava a fare capolino l'idea che la magia di Firenze si era dissolta nel nulla così come la sua carriera che appariva quasi definitivamente distrutta.

Da quel momento in poi, infatti, non riuscirà quasi più a riprendersi, per lui, infatti, inizierà un lungo peregrinare in giro tra Liga spagnola e serie A: prima Levante e Celta Vigo poi, in Italia, il Genoa, con cui segnerà, l'ultimo gol italiano datato 6 maggio 2018, proprio contro la sua Fiorentina. Così dopo la breve parentesi con i genoani resterà senza squadra a lungo e l’idea di un ritiro dal calcio sembrava la soluzione più logica ma non per un ragazzo con la sua forza d'animo. Svincolato da tempo continuò ad allenarsi per trovare la forma fisica migliore, prima con il Manchester United e poi con il Villareal fino a quando riproverà a tornare sui campi da gioco per una nuova avventura nella sua terra natale, stavolta negli States, in Mls con il Real di Salt Lake City. Ma anche lì le cose non andranno benissimo, nemmeno il tempo di fare qualche partita che si infortuna nuovamente, per l’ennesima volta, costringendolo a stare fermo per più di un anno per colpa di quelle ginocchia di cristallo. Questa volta la fine del calcio giocato sembrava essere giunta per davvero tant’è che lo stesso “Pepito” si era dato alla TV come opinionista di un programma televisivo americano in occasione degli europei di calcio della scorsa estate.

Poi però come un fulmine a ciel sereno, un po’ in sordina, arriva quello che non ti aspetti, ovvero la chiamata dalla Spal del presidente, suo connazionale, Joe Tacopina e per “Pepito” è tornato, improvvisamente di nuovo il sorriso. Sceglie la maglia numero 49 come l’anno di nascita di suo padre, a cui deve tutto, scomparso prematuramente nel 2010, ed è proprio durante un pomeriggio uggioso in quel di Cosenza, alla sua seconda presenza con gli spallini, che riesce a segnare di testa la sua prima rete dopo oltre 1300 giorni dall’ultimo gol in Italia.
Una gioia immensa, una vera e propria liberazione coincisa anche con la conquista di tre punti d'oro per la sua nuova Squadra.
Una nuova rinascita con una una dedica speciale:
Questa è la mia vita, voglio riprendermi il tempo perso e volevo che mia figlia vedesse suo padre fare il suo primo gol allo stadio con la nuova maglia» ha dichiarato dopo la partita.”

La fenice di Teanek adesso può spiccare nuovamente il volo, in fondo è giusto così, il destino glielo deve dopotutto, bentornato “Pepito” che tu possa recuperare il tempo perduto!
Ciccio